In un precedente articolo, prima delle europee, concludevo alcune considerazioni sul riformismo in Italia affermando che, per un rilancio competitivo dello stesso, sarebbero necessari una visione, un progetto e una leadership che allo stato dell’arte non si vedono.
Naturalmente il riformismo non può vivere di una dimensione solo nazionale, poiché quello che avviene negli altri paesi ne condiziona le possibilità di crescita o di decrescita anche su un piano locale.
Bisogna rilevare che l’esito delle elezioni in Europa ha segnalato una resistenza all’assalto dei populisti e dei sovranisti che non era facile dare per scontato: pur con tutte le difficoltà che rimangono, il risultato a favore delle forze europeiste ha creato (perlomeno teoricamente) un nuovo spazio possibile anche per il riformismo in Italia.
Un altro punto a favore si è avuto, nel nostro paese, con il crollo verticale del consenso al M5s che, a parere di chi scrive, costituiva e costituisce il pericolo maggiore per le sorti della nostra democrazia liberale, già fragile storicamente per conto proprio.
Certo, il fatto che il travaso di voti sia avvenuto in sostanza fra i due partiti di governo, a vantaggio pressoché esclusivo della Lega di Salvini, non induce a sperare più di tanto nelle magnifiche sorti e progressive del riformismo nostrano, anzi….
C’è un però ed è che se Salvini rappresenta un altro corno del populismo e soprattutto di una sorta particolare di sovranismo roboante, quanto privo di responsabilità e di senso della realtà, il partito da cui proviene (la Lega padana e nordista di Bossi) ha formato nei decenni una classe di governo locale che poco gli somiglia, come dimostra la vicenda delle Olimpiadi invernali a Milano e a Cortina.
Contraddizioni interne al governo attuale e ai partiti che lo sostengono che potrebbero consentire ad un’opposizione di agire e di preparare un’alternativa, se quest’opposizione fosse dotata degli attributi necessari.
Non è così, come appare in tutta evidenza.
Dopo un anno di parole, urli, promesse, provvedimenti demagogici, sussidi al vento, proclami contro l’Europa, declino economico, disperato attaccamento al potere, o meglio ad una poltrona (Di Maio docet), ignoranza, incompetenza, avvilimento continuo del ruolo delle istituzioni, isolamento internazionale e chi ne ha più ne metta…l’opposizione tace e si contenta di non essere scomparsa o, nel caso del Pd di avere preso centomila voti in meno dell’anno prima e di aver superato i 5s in discesa vertiginosa che neanche Gastone Nencini avrebbe saputo fare meglio.
Nell’articolo a cui ho accennato all’inizio scrivevo che al riformismo occorrono una visione, un progetto e una leadership che al momento non è dato vedere con chiarezza, anzi nemmeno intravedere.
Una visione dell’Europa che, al di là dell’affermazione ovvia di appartenenza, contrasti la brutale contrapposizione che caratterizza il dominio politico attuale della Lega di Salvini e la subalterna blaterazione senza senso dei discepoli di Grillo.
Una visione nutrita da pochi punti di riforma da far valere agli occhi degli italiani e dei partiti che comunque governeranno l’Europa nei prossimi anni, basata sulla lezione della storia che in nessun modo permette agli sprovveduti di ritenere utile un ritorno indietro, alle divisioni di un tempo che i giovani forse non conoscono, ma che sarebbe obbligo conoscessero.
Non solo la storia, ma anche l’attualità: la consapevolezza che nessun paese europeo, per quanto più forte di un altro, potrebbe supporre di restare competitivo se isolato all’interno della nuova rivoluzione moderna del mondo, della cosiddetta globalizzazione, inarrestabile anche se non piace ai conservatori di tutte le specie, si chiamino come gli pare.
Concetti di assoluta semplicità che, però, rappresentano una cornice lineare al cui interno definire un progetto di governo che valga sul piano internazionale e su quello interno, per affrontare questioni che, ovviamente, non sono assolutamente semplici.
Basta pensare a due di queste che appaiono oggi come determinanti agli occhi dell’opinione pubblica: l’immigrazione e la sicurezza.
Può darsi che la percezione dei due fatti sia superiore alla realtà, ma la realtà c’è comunque, insieme al disagio che influisce sulla vita degli strati sociali meno fortunati.
Il modo in cui Salvini e il governo affrontano tali problemi da un lato cancella le tradizioni umanitarie del popolo italiano, dall’altro spesso tira del ridicolo oltre che del truce, ma è un modo e gli avversari non ne presentano uno alternativo, ragionevole e convincente.
Quando qualcuno, come Minniti ha tentato di affrontare realisticamente la situazione è stato abbandonato dal Pd e ne ha pagato le conseguenze, perfino sul piano elettorale.
Fermiamoci qui, per non abusare oltre della pazienza dei lettori, anche se, nel silenzio perdurante dell’opposizione, rimane da considerare il ruolo di una leadership che allo stato dell’arte non appare e del modo, delle forme politiche, in cui la stessa possa trovare l’energia di affermarsi.
Di tutto ciò converrà parlare in un’occasione successiva, se ci sarà lo spazio per farlo.
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