I provvedimenti antiebraici presi dal regime fascista nel tardo 1938 colpirono, come si sa, tutti gli aspetti della vita e delle attività della minoranza ebraica italiana (per non dire di quegli ebrei stranieri che, illusi da precedenti atteggiamenti e affermazioni del cavalier Benito Mussolini, avevano sperato di poter sfuggire in Italia la persecuzione già variamente in atto altrove come, oltre che nella Germania nazista, in Polonia), trasformandola in una in una collettività di cittadini – meglio di “ sudditi” – privi di diritti civili, già, peraltro, ampiamente ridotti e sfregiati dalla dittatura. Furono, le cosiddette “ leggi razziali”, provvedimenti anche proditorii verso un gruppo – gli ebrei italiani, appunto – pervaso, come scrisse Dante Lattes l’8 settembre 1938, da un “senso di italianità [ … ] succhiato non solo alle fonti del cielo e della storia di questa terra, ma col latte della madre “. Pure per questo molti di loro avevano aderito con entusiasmo al fascismo. E, quando arrivò la persecuzione, ci fu chi, come Guido Jung, la motivò e sopportò in nome delle superiori esigenze della nazione.
Con l’8 settembre del 1943, l’invasione tedesca e la successiva costituzione dello Stato-fantoccio mussoliniano al Nord – è ben noto, o almeno dovrebbe esserlo – si avrà poi quel salto di qualità che dalla persecuzione dei diritti porta a quella delle vite, allo sterminio.
Enrica Calabresi, cui questa nostra giornata è dedicata, vive appieno, con particolare forza d’animo e dignità, tutte queste fasi decidendo, con lucidità e coraggio, di, se così mi posso esprimere, “non darla vinta” a costo della vita agli aguzzini, che non erano solo tedeschi. Al pari di molti altri ebrei italiani era stata infatti arrestata da italiani. Come italiani erano tutti quelli che – da chi ricopriva responsabilità di governo all’ultimo burocrate – avevano deciso e attuato il suo allontanamento dall’insegnamento e dalla ricerca. Anche se è vero, e non va mai dimenticato, che molti italiani dopo la calata tedesca nella penisola dettero un aiuto essenziale a molti ebrei.
Se in tutti i campi della vita e del lavoro gli ebrei furono colpiti dalle cosiddette “ leggi razziali” nel settore della scuola e dell’università la loro applicazione fu tra le più precoci e dure, precedendo per alcuni versi in questo ambito il “ modello” tedesco.
Il grande patrono dell’operazione di “risanamento“ razzista della scuola è l’uomo cui nel 1996 la giunta capitolina guidata da Francesco Rutelli voleva intitolare una strada, il colto fascista “ critico” Giuseppe Bottai, animato da una pervicacia persecutoria maggiore di quella del duce, come mostrano – senza possibilità di dubbio alcuno – diverse note del suo diario tra il primo settembre e il 6 ottobre 1938. Non a caso del resto l’“ ultrazelante“ – l’aggettivo è di Renzo De Felice – Ministero dell’educazione nazionale già in data 19 gennaio 1938, dunque con oltre sei mesi d’anticipo rispetto al censimento degli ebrei lanciato dal regime nell’agosto dello stesso anno, chiede ai rettori di “comunicare con ogni urgenza il numero degli studenti ebrei di nazionalità straniera attualmente iscritti“.
Ben prima che Joseph Goebbels, all’indomani della “notte dei cristalli“ (quella – lo ricordo per collocare in modo preciso gli eventi – tra il 9 e il 10 novembre 1938), potesse lamentarsi che in una scuola tedesca suo figlio poteva ancora sedere accanto a un ebreo, il regime fascista aveva provveduto a “bonificare “ la scuola italiana. Il che configura la scelta antisemita del regime non come una pedissequa imitazione dei moduli nazisti ma quale attiva complicità nella persecuzione europea. È ben vero che già da tempo l’antisemitismo di Stato aveva devastato le università tedesche attraverso le disposizioni racchiuse nei provvedimenti per il riassetto della professione di pubblico funzionario del 7 aprile 1933 e in altri decreti “minori” fra cui quello, sempre dell’aprile 1933, che limitava all’1,5 per cento del totale gli studenti ebrei ammessi alle facoltà di medicina e di giurisprudenza. Resta però valida la annotazione avanzata a suo tempo da uno storico tedesco: “ siamo [ … ] autorizzati a chiederci se il pogrom della ‘notte dei cristalli ‘, che ebbe luogo un mese dopo la seduta del Gran consiglio [ in cui fu ufficialmente varata la politica antisemita del regime], avrebbe assunto le stesse dimensioni se Hitler avesse dovuto ancora corteggiare Mussolini”. Del resto non è senza significato che la cosiddetta “terza fase “ della guerra agli ebrei sia avviata da Hitler nel 1938 mentre anche in altri paesi europei l’antisemitismo di Stato, stimolato dalla vittoria nazista, si va radicando. È dunque doveroso sottolineare che, se il quadro europeo preme sul regime italiano, è anche vero che l’atteggiamento italiano contribuisce a orientare e a determinare quel quadro.
Le disposizioni “per la difesa della razza nella scuola fascista “ sono contenute nel Regio Decreto Legge 5 settembre 1938.XVI n. 1390 il cui articolo primo recita testualmente: “all’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all’assistentato universitario, né al conseguimento della libera docenza”. Venivano poi banditi alunni e studenti di “razza ebraica “ ( art. 2), vale a dire, per quel testo – ché, lo osservo solo in parentesi e di sfuggita, come per i nazisti anche per i fascisti definire chi è ebreo è un rompicapo che avrà riflessi nei successivi provvedimenti antisemiti – coloro che erano nati “da genitori entrambi di razza ebraica”, anche se professavano religione diversa da quella ebraica, lasciando tuttavia la possibilità di terminare gli studi universitari agli studenti ebrei già iscritti al momento dell’emanazione del decreto.
Gli effetti furono devastanti. Pur tradendo in certo senso parte della vita di Enrica Calabresi, fornirò esclusivamente qualche dato relativo alla sola università. Danno un’idea dell’aspetto quantitativo del fenomeno nulla ci dicono sul danno più profondo, su quanto ha inciso nel tessuto della ricerca e della cultura italiane lo sconvolgimento prodotto dalle leggi razziste del 1938. Un tema al quale la ricerca storica non ha ancora fornito risposte adeguate, e su cui tornerò brevemente a chiusura del mio intervento.
Quanto i provvedimenti antiebraici abbiano inciso nel corpo dell’università italiana non è però facile da determinare nemmeno quantitativamente, vista la complessità delle “ figure” accademiche.
Allo stato attuale della ricerca si può avanzare una cifra, ancora provvisoria: dagli atenei italiani furono cacciati almeno 386 “ ebrei” fra cattedratici, incaricati, liberi docenti, aiuti, assistenti (ordinari, straordinari, incaricati, volontari); circa il 7 % dell’intero corpo docente universitario italiano, stando alle statistiche fornite dall’ISTAT. Ne furono colpiti in modo “ equo” sia il settore umanistico che quello scientifico e i più tra gli atenei. Il dato tuttavia è probabilmente sottostimato visto il metodo di composizione delle statistiche storiche italiane nonché altri nodi su cui non posso qui soffermarmi.
Ancora più complicato è tentare di quantificare il numero degli studenti universitari colpiti dai provvedimenti “razziali” perché andrebbero e vanno intanto determinati gli esclusi “potenziali” quelli cioè che avrebbero potuto iscriversi tra 1938 e 1945 e non poterono farlo perché la legislazione antisemita ammetteva sì che chi era già iscritto potesse terminare il corso degli studi ma non ammetteva nuove iscrizioni di ebrei. Poi c’è il nodo intricato della presenza, cospicua, di studenti ebrei stranieri già iscritti molti dei quali, per la situazione venutasi a creare, decisero di abbandonare le università italiane. Fenomeno già registrabile nell’anno accademico 1937-1938. Ogni cifra è congetturale. Non ne avanzo. Ma – come hanno mostrato gli studi specie di Elisa Signori – fu un fenomeno di dimensioni non insignificanti.
Le decisioni del governo non suscitarono rilevanti reazioni. Si era in regime dittatoriale e – molti dicono o sottintendono – non si potevano dare. A nessuno si può chiedere la virtù in grado supremo, se non ai santi….
La realtà è assai più complessa. E non può essere ridotta al semplice opportunismo che pure ci fu. E fu esteso. I provvedimenti del regime mettevano a disposizione del mondo accademico una cospicua, imprevista quantità di “ risorse”, di posti. E il ceto universitario si comportò esattamente nel modo previsto da un antifascista di grande tempra come Ernesto Rossi che, con la sua proverbiale vivacità e sagacia, dal carcere scriveva il 22 ottobre 1938: “ è un bel numero di cattedre che rimangono contemporaneamente vacanti: una manna per tutti i candidati che si affolleranno ora ai concorsi “.
A parte alcune eccezioni – Massimo Bontempelli, Ranuccio Bianchi Bandinelli, e qualche altro, come Paolo Baffi e Alberto Campolongo, che dette segni palesi di lontananza dalle scelte del regime – e le privateattestazioni di solidarietà, non generalizzate come poi si vorrà far credere, a volte pelose ma a volte causa addirittura dell’allontanamento dal lavoro, come nel caso di Attilio Cabiati per il combinato disposto dell’azione di due ministri Thaon de Revel e Bottai, resta nel complesso valida la caustica osservazione di Ugo Caffaz scritta in occasione del cinquantesimo anniversario delle leggi razziste: “non ci risulta ci siano stati rifiuti a subentrare agli ebrei nei vari posti lasciati vacanti “.
