Nessuno sa se Putin abbia perso la ragione, ma questa scena in cui fonde un passato mitizzato a un presente reinventato fa pensare che sia scivolato in un mondo parallelo in cui gli piacerebbe far precipitare un intero popolo
Michel Eltchaninoff
La svastica sul sole è il titolo dell’edizione italiana, del 1965, di un romanzo di Philip Dick pubblicato tre anni prima negli Usa con il titolo The Man in the High Castle, ambientato in un mondo in cui le forze dell’Asse hanno vinto la seconda guerra mondiale e dove uno scrittore, Hawthorne Abendsen, appunto l’uomo dell’alto castello, racconta una storia alternativa, titolata La cavalletta non si alzerà più, che ha visto invece il trionfo degli angloamericani.
Il testo potrebbe essere considerato uno dei primi esempi di storia controfattuale, la storia del “Che cosa sarebbe successo se…?”, in questo caso a stravolgere la successione degli eventi è l’attentato a Roosevelt nel 1933, fallito in realtà ma riuscito nella finzione letteraria.
Il testo, piacevole e coinvolgente, pone il lettore di fronte ad un finale aperto o, se vogliamo, anche un po’ ambiguo, su cui però non aggiungiamo altro per evitare uno spiacevole spoileraggio per chi non conoscendo il libro ne fosse ora incuriosito. Del resto anche Dick non è stato molto esauriente in proposito, tanto che ci si potrebbe chiedere se siamo di fronte ad un lavoro incompiuto o meno, anche tenendo conto che più di dieci anni dopo la prima edizione aveva scritto i primi due capitoli di quella che avrebbe dovuto essere la continuazione dell’opera.
È però evidente che, per quanto riguarda le seguenti considerazioni su usi e abusi della storia da parte di Putin, il richiamo al titolo dell’edizione italiana del romanzo di Dick è dovuto alla sua forza evocativa e alle palesi analogie, sul piano dei comportamenti, delle aspirazioni e delle autogiustificazioni, tra l’autocrate russo e il fuhrer.
Lasciamo quindi agli appassionati e agli esegeti del più grande visionario della SF americana la questione se la narrazione riguardi una storia alternativa o un universo parallelo, una alterazione del continuum spazio temporale oppure una realtà fittizia che si è sovrapposta al mondo reale e se siano possibili contatti passaggi o ulteriori cortocircuiti tra il mondo in cui ha vinto Churchill e quello in cui ha vinto Hitler e passiamo a quello che la visione storica di Putin, le sue “verità alternative”, che ricordano gli “alternative facts” della propaganda trumpiana, e le conseguenti interpretazioni e ricostruzioni raccontano di lui, della sua guerra e del suo regime.
A qualche cosa ho accennato negli articoli precedenti, pubblicati su questo sito, ad esempio i non meglio precisati “antichi documenti” secondo cui il Granducato di Polonia e Lituania sarebbe stato più corretto chiamarlo Granducato di Russia e Polonia, o l’”assordante silenzio” sul patto Ribbentropp Molotov nel discorso sul ruolo dell’Urss nella seconda guerra mondiale.
Un caso particolare è l’atteggiamento nei confronti di Stalin: non essendo possibile negare l’Holodomor, le deportazioni e il gulag, ancora ben presenti nelle memorie della stragrande maggioranza delle famiglie ex sovietiche, allora se ne parla poco, per la verità sempre meno, si minimizza con contestualizzazioni un po’ traballanti e immancabilmente si porta il discorso sulla vittoria sul nazismo e la costruzione della potenza militare dell’Urss.
Omissioni e riaggiustamenti del passato, per altro già abbastanza rivelatori delle intenzioni dei propri autori, vanno però considerati sì nella loro specifica singolarità ma poi bisogna porre l’attenzione sull’insieme e sulla trama che li sottende e trasforma il tutto in qualcosa di diverso dalla somma delle singole parti.
