Non credo di essere il solo “oppresso di stupore”, per dirla con Dante. E mi spiego. Oggi vedo entusiasmo per il fatto che tutto si riapre o quasi. Tutti noi speriamo che non si debba tornare indietro di fronte ad una ripresa (speriamo di no) del contagio e a nuove vittime. Non conosco le misure sanitaria adottate dal Governo o dalla Regione: non mi pare sia in atto una strategia organizzata e basata sulle cinque T ( test, tamponi, testare, trovare, trattare). L‘unica politica sanitaria si basa sul distanziamento fisico. Quello sociale è in atto da prima della pandemia. Ma anche il distanziamento fisico mi sembra sia direttamente proporzionale alla responsabilità o, forse per dirla tutta, alla paura di essere contagiati. Ma man mano che le cose vanno meglio e i bollettini ci sembrano meno drammatici e infausti, anche le distanze si riducono.
« O cives, cives, quaerenda pecunia primum est, virtus post nummes! » scriveva Orazio, ovvero, cari cittadini, bisogna cercare prima i soldi, la virtù viene dopo i quattrini. È umano e nel corso dei secoli questa frase è diventata un proverbio dal “primum vivere deinde philosophari” al buon Bertolt Brecht, che, nell’Opera da tre soldi al Piccolo Teatro, fa dire “prima la trippa, poi viene la virtù”. È così, e lo dico senza alcun moralismo. Ma accanto a questa esigenza naturale, ci dovrebbe essere spazio anche per pensare concretamente all’oggi, perché riaprire le scuole non è una questione del futuro, è una opportunità ed una esigenza dell’oggi. La cosa che mi stupisce è che da nessuna parte, in questi giorni, per non parlare dei mesi precedenti, è venuto un appello, una pressante richiesta di aprire le scuole. Si parla tutt’al più di maturità.
Nel confronto Governo e Presidenti delle Regioni non credo si sia parlato minimamente delle scuole. Si parla del calcio, e non ne faccio una cosa demagogica, scuola contro calcio. Attorno al calcio si muovono migliaia di milioni di euro, oltre che centinaia di migliaia di appassionati: abbiamo tutti presente Atalanta Valencia e quello che è successo dopo, a Bergamo e a Valencia. Mi va bene tutto. Ma non sopporto un Paese che non si ponga prima di tutto l’apertura delle scuole, e mi pare che per le misure organizzative sia in vigore l’autonomia scolastica, d’intesa con i Comuni, per le scuole dell’obbligo. La scuola dell’obbligo non funziona con la didattica a distanza, o con i compiti a casa.
Non è fissata neanche una data certa a settembre. E perché non aprire a luglio, o anche ad agosto ? Niente sarà come prima, ci hanno detto, ma intanto si rinvia la scuola a settembre, come prima, più di prima. E la cosa che mi amareggia ancora di più è che la sinistra dovrebbe porre con forza il tema: perché quelli che ci rimettono di più sono i figli degli svantaggiati, delle famiglie meno abbienti. Ed è bene sapere che l’abbandono scolastico non colpisce chi abita in via Montenapoleone, ma quelli che vivono a Gratosoglio o a Quarto Oggiaro.
Anche adesso, tutti, e dico tutti, si sono dimenticati che questo è il Paese europeo al primo (ripeto), al primo posto per numero di giovani tra i 15-29 anni che sono NEET “not in education, employment or training”: due milioni cento sedici mila pari al 23,4% della popolazione, più del doppio della media dell’Unione europea. Siamo davanti alla Grecia, alla Bulgaria, la Romania e la Croazia.
Non porsi il problema prioritario del funzionamento delle scuole dell’obbligo, per recuperare sei mesi di inattività, e di far ciò al più presto, può solo significare che non abbiamo presente la gravità della situazione civile e culturale, che finisce per pesare anche sulla condizione sociale ed economica di un Paese, che si gloria del passato, ma non ha contezza del presente e del futuro. Ahimè.
Pubblicato su “La Repubblica Milano” Pagina 1/ giovedì 21 maggio 2020
(questo articolo è stato ripreso dal sito http://www.ilmigliorista.eu con il consenso dell’amministratore del sito)
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