Opportunismo ma anche tradimento. Dei colleghi cacciati innanzitutto. Tanto più in quanto molti di loro, come non pochi altri ebrei, al fascismo avevano aderito. Per questo Giorgio Levi Della Vida, uno dei pochissimi a non giurare nel 1931, osserverà sarcastico nelle sue memorie che “per colmo di sventura la promulgazione delle leggi antiebraiche” aveva finito con l’annegare il suo caso in quello dei molti cacciati per motivi di “ razza” cosicché, prosegue, “i più credettero che io abbia perduto il posto a causa del mio sangue e non delle mie idee “. Cosa che proprio non poteva sopportare poiché fra i cacciati del 1938 ce ne erano molti “ che fin dalla prima ora e fino all’ultima avevano militato con entusiasmo e devozione sotto l’insegna del littorio”. E proprio per questo l’atteggiamento dell’istituzione universitaria fu nel 1938 tradimento, al fondo, della stessa dittatura che avevano servito, ché, come ha notato Silvio Lanaro in un breve, ma denso, ritratto di Marco Fanno, il regime attraverso le leggi razziste del ’38 aveva largamente colpito “ i propri quadri meno dilettanteschi e incompetenti”.
Al pari della sottomissione, eccetto uno sparuto gruppo, all’avvilente giuramento di fedeltà al regime voluto nel 1931 da Mussolini, e da Giovanni Gentile l’assordante silenzio con cui le “ leggi razziali” furono accolte dagli accademici italiani fu soprattutto un tradimento di se stessi, della propria funzione. Nessuno di loro può certo essere assimilato al rettore di Leopoli, Stanislaw Kulczynski, uomo di idee piuttosto conservatrici in politica, che presentò le proprie dimissioni al ministro polacco della pubblica istruzione in quanto non disposto a firmare il decreto di attuazione nel suo ateneo della disposizione emanata nell’autunno 1937 dal governo del suo paese – che in base all’autonomia universitaria doveva essere avvallata dalle autorità accademiche – per cui gli studenti ebrei – ammessi con numerus clausus agli atenei – in aula dovevano sedere sul lato sinistro separati dagli altri ( il cosiddetto “ ghetto dei banchi “) scrivendo: “ distruggete una centrale elettrica e sarà buio subito; distruggete l’università e sarà buio fra cinquant’anni“.
La coppia opportunismo-tradimento, proposta come titolo del mio intervento dagli organizzatori, non è però sufficiente a intendere davvero il fenomeno della reazione alle “leggi razziali” nell’università, così come nella società italiana in generale.
Per capire nel modo meno inesatto possibile quella risposta è utile capovolgere la prospettiva e partire a rovescio, dalla fine della storia.
A Liberazione avvenuta assistiamo a due fatti concomitanti: una progressiva involuzione della legislazione “riparatrice”; casi di ebrei deferiti alle commissioni di epurazione. Segni entrambi di una non percezione, generalizzata, della specificità della persecuzione antiebraica.
Come scrisse Giorgio Del Vecchio, di certo fascista e che non rinnegava il suo passato, nella sua autodifesa quando fu sottoposto a processo di epurazione: “ è del tutto irragionevole il dubbio che, dopo la vile e proditoria persecuzione “ che ha colpito gli ebrei “ essi possano in qualsiasi modo rimpiangere il passato regime e non amare e servire lealmente il novello Stato, che ha restituito loro i diritti civili. Quale altro italiano può dare oggi più piene garanzie di abominio contro il fascismo, divenuto sinonimo di nazismo ? Non è dunque ingiusto e paene ridiculum il volere assoggettarli all’epurazione?”.
In quel momento, è stato osservato, su tutto faceva aggio l’antifascismo, non sempre – vorrei ricordare – di origine garantita e controllata. È vero, ma c’è qualcosa di più. E ce lo dice con chiarezza appunto la legislazione “ riparatrice” che, dopo una serie di passaggi che qui non ripercorrerò, culmina con un decreto del 27 maggio 1946 per cui i docenti universitari perseguitati riammessi negli atenei “ sono assegnati ad altrettanti posti di ruolo istituiti transitoriamente” posti che “saranno soppressi all’atto della cessazione dal servizio o del trasferimento ad altra università o ad altro istituto superiore dei titolari della materia relativa ai posti stessi “. Ciò che il decreto voleva salvaguardare erano i diritti acquisiti da chi – “ innocentemente” – non aveva fatto altro che fruire di una opportunità prevista e offerta da una legge dello Stato, la cui continuità le vicende dall’8 settembre 1943 in avanti avevano ormai garantita. Anche in questo quadro tuttavia sorge spontanea la domanda: non si garantivano allo stesso modo quei diritti ponendo in un ruolo transitorio, ad personam, chi a un ebreo era subentrato in virtù delle leggi razziste del 1938? Perché fu perseguita la strada esattamente opposta? (segue)
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