” Ormai l’inverno del nostro scontento s’è fatto estate radiosa ai raggi di questo sole di York”
” Riccardo III” di W. Shakespeare
Il Riccardo III di Shakespeare apre con queste parole e, senza che la storia del protagonista abbia alcun riferimento in questo contesto scolastico, cito queste parole perché mi servono per esprimere un desiderio e per dare una prospettiva positiva al tema della scuola italiana.
Una istituzione, come la scuola, a cui è delegata la formazione dei giovani, ha bisogno di stabilità, di certezze, di punti di riferimento precisi. La continuità alla guida di un ministero è un elemento importante da tener in considerazione, soprattutto nel campo dell’istruzione, dove le trasformazioni sono indirizzate, per la maggior parte, verso persone (alunni, docenti e famiglie); continuità che serve per capire e/o per valutare quanto e come le leggi emanate siano state capaci di modificare un sistema complesso come quello scolastico. La nostra scuola si caratterizza invece per una perenne instabilità.
Instabili sono stati i governi e di conseguenza i ministri. Dal 2000 ad aggi abbiamo assistito al susseguirsi di ben 12 ministri alla guida del Ministero della pubblica istruzione a cui è stato aggiunto, da alcuni, il ministero per l’università e la ricerca. Li elenco per ricordare quanti e quali sono stati ed anche perché di alcuni ne abbiamo sicuramente perso memoria. Berlinguer (96/2000), Tullio de Mauro (2000/2001), Moratti (2001/2006), Fioroni (2006/2008), Gelmini (2008/2011), Profumo (2011/2013), Carrozza (2013/2014), Giannini (2014/2016), Fedeli (2016/2018), Bussetti (2018/2019), Fioramonti (sett. 2019/dic./2019), Azzolina (2020/2021).
Tutti i ministri hanno apportato modifiche e riforme tanto che la scuola ne è stata letteralmente travolta; un cambio continuo di norme e riferimenti a volte anche in opposizione a quelle emanate dal ministro precedente. Se oggi ci sfuggono alcuni nomi di ex ministri, nella pratica le loro leggi o decreti sono ancora funzionanti.
Perché sia compreso dai non addetti ai lavori, o da chi ha poca pratica con il mondo della scuola, cercherò di semplificare elencando solo i cambiamenti più significativi, prendendo in considerazione le linee generali delle riforme dal ’98 al 2021, cioè dal min. Berlinguer in avanti.
La riforma Berlinguer riguardava un progetto di riforma complessivo dell’intero sistema di istruzione. Berlinguer la chiamò la “strategia del mosaico” perché composta da un insieme organico di interventi normativi capaci di delineare un nuovo percorso di studi che andava dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado (riforma dei cicli), alla formazione post-diploma, all’educazione degli adulti, all’università. La conclusione dell’obbligo a 15 anni e l’uscita dalla secondaria a 18 anni allineava l’Italia al resto dell’Europa. Di quel periodo ci ricordiamo l’autonomia scolastica, la famosa commissione definita dei “saggi”, il concorsone” che aveva come obiettivo quello di riconoscere e incentivare economicamente il lavoro professionale partendo dalla valutazione dell’attività svolta nel lavoro in classe. Progetto a cui si contrappose la classe docente corporativa sia di destra che di sinistra, che finì per avversare tutta la riforma.
Il Ministro De Mauro, rimase in carica per circa un anno e continuò la linea intrapresa da Berlinguer, ma le sue idee sulla scuola rimasero lettera morta.
Arrivò, con il governo di destra, il ministro Moratti le cui riforme furono contrassegnate dalla discontinuità con le riforme precedenti; il riordino dei cicli, di fatto, non entrò mai in vigore. Gli interventi del ministro Moratti fecero tramontare l’idea della possibilità di attuare una riforma complessiva dell’intero sistema dell’istruzione. La sua riforma abbassava l’età di ingresso dei bambini alla scuola dell’infanzia ed alla scuola primaria, (rispettivamente a 3 e 6 anni, compiuti entro febbraio del medesimo anno) ma riportò l’innalzamento dell’obbligo di istruzione/formazione a 18 anni.
Il Decreto che maggiormente rivelò il disegno di riforma del ministro Moratti (il D.lgs. n. 226/2005) ridisegnava l’intero sistema della secondaria di secondo grado, imperniato sui licei: artistico, classico, economico, linguistico, musicale coreutico, scientifico, tecnologico e delle scienze umane. Il sistema della formazione professionale sarebbe stato di competenza esclusiva delle Regioni e non più dello Stato; un sistema duale, una proposta questa di difficile realizzazione sia perché in contrasto con i principi costituzionali (titolo V della Costituzione) sia perché declassava l’istruzione tecnica e professionale.
Le idee di fondo della riforma Moratti si possono sintetizzare nella volontà di ridimensionare gli interventi dello Stato, e della libera concorrenza tra scuola pubblica e scuola privata. Per il centrodestra la scuola aveva un costo eccessivo, troppi insegnanti, troppi sprechi e soprattutto troppe erano le ore di scuola settimanali, da qui la necessità di ridurre e tagliare il tempo prolungato e il tempo pieno.
Il ministro Fioroni, che succede al ministro Moratti, nel governo di centro sinistra del 2006, dichiarò che non avrebbe apportato alcuna modifica al sistema scolastico, definendo il suo intervento con la metafora della “strategia del cacciavite” perché intendeva apportare solo dei correttivi necessari per rendere più efficace e moderno il sistema scuola. Nel suo breve governo abolì l’entrata anticipata e riportò l’obbligo scolastico a 16 anni. Ricondusse anche gli istituti tecnici e professionali nel sistema statale, proposta che il ministro Moratti avrebbe voluto invece passare alle Regioni.
La riforma Gelmini è ricordata soprattutto come “riforma Tremonti” e si caratterizzò per l’unica finalità di tagliare il bilancio della Pubblica istruzione. Ritornò il maestro unico e un tempo scuola ridotto in tutti gli ordini di scuola (24, 29,30 ore settimanali, senza tempo pieno) riducendo quindi l’organico di docenti e personale ATA e ripristinò un modello di scuola obsoleto e tradizionale. Tagliò anche le ore d’insegnamento delle materie ” d’indirizzo” negli Istituti Tecnici.Reintrodusse la valutazione in decimi alla scuola elementare e affossò la scuola professionale ed ancora, soppresse le scuole sottodimensionate e accorpò gli istituti con meno di 500 iscritti, causando così gravi problemi alle famiglie ed alla gestione e funzionalità del sistema scolastico. Fu anche introdotta la prova nazionale Invalsi.
Il ministro Profumo reintrodusse i concorsi a cattedre, che erano bloccati da tanti anni e per 300mila candidati arrivò un concorso per diventare professori. Le sue parole d’ordine furono Modernità, Merito, Tecnologia e Inglese, parole già care al Ministro Gelmini; in poche parole soldi a scuole e atenei migliori, e premi agli studenti più bravi che avrebbero avuto sconti sull’autobus, sull’ingresso ai musei e sulle tasse universitarie. Insomma una riforma tarata sul principio del merito che prevedeva sconti e agevolazioni agli studenti più bravi, tenendo conto del reddito. Prevedeva selezioni e competizioni per far sì che l’eccellenza approdasse al mondo del lavoro, ai vertici della cultura e dell’arte. E ancora, olimpiadi della matematica, dell’italiano, dell’astronomia, concorsi nazionali ed internazionali ed anche all’università,premi per i migliori laureati e per i migliori dottorati, sgravi fiscali per le aziende che li avrebbero assunti, tagli dei finanziamenti agli atenei che invece non avessero assunto i professori migliori e fondi per chi pubblicava in lingua inglese.
Gli anni dal 2014 al 2016 e fino al 2018 sono caratterizzati dalla riforma Renzi/Giannini, chiamata la ” Buona Scuola”. Prevedeva interventi sul personale docente e furono assunti 100.000 docenti in modo da eliminare le graduatorie e di conseguenza porre fine al precariato. Vennero assunti tutti i vincitori di concorso a cattedre ed anche quelli delle graduatorie. Prevedeva scatti di carriera ed aumenti di stipendio sulla base di valutazioni di merito del dirigente scolastico (in precedenza avveniva solo per anzianità) ed incentivazione dell’autonomia attraverso maggiori risorse finanziarie agli istituti scolastici. Era previsto un organico d’istituto (7 docenti in più in ogni scuola) per far fronte a supplenze, una nuova figura di dirigente scolastico e l’aumento delle ore d’inglese nella scuola primaria. La scuola superiore avrebbe destinato un monte ore all’alternanza Scuola – lavoro e sarebbero aumentati i Fondi per l’Edilizia scolastica.
Nel 2016, il ministro Fedeli, durato in carica due anni, si cimentò sui temi della valutazione degli studenti, su di un nuovo esame di Stato della scuola secondaria di I grado che era quello della riforma della “buona scuola di Renzi”, sulla Certificazione delle competenze secondo un modello unico nazionale. Questo ministro è stato uno dei più contestati per gaffe e per il suo mancato titolo di studio.
I ministri che seguono, tutti facenti parte del movimento 5s, sono a dir poco imbarazzanti. Il Ministro Bussetti, in carica un anno, 2018/2019, sarà ricordato per la circolare indirizzata a dirigenti, docenti, studenti e genitori che riduceva la quantità dei compiti a casa degli studenti durante le vacanze di Natale. Il Ministro Fioramonti che durò in carica 3 mesi prima di dare le dimissioni, ed il ministro Azzolina, che sarà ricordata per l’acquisto dei banchi a rotelle.
Le riforme fino a qui ricordate, una volta calate nei singoli istituti scolastici creavano stravolgimenti nell’organizzazione, malcontento nel personale, sopraffatto da impegni aggiuntivi, da ulteriore burocratizzazione dei documenti scolastici (pagelle, certificazioni) ed anche nelle famiglie e studenti, che vedevano cambiare i punti di riferimento (obbligo scolastico, età scolare, modalità di esecuzione dell’esame di stato).
La sfida quindi per la scuola italiana rimane ancora quella di superare il modello gentiliano fondato su ordini di scuola separati e con gli studenti che escono dal sistema formativo a 19 anni, a confronto dei 18 anni dei paesi europei.
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