Fra i tanti problemi che ha l’Italia, ce n’è uno di cui non si parla ma che costituisce il minimo comune denominatore di molti degli altri ed è quello legato alla qualità dell’informazione.
Il tema è importante perché sono i media che contribuiscono, in modo spesso decisivo, a creare nell’opinione pubblica determinate convinzioni o quantomeno a creare un clima culturale sul quale poi si possono innescare con più facilità certi messaggi. E la cosa vale sia in positivo, quando si dà spazio a particolari notizie, sia in negativo, quando invece le notizie si omettono.
Alcuni esempi servono a far capire l’importanza del tema.
Prendiamo un caso recentissimo, quello dei vaccini. Sappiamo da stampa e Tv che mentre negli USA, in Israele e in Gran Bretagna la somministrazione procede a ritmo serrato, in Europa invece stenta a decollare. La ragione è soprattutto una: in Europa ci sono meno vaccini. A fronte di questa evidenza però, non si approfondisce il problema e si punta subito alla spiegazione più semplice: la Commissione Europea ha fatto male i contratti con le case produttrici e non ha scelto due o tre vaccini su cui puntare, come invece hanno fatto i tre Paesi citati, di conseguenza non ha potuto ordinarne grandi quantitativi. L’ultimo in ordine tempo a ripetere quest’accusa il direttore di Repubblica, Molinari, che a una trasmissione di TV7 ha detto: “Credo sicuramente che la maggiore debolezza dell’Unione europea in questo momento sia nell’approvvigionamento dei vaccini a causa della particolarità dei contratti che sono stati sottoscritti con le case farmaceutiche”.
In pratica i contratti sono stati fatti male. L’opinione pubblica viene portata a credere che l’Europa sia solo burocrazia, per di più nemmeno efficiente. Solo che non è così. Chiarisce bene la questione, in una lettera a Repubblica, Fabio Colasanti, un economista che ha lavorato per molti anni alla Commissione europea a Bruxelles e che collabora con il nostro giornale. Ne pubblichiamo un estratto:
“Mi permetto di ricordarle che i contratti-quadro con le case farmaceutiche sono stati negoziati da tre/quattro funzionari della Commissione europea e da sette rappresentanti nazionali (per l’Italia, il dottor Ruocco). Questo gruppo di negoziatori ha fatto regolarmente rapporto (ogni venerdì alle 12.00) ad un gruppo dei rappresentanti dei 27 paesi membri).
Lei pensa che nessuna di queste persone abbia mai sollevato la desiderabilità di clausole più precise e con carattere obbligatorio per le consegne ? Più di trenta persone hanno discusso ogni riga dei contratti (ognuna di loro assistita dai propri esperti) e nessuno avrebbe avuto l’idea di introdurre queste clausole ?
La realtà è che l’estate scorsa, quando i contratti sono stati negoziati e firmati, si stava discutendo di vaccini che erano ancora solo delle speranze, di medicinali che nessuno aveva ancora mai prodotto in quella forma specifica e, soprattutto, non su una scala talmente massiccia da superare ampiamente quello che si fa per tutte le altre medicine……..
Quello che il governo italiano e l’Unione europea stanno facendo oggi è giustissimo. Bisogna incoraggiare e aiutare le imprese ad aumentare le loro capacità di produzione dei vaccini e del loro di infialamento. Ma questo andava fatto a settembre scorso, subito dopo la firma dei contratti…….
La realtà è che nell’incertezza che esisteva, l’Unione europea ha fatto benissimo a puntare su vari vaccini. Come ho spiegato in altra sede, l’operazione Warp Speed americana ha inizialmente puntato su dieci vaccini, ma poi nel corso dello sviluppo hanno concentrato le risorse su quelli più promettenti. Ma l’operazione Warp Speed americana ha operato con margini di discrezionalità che nessun paese europeo tollererebbe per i propri interventi nell’economia.”
Altro caso, ancora più eclatante e foriero di conseguenze. Nel 2007 due giornalisti del Corriere, Stella e Rizzo, pubblicarono un libro La Casta che, pur partendo da situazioni reali, metteva sotto accusa la classe politica facendo di ogni erba un fascio. Il libro ebbe un successo clamoroso e diede il via ad un vero e proprio filone giornalistico e comunicativo che faceva a gara ad attaccare ogni aspetto della vita politica. Fu anche a causa di quel clima culturale e di quelle campagne di stampa che si sviluppò nel Paese un filone populista e qualunquista che solo oggi sembra inizi a perdere forza.
Naturalmente una politica debole e sotto accusa lascia dei grandi spazi vuoti, che, anche in quegli anni, come già era avvenuto in passato, furono occupati da forze emergenti che guarda caso fecero del settore dell’informazione proprio il loro punto di forza.
Ma oltre alle notizie che vengono date, spesso ampliandole a dismisura, anche le notizie non date hanno un effetto diretto sull’opinione pubblica, in questo caso ovviamente non suscitando reazioni che si vogliono evitare. E’ quanto é successo mesi addietro. Ne parlò a suo tempo solo Il Riformista. La Procura di Perugia che indaga sul caso Palamara, altro scandalo di cui i giornali si sono occupati ben poco, pubblicò migliaia di pagine di intercettazioni telefoniche del cellulare appunto del magistrato. In quelle sbobinature non ci sono solo le telefonate con tantissimi magistrati ma ci sono altrettante telefonate con tantissimi giornalisti. Scrisse Il Riformista “Sono intercettazioni infami, come sempre lo sono le intercettazioni. Dunque, a rigor di logica, perché bisognerebbe pubblicarle? Per una sola, piccolissima, ragione. Perché i giornalisti che stavolta sono stati intercettati sono esattamente gli stessi che di solito pubblicano paginate intere di intercettazioni, generalmente ai politici o ai loro amici o familiari, sebbene queste intercettazioni non contengano nessuna notizia di reato. Spesso, anzi, pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati”.
Solo che nessuno ne parlò allora e continua a non parlarne nemmeno oggi per non screditare giornalisti anche di nome che scrivono per testate importanti. Guai ad insinuare il sospetto nell’opinione pubblica che chi scrive sui giornali o parla in TV non sia sempre e comunque al servizio della verità.
Certo, non tutti i giornalisti e non tutta l’informazione è così. Anzi, molti svolgono con correttezza il proprio lavoro. Ma chi non rispetta l’etica del giornalismo, chi più o meno consapevolmente si mette al servizio di interessi di parte o anche solo chi si adegua, contribuisce ad alimentare un clima di sfiducia sul quale possono poi innestarsi derive pericolose. Ed anche se questi sono una minoranza, creano danni gravissimi alla convivenza ed avvelenano il clima democratico del Paese.
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