La pandemia, con la sua richiesta di concretezza e competenza, ha certamente influito. Ma certo non si era mai visto evaporare così velocemente un consenso elettorale. Queste elezioni, sia pure sul piano amministrativo, hanno praticamente azzerato i voti dei Cinquestelle che sono passati da una percentuale superiore al 30 per cento a una quota di consensi che mediamente oscilla attorno al 5 per cento. E cosa ancora più significativa un 5% mai determinante per raggiungere la maggioranza, nemmeno a Bologna e a Napoli dove si sono registrati i successi maggiori per il centro sinistra. A frenare la corsa al ribasso non è servito nemmeno il cambio in corsa di leadership e di linea politica che i grillini hanno operato nell’ultimo anno. Giuseppe Conte non è riuscito ad attrarre nuovi consensi e forse ha definitivamente allontanato i vecchi supporter che, anche giustamente, non si sono più riconosciuti, il successo delle liste di Paragone lo dimostra, in una linea neo-centrista che, nei fatti, ha rinnegato tutte le battaglie identitarie del movimento. Ora, a meno che il PD non tenti una rianimazione intensiva regalando qualche posto nelle varie giunte, il destino dei Cinquestelle è quello dell’irrilevanza politica.
La debacle pentastellata, unita alla flessione registrata dalla Lega, è il dato politico più importante di questa tornata elettorale. Anche la battuta d’arresto del partito di Salvini, che frana a Milano, viene quasi dovunque superato da Fratelli d’Italia e si ridimensiona al sud, ha, sul fronte del centrodestra, lo stesso significato politico. È la sconfitta del populismo che, alla prova dei fatti e della capacità di governare una società complessa come quella moderna, mostra tutta la sua inconsistenza.
Il dato non è contraddetto ma confermato dall’avanzata, sia pure minore delle previsioni, delle liste della Meloni che, stando all’opposizione, non deve confrontarsi con la forza della realtà. Il populismo si alimenta con la politica delle parole. La sua forza sta nel proporre ricette la cui validità non deve essere dimostrata sul campo. Ma proprio per questo quei voti sono, nella migliore delle ipotesi, inutili se non addