Zinga è contento come una pasqua. Con 50.000 click (in rappresentanza degli 11 milioni di voti grillini del 2018!), il popolo di Rousseau ha finalmente accolto il Pd nel novero degli alleati. Ora non ci sono più ostacoli. Si correrà insieme alle Regionali (forse). Si costruirà insieme la strategia del Recovery Fund. Si eleggerà insieme il successore di Mattarella.
Ma quanto valgono politicamente ed elettoralmente le nozze?
La risposta sta, per una volta, nei contenuti più che nelle forme dell’alleanza. Dopotutto hanno ragione i “teorici” del lieto evento, da Bettini a Franceschini: quello tra sinistra e populisti non è un matrimonio di interessi, è un genuino innamoramento, è la piacevole scoperta di pensarla allo stesso modo sulle questioni principali in agenda, di avere i medesimi valori politici e ideali. Si parla spesso di grillizzazione del Pd, ma la verità è un’altra: M5s e Pd hanno in mente policies molto simili, sono ideologicamente ostili al “neoliberismo”, praticano abissi debitori con cui finanziare assistenzialismo e nazionalizzazioni, vanno d’amore e d’accordo sul giustizialismo. Il Pd non ha bisogno di grillizzarsi, perchè il M5s è sempre stato una costola della sinistra, magari della peggiore sinistra, della sinistra illiberale, centralistica e demagogica.
E quindi non ha molto senso chiedersi a chi, dei due sposi, converranno le nozze. E’ evidente che il Pd non ha la forza di egemonia sul M5s che mostrò la Lega ai tempi del governo gialloverde. E’ probabile cioè che le nozze non sposteranno molto Zinga dal suo zoccolo del 20%, nè Grillo dal suo 15%. Ma ha senso invece chiedersi quanto l’asse giallorosso riuscirà a crescere nel suo complesso, quanto saprà penetrare nei territori del cosiddetto Centro, quanto conquisterà le praterie dell’astensionismo. Quanto diventerà cioè una stabile ipotesi maggioritaria per il Paese. E la risposta sembra essere assai dubitativa. Tutto fa ritenere che i giallorossi si stiano allontanando dai settori più dinamici delle professioni e dell’impresa. Dai territori tradizionalmente propulsivi del Paese, e cioè dal Centro-Nord. Dalle generazioni più aperte all’Europa e al mondo, e cioè dai giovani con qualificazione scolastica. Dalle nicchie di ricerca avanzate che ancora sopravvivono nella penisola.
L’alleanza giallorossa sembra configurarsi insomma come un blocco conservatore e corporativo. I suoi pilastri sono gli sterminati arcipelaghi dell’impiego pubblico e dei pensionati, le lobbies imprenditoriali e finanziarie legate agli uomini del Pd e del M5s, le ampie fasce di un malessere sociale da acquietare con qualche sussidio. E naturalmente il Sud delle provvidenze a fondo perduto, degli impieghi improduttivi, di un keynesismo eternamente invocato e invariabilmente fallimentare.
E’ difficile credere che un simile blocco sociale ed elettorale possa crescere in modo consistente, malgrado l’emergenzialismo da Covid, malgrado i soldi europei. Perché, nonostante tutto, il Covid passerà, i soldi andranno restituiti e rimarrà l’eterno quesito: chi farà mai le riforme? Chi mai metterà mano a una macchina burocratica inefficiente, a una legislazione pletorica, alla giustizia ingiusta, alle infrastrutture obsolete, alla bassa produttività del sistema?
(questo articolo è stato ripreso dal blog www.ragionepolitica.it con il consenso dell’amministratore)
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