“Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. Non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci il pane e spazio che sono già scarsi”. Affermazioni tratte dall’articolo a firma del partigiano e senatore comunista Piero Montagnani con cui L’Unità del 30 novembre 1946 invita a negare ogni ospitalità ai profughi italiani in fuga dall’Istria e dalla Dalmazia. A essi il Pci, i suoi dirigenti, le sue organizzazioni, i suoi sindacati, i suoi militanti riservarono la qualifica di «fascisti», a causa della loro pavida fuga dal paradiso titino dell’“eguaglianza e della fraternità socialista”.
Per non dimenticare quella tragedia una legge del 2004 ha dichiarato il 10 febbraio Giorno del ricordo.
Le complesse vicende del confine orientale italiano, sottoposto a profondi e drammatici sconvolgimenti tra le due guerre mondiali, non hanno ottenuto un approfondimento adeguato nel dibattito storiografico, culturale e politico e nemmeno uno spazio adeguato sui libri di testo delle scuole, ancora troppo timidi nel raccontare, quando non addirittura reticenti.
Rispetto a qualche anno fa sono meno forti le iniziative di coloro che vorrebbero derubricare l’espulsione degli italiani a vendetta di guerra generata dall’odio per l’occupazione fascista; come hanno perso l’iniziale carattere revanscista le prese di posizione rivolte a denunciare l’odio contro gli slavi.
Le nefandezze delle truppe italiane di occupazione vi furono. Ma il nesso con le foibe indigna i parenti delle vittime; perché nelle foibe finirono persone che avevano come unica “colpa” essere italiani.
Tra la fine della guerra e negli anni successivi circa 350 mila tra istriani, giuliani e dalmati furono costrette a fuggire dalle proprie case, dalla propria terre per essere accolti in Italia tra diffidenza e indifferenza. Altri decisero di rimanere, riscoprendosi giorno dopo giorno stranieri a casa propria. A questi si aggiungono gli italiani del cosiddetto “controesodo”: comunisti partiti alla volta della Jugoslavia e finiti nei gulag jugoslavi: il più tragicamente famoso è quello di Goli Otak, l’Isola Calva nell’adriatico settentrionale.
Le morti per infoibamento dai parte dei comunisti jugoslavi furono vere e proprie esecuzioni di massa che videro morire almeno 6.000-7.000 nostri connazionali mentre altri 6.000 scomparvero nelle fosse comuni, fucilati, affogati in mare.
La foiba di Basovizza, l’eccidio di Porzus nel febbraio del 1944, con eliminazione, ad opera di partigiani comunisti dei partigiani bianchi di ispirazione cattolica liberale e socialista della Brigata Osoppo, l’assassinio di Norma Cossetto, la strage con 65 morti sulla spiaggia di Vergarolla nell’agosto del ’46 dell’Ozna la polizia politica jugoslava. E dato che siamo nei giorni del festival di Sanremo, il lavoro teatrale di Simone Cristicchi dedicato alle speranze estreme e alle vite degli esuli italiani racchiuse in qualche scatolone ancora ammassato a Trieste nel Magazzino 18. Sono solo alcuni degli episodi che ci richiamano ad assolvere al dovere di onorare persone che la Repubblica italiana ha colpevolmente dimenticato, strappando una pagina di storia per calcoli di bassa geopolitica.
Duranti gli accordi di Parigi del ’47 fu inutile il richiamo di De Gasperi e di personalità come Benedetto Croce, Gaetano Salvemini Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele Orlando, Leo Valiani Don Luigi Sturzo ai principi di autodeterminazione della carta atlantica che avrebbe dovuto riconoscere il diritto di consultazione alle popolazioni sui cambiamenti territoriali.
Durante la Guerra fredda, per l’Italia e per tutto il blocco occidentale , la Jugoslavia comunista ma neutrale costituiva un fondamentale cuscinetto strategico nei confronti della minaccia sovietica. Nel Trattato di Osimo il governo Moro rinuncio a farsi garante della salvaguardia dell’identità della popolazione di lingua italiana in Yugoslavia. L’Italia del 1975 aveva tutto per la testa fuorché affrontare una scontro diplomatica con il Maresciallo Tito: infuriavano gli scontri di piazza, il terrorismo mieteva vittime, il boom economico era finito, l’inflazione cresceva e si era già in odore di compromesso storico.
Diventano ancora di più necessari tutti gli approfondimenti storici che consentano di redigere una mappa più precisa dei quei tragici avvenimenti di quelle terre. Un contributo in questo senso ci viene da Dino Messina nel libro Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta della nostra storia (Solferino).
Edoardo Tabasso
Lascia un commento