Uno studioso dalla visione ottimistica del futuro come Ian Goldin, docente di Sviluppo e Globalizzazione all’Università di Oxford, nel suo ultimo volume “Rescue. From global crisis to a better world” ha esaminato gli effetti a breve e lungo termine della pandemia, mettendo in evidenza più che la ripresa dopo la calamità, le opportunità di cambiamento insite nella crisi stessa. Tali sfide riguardano la globalizzazione e la geopolitica, la disuguaglianza e il lavoro, la crisi climatica e la città moderna. Tuttavia, in un articolo di questi giorni sul Financial Times ha affrontato il tema cruciale delle dinamiche della popolazione, ribaltando la massima attribuita ad Auguste Comte, “la demografia è destino”, che sta a indicare il modo in cui l’andamento e la distribuzione della popolazione potevano determinare le sorti di una nazione. Goldin ha scritto, a proposito dell’evoluzione del mondo attuale, che “la demografia non è destino”, visto che, per la prima volta nella storia, in vari Paesi europei e in Giappone si sta verificando un fenomeno sempre più ampio di un numero di individui di età superiore ai 65 anni che oltrepassa quello di persone con età inferiore ai 5 anni. Tale longevità, volta a raddoppiare il totale di anziani in soli 20 anni, è legata ai progressi nella medicina e nella salute pubblica, che hanno permesso l’innalzamento dell’età media. Al tempo stesso, la rapidità del calo dei tassi di natalità da occidente a oriente (Stati Uniti, Brasile, Italia, Ungheria, Polonia, Russia, Corea del Sud, Giappone, Cina e persino India) contribuisce a un mutamento della struttura della popolazione al di sotto del livello di sostituzione. Questa duplice circostanza di una caduta della fertilità e di una più estesa durata della vita, come nota Goldin, sta portando a un precoce invecchiamento di molte società. Inoltre, la popolazione in età lavorativa di ben 38 Paesi dell’Ocse, se non dovessero registrarsi maggiori flussi migratori, diminuirebbe di un quarto nei prossimi trent’anni. Questi processi hanno un impatto inevitabile sull’economia, non solo perché una popolazione anziana, peraltro in costante crescita, è sottoposta alla capacità reddituale e contributiva di una porzione ridotta di soggetti attivi nel lavoro, ma anche perché in un’epoca di cambiamento demografico, parafrasando Keynes, “una situazione di eccesso d’offerta è difficile da correggere, sicché si può determinare un’atmosfera di pessimismo”. In Italia, il tema è particolarmente significativo, specie se collocato all’interno della “seconda transizione demografica” in corso nelle aree avanzate. Il nuovo rapporto tra natalità e longevità affida il sostegno alla popolazione a due fattori cruciali, l’incremento di produttività e i movimenti migratori, che non è detto siano in grado di colmare il vuoto di lavoratori (e competenze) necessari per lo sviluppo del Paese. Nel passato, il Nord e il Sud hanno sperimentato percorsi demografici differenziati. Andrea Ramazzotti, un giovane e promettente ricercatore, nel libro “Il lento avvicinamento” esamina una specifica forma di dualismo nel lungo periodo tra la concentrazione demografica delle regioni centro-settentrionali in nuclei urbani medio-grandi e la distribuzione più articolata del Mezzogiorno, con poche città di dimensioni rilevanti. Eppure, questa modalità di ripartizione della popolazione si è modificata nel tempo, mostrando oggi aspetti simili nei territori meridionali e in quelli del resto del Paese. I rapporti sull’economia e sulla società del Mezzogiorno degli ultimi anni e un articolo di Delio Miotti della Svimez hanno sottolineato, inoltre, l’esistenza di una relazione tra squilibri demografici e migrazioni, come caratteristica dei “nuovi termini della questione meridionale” e vulnus fondamentale per l’avvenire del Sud. Secondo questa prospettiva, si contrarranno progressivamente le giovani generazioni e si assottiglieranno in modo consistente le fasce in età di lavoro, influendo notevolmente sulle dinamiche del sistema economico. In questo quadro, se non si vuole affidare solo alla demografia il compito di definire le sorti del Mezzogiorno e dell’Italia, occorre affrontare risolutamente la questione. Il futuro, infatti, va costruito con l’attivazione di indirizzi politici e forze economiche. Secondo Ian Goldin, “la demografia non è destino, ma deve informare le politiche pubbliche e le decisioni individuali”, ponendo al centro delle scelte di governo il miglioramento delle condizioni di salute, l’allungamento della vita lavorativa, l’accoglienza di più migranti, l’aumento della produttività, il potenziamento di risparmi e investimenti. Si tratta di opzioni di fondo, che richiedono, anche nella temperie di una campagna elettorale, un confronto e una precisa assunzione di responsabilità da parte delle classi dirigenti. Riuscirà il nostro Paese a farsi carico adeguatamente di questo problema, quanto meno nel contesto europeo, oppure si adatterà a uno scenario demografico dagli effetti rovinosi sull’evoluzione della crescita nei prossimi anni? Nel film “Cose dell’altro mondo” di Francesco Patierno, l’intreccio di storie di una cittadina veneta – in cui un imprenditore reclama uno “tsunami purificatore” degli immigrati che lo popolano – si risolve con un violento temporale notturno, seguito dalla sparizione nel nulla di tutte le persone di origine straniera. Al risveglio, la comunità (e lo stesso imprenditore) si trova, senza più lavoratori e affetti essenziali per la prosperità di quel territorio, a dover rimpiangere chi voleva mandare via, constatando una irrimediabile crisi. Speriamo che dalla competizione elettorale in corso emergano forze consapevoli della necessità di uscire dalla trappola demografica, attraverso un più saldo aggancio all’Europa e alla promozione di strategie innovative di innalzamento dei livelli di formazione, produttività e accoglienza.
(questo articolo, già pubblicato dal quotidiano Il Mattino, è ripreso con il consenso dell’autore)
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