A sollevare il problema è stato Sergio Romano sul “Corriere della Sera” (14 novembre 2021) in riferimento a ciò che scrive Romano Prodi nel recente libro autobiografico intitolato Strana vita, la mia (Solferino). Quando Prodi era Presidente della Commissione europea dal settembre 1999 al novembre 2004 favorì l’allargamento dell’Unione, tanto che proprio nel 2004 entrarono contemporaneamente nella Ue ben 10 Stati: Cipro, Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia e Ungheria. Prodi scrive che, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, non era possibile non dare risposta al bisogno di democrazia e di libertà di popoli che avevano vissuto «all’ombra della dittatura». Furono, in verità, gli anni dell’euforia e della globalizzazione, il sogno di un’ Europa e di un mondo senza confini. Prodi ha ragione, ma non vi è dubbio che il Trattato costituzionale, a cui si stava lavorando e che poi fu respinto dal referendum in Francia e da altri paesi dell’Unione, poteva costituire la giusta cornice per uno sviluppo dell’Unione con regole più chiare e senza il fardello del voto all’unanimità che, a volte, ha bloccato lo sviluppo dell’Unione. Tutto sarebbe andato meglio, secondo Sergio Romano, se l’Unione europea si fosse organizzata in due categorie di paesi: quelli che desideravano l’unità dell’Europa, sacrificando la loro sovranità nazionale, e quelli che invece volevano conservarla. Visto, secondo noi, che da poco erano tornati a godere della loro autonomia nazionale con il crollo dell’impero sovietico. Sergio Romano cita come esempio per questi ultimi il Commonwealth inglese, creato dopo la concessione dell’indipendenza alle loro vecchie colonie. Il Commonwealth, in effetti, è una istituzione molto variegata, con un presidente, oggi la Regina Elisabetta II, con 55 Stati indipendenti fra i quali 24 regni e 31 repubbliche. Tutti gli aderenti al Commonwealth hanno una politica estera indipendente e sono liberi di costruire accordi economici con gli Stati membri. Il paragone di Romano è suggestivo, ma non regge. Il vero problema è il fallimento del Trattato costituzionale e la mancata volontà e forza politica di adottare il voto a maggioranza che sempre più rappresenta una limitazione nelle decisioni della Ue. Il diritto di veto è tipico degli Stati confederali, ma almeno si definiscono i campi e le materie. Nella politica estera, di difesa e di sicurezza, così come nella politica fiscale, secondo Romano Prodi, bisognerebbe abbandonare il diritto di veto ed adottare le decisioni a maggioranza anche qualificata. Una posizione, quella di Prodi, realistica, ma che ancora stenta a tradursi in una revisione dei trattati.
Tratto da Notiziario ISFE
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