Provo a spiegarmi meglio. Finché si tace sul patto tra Urss e terzo Reich, si nega la responsabilità sulla strage di Katyn e sulle fosse comuni in Carelia degli anni del terrore staliniano ci si macchia di disonestà intellettuale utilizzando omissioni, distorsioni o falsi storici per occultare un passato da nascondere di fronte al quale si dovrebbe provare un po’ di disagio. Se invece, oltre a tutto questo, il falso storico diventa dottrina dello stato per cui nei libri di testo la Seconda guerra mondiale, definita la Grande guerra patriottica, non inizia nel 1939 ma nel 1941, con l’aggressione dell’Unione Sovietica da parte della Germania, in modo da ignorare il periodo in cui le due potenze erano alleate nella spartizione della Polonia e dei paesi baltici e l’invasione della Finlandia; se, per quanto riguarda Katyn, malgrado la presentazione delle scuse al popolo polacco da parte di Gorbačëv nel 1990, trenta anni dopo la Società Russa di Storia Militare rimette in dubbio le responsabilità dell’Armata rossa; se scoprire e contestare la verità di stato, per giunta con l’indicazione dei responsabili, sulle esecuzioni di seimila vittime in Carelia negli anni del Grande Terrore costa al responsabile di Memorial, Jurij Dimitriev, quindici anni di reclusione in una colonia penale, allora siamo di fronte a qualcosa d’altro, molto più ambizioso, drammatico e criminale.
Tutto questo lavorio per diventare padrone del passato ha bisogno anche di interventi sul presente, ecco allora una serie di provvedimenti legislativi assai qualificanti:
- 2009: creazione di una Commissione presidenziale sulla storia, preposta al controllo della scrittura storica;
- 2012: istituzione della Società Storica Russa al fine di “arrivare ad una norma comune in materia di cultura e storia in armonia con gli interessi geopolitici della Russia”;
- 2012: nasce la Società Russa di Storia Militare;
- 2012: legge secondo cui le Ong devono registrarsi come “agente straniero”, il bersaglio principale è Memorial;
- 2014: si limita notevolmente l’accesso agli archivi;
- 2014: nuove leggi sulla memoria e inasprimento delle pene per chi contesta la “verità” di stato;
- 2020: la giusta lettura della “storia patriottica” è inserita nella Costituzione;
- 2021: compare la figura del “consigliere del direttore scolastico”, deputato al controllo dell’”educazione patriottica”;
- 2021: la Corte Suprema decreta lo scioglimento di Memorial International, accusata di “creare una falsa immagine dell’Urss come stato terrorista” e, tanto per restare in tema, di “assolvere e riabilitare i criminali nazisti”
Pochi giorni or sono, a completamento o forse sarebbe più corretto dire a coronamento di questo percorso, è arrivato l’annuncio del manuale unico di storia, dal 1945 ad oggi, per l’ultima classe delle superiori.
Non più solo una serie di interventi mirati a cancellare o, quando non è proprio possibile, ridimensionare dei crimini per assolvere le scelte del passato e giustificare quelle di oggi, ma una falsificazione globale che sfocia in un discorso metastorico. Una filosofia della storia attraverso cui il regime putiniano puntella la sua trasformazione da governo illiberale a ferocemente autoritario per giungere infine all’attuale costruzione dello stato totalitario.
