E’ iniziato con doverosi richiami ai valori, all’etica della politica, alla solidarietà sociale il discorso di Mattarella in occasione del suo giuramento. Sembrava la solita liturgia dei discorsi presidenziali: condivisibile erga omnes, istituzionale, elevata e, nella fattispecie, autenticamente democristiana di sinistra. E vista l’ora, c’era il rischio che le palpebre dei telespettatori si abbassassero per una pennichella postprandiale.
Ma poi è arrivato l’affondo, imprevisto e preciso come il tiro di uno sniper; una vera cannonata tipo quelle che Ibra spara da venti o trenta metri e la palla si va a piazzare giusto all’incrocio dei pali.
Quando il neo Presidente ha parlato della riforma della Giustizia ha usato per la prima volta parole così chiare e taglienti che Travaglio deve essere caduto dalla poltrona; e probabilmente è rimasto steso in terra per ben oltre dieci secondi mentre sentiva gli applausi di tutto ma proprio tutto il parlamento, compresi i suoi soldatini 5stellati. Scioccato e amareggiato, il capo del partito giustizialista ha poi scritto sul Fatto Quotidiano: “55 applausi contro i giudici”.
E bisogna pur capirlo, il povero Travaglio. Nessuno se l’aspettava, tantomeno noi del fronte garantista, un discorso così puntuale e, pur nella pacata cornice istituzionale, così coraggioso che è opportuno citarlo: “Mi preme sottolineare che un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della Giustizia. Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività. Nella salvaguardia dei principi, irrinunciabili, di autonomia e di indipendenza della Magistratura – uno dei cardini della nostra Costituzione – l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini”.
Questa è la migliore fotografia che si potesse fare, proprio da parte di chi presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, della realtà di questi ultimi anni: la magistratura che ha perso “credibilità”, soprattutto dopo che Palamara ne ha rivelato tutti i lati oscuri; e al tempo stesso manca di “efficienza”, perché le nomine e le carriere vengono decise in base a criteri spartitori dalle correnti e non secondo il merito. L’ultima vicenda della nomina dei vertici della Cassazione (Pietro Curzio e Margherita Cassano), prima bocciata dal Consiglio di Stato e poi scandalosamente riconfermata dal Csm, è solo l’ennesima riprova di quanto sopra detto.
Ma la parte più importante del lungo passaggio sulla giustizia è la conclusione: “I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone”. E’ qui che tutti i parlamentari si sono alzati in piedi ad applaudire: come se il Presidente, con queste parole, li avesse liberati da un’oppressione; stigmatizzando l’era dei processi al politico di turno considerato un nemico da abbattere per via giudiziaria, ma anche del pericolo per il cittadino qualunque di incappare nei meccanismi kafkiani della carcerazione preventiva e dei processi senza scadenza.
Dobbiamo ricordarlo ancora una volta che attualmente sta quasi morendo in carcere l’avvocato ed ex deputato Giancarlo Pittelli, a cui sono stati tolti gli arresti domiciliari solo per avere scritto una lettera ad una amica, Mara Carfagna, che è ministro di questo governo?
Certo le parole di Mattarella non basteranno, anche se hanno dato un segnale chiarissimo. Ora sono la ministra Marta Cartabia e il Parlamento che devono muoversi concretamente, perché il testo di riforma del Csm è incardinato già dal 2019. A luglio il Csm sarà rinnovato, e bisogna a tutti i costi arrivare a quella scadenza avendo deciso un nuovo criterio elettorale che ponga fine al potere delle correnti e al sistema spartitorio. E poi ci sarà ancora molto da fare: separare le carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti, chiudere le porte girevoli tra magistratura e politica giusto per fare un paio di esempi.
Se i referendum sulla giustizia verranno ammessi dalla Corte Costituzionale, a prescindere dall’esito saranno di sprono per il legislatore. Intanto restano le parole del Presidente della Repubblica, pesanti come macigni, e le parole, quando sono pronunciate autorevolmente, possono produrre grandi cambiamenti.
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