Anche se nel dibattito attuale una definizione precisa e condivisa del totalitarismo è ancora da raggiungere, è innegabile però che nella Russia di Putin ne siano evidenti diversi tratti distintivi, a cominciare dal suo evidente carattere di “stato discrezionale”, verrebbe da aggiungere discrezionale non solo per quanto riguarda il diritto ma anche nei confronti della scienza storica. Altro aspetto da non sottovalutare è l’uso della polizia con fini terroristici prima ancora che repressivi, in proposito è significativa la riabilitazione di Dreržinskij, il fondatore della Čeka, nel settembre del 2014 e, due anni dopo, quella di Berija, “un funzionario che lavorava bene, nell’anonimato”…
Non mancano ai fini della costruzione del consenso l’indottrinamento precoce e la militarizzazione dell’infanzia. Citiamo solo la fondazione da parte del ministro della difesa Šojgu dell’associazione giovanile IunArmia, collegata a accademie e scuole militari rivolta ai ragazzi dagli otto anni in su, gli albi da colorare che hanno per oggetto la vita militare rivolti ai bambini da uno a tre anni e, infine, le carrozzine decorate in modo da sembrare carri armati.
Quest’ultima aberrazione è riportata da Anna Colin Lebedev (Jamais frères? Ukraine et Russie: une tragédie postsoviétique), dell’Università di Parigi Nanterre, che sottolinea anche la pervasività della violenza nella società russa e come sia tollerata quando non organizzata e incoraggiata in istituzioni quali le prigioni, l’esercito, la polizia, gli orfanotrofi e gli istituti per portatori di handicap, senza tralasciare la violenza domestica. Una violenza che è diventata parte dei dispositivi di mantenimento dell’ordine. La giornalista di Novaja Gazeta Elena Koštjucenko ne offre un’agghiacciante esempio relativo ad un istituto per bambini con disabilità intellettive nel suo La mia Russia, in un capitolo significativamente intitolato Il fascismo c’è da un pezzo (aprite gli occhi). Mentre i casi di Jurij Dimitriev e di altri esponenti di Memorial, uniti a quelli di Aleksej Naval’nyi e di Marija Ponomarenko, alla minaccia di “trasferimento” per i cittadini ucraini rimasti nei territori occupati che rifiutano il passaporto russo e le deportazioni dei bambini testimoniano il ritorno dell’universo concentrazionario.
Infine, con un crescendo impressionante a partire dal terzo mandato presidenziale di Putin, è sempre più evidente gli i di “religione politica” e di “confessionalizzazione della politica”, concetti analizzati e descritti da Emilio Gentile una ventina di anni fa (Le religioni della politica. Tra democrazie e totalitarismi).
La religione politica su cui si fonda il regime di Mosca è il Russkij mir, basato su una delirante antropologia secondo cui chi parla russo è russo e i russi sarebbero “un popolo geneticamente straordinario” come affermò Putin in un discorso trasmesso a reti unificate subito dopo l’annessione della Crimea.
In quanto religione secolare il totalitarismo di cui stiamo dicendo si presenta come un messianismo secondo cui la Russia sarebbe chiamata a salvare il mondo dalla perdizione dovuta alla scomparsa dei valori, provocata dalla decadenza Occidentale, nella prospettiva di un orizzonte salvifico che sarà raggiunto grazie alle vittorie militari contro il nemico.
A questo punto il richiamo al passato, opportunamente riveduto e corretto, diventa la fucina dei suo miti fondanti tra cui il primato culturale sui popoli slavi, Mosca come la Terza Roma in quanto sede dell’Ortodossia, la Russia imperiale, la conquista dello spazio e, soprattutto, la Grande Guerra Patriottica e la vittoria sul Nazismo, che hanno sostituito il mito della Rivoluzione d’Ottobre. Miti utili anche alla costruzione del nemico, altro tassello della politica totalitaria per la quale nemico è chiunque non solo si dimostri ostile ma anche semplicemente rimanga fuori dall’unità tra capo, stato e popolo. Quindi se la Russia nella sua missione storica e palingenetica ha già una volta sconfitto il nazismo, il male assoluto, chiunque ostacoli la Russia è nazista o perlomeno complice del nazismo e quindi del male assoluto. Questa accusa, con cui nel dopoguerra Stalin giustificava l’espulsione dalla loro terra e la deportazione dei Ceceni e dei Tatari di Crimea, è la stessa utilizzata da Putin per le guerre alla Georgia e all’Ucraina.
Giungiamo così al capolinea del percorso totalitario: il campo di sterminio che, come ha insegnato Hannah Arendt, ne rappresenta l’unicità e la novità. Un immenso campo di sterminio che ora è esportato fuori dei confini nazionali: l’altro ieri in Cecenia e in Georgia, ieri in Siria, oggi in Ucraina. Cosa dimostrano se non volontà di sterminio i bombardamenti di questi giorni, a Cherson e a Pokrovs’k, su strutture civili e ripetuti poche ore dopo in modo da colpire anche i soccorritori?
Premessa dello sterminio è la disumanizzazione, la negazione di ogni dignità singola e collettiva. Coloro che abitano in Ucraina non sono un popolo, quindi l’Ucraina non ha diritto di esistere come nazione, e questo, si comincia a dire nei dintorni del Cremlino, vale anche per il Kazakistan, entrambi paesi artificiali, senza storia e quindi senza identità e senza diritti.
Alla luce di queste considerazioni è evidente che i saccheggi e gli attacchi al patrimonio culturale ucraino, tra cui ricordiamo il tiro al bersaglio dell’artiglieria sulle antiche statue cumane, le polvstian baba, quasi un museo a cielo aperto nella regione di Luhans’k, che ricorda l’analogo esercizio dei Talebani sui Buddha di Bamiyan, i roghi dei libri in lingua ucraina, anche questi dovrebbero ricordare qualcosa, non sono, come saremmo portati a pensare a prima vista, barbarie gratuita ma rivelano un altro aspetto della guerra: il tentativo di genocidio culturale reso ancor più evidente nei primi giorni del conflitto dagli attacchi missilistici sul sito di Babyn Jar, sede del più grande eccidio di civili durante la seconda guerra mondiale, passato alla storia come “l’olocausto con le pallottole”. In due anni oltre centomila vittime in gran parte ebrei, ma anche malati di mente, Rom, sacerdoti, prigionieri sovietici, partigiani, comunisti e nazionalisti. Mentre in epoca sovietica esisteva in loco solo un monumento dedicato genericamente ai civili sovietici uccisi, dopo il crollo dell’Urss sono stati eretti, oltre a una grande Menorah, altri memoriali a ricordo di tutte le vittime e si è giunti all’istituzione di un centro di ricerca e documentazione dotato di biblioteca e museo.
Il Memoriale per l’Olocausto di Babyn Jar, probabilmente sarà realizzato completamente a guerra finita, ma insieme alla memoria dell’Holodomor, è già, oggi più che mai, un “monumento” fondante dell’Ucraina postsovietica e del suo nazionalismo civico, simbolo di una forte e determinata società civile il cui senso di appartenenza si basa non sull’etnia, sulla lingua, sull’ideologia o sulla fede religiosa ma su un comune progetto di libertà civili e politiche, democrazia e integrazione nell’Unione Europea.
Infine va considerato, oltre alla distruzione, il saccheggio sistematico delle opere d’arte e dei reperti museali, talmente macroscopico che sulla versione online del New York Times (2023/01/14) questa spoliazione, intesa a privare l’Ucraina del suo patrimonio culturale, è definita la più grande rapina d’arte dai tempi dei nazisti nella seconda guerra mondiale.
Ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, della veridicità di quanto scriveva Bernard-Henri Levy (Dunque, la guerra!) due settimane dopo l’aggressione all’Ucraina: Se c’è un responsabile da “denazificare” con urgenza, è lui, Vladimir Putin, con il suo culto della forza, la sua Anschluss slava e il suo modo di far risorgere, dal cono d’ombra del XX secolo, lo spettro della guerra totale, e poi ancora: L’unica “denazificzaione” urgente è quella dell’attuale Russia malata di se stessa che ha tutto dimenticato e nulla imparato e che è, oggi, la capitale del crimine in Europa.
Lascia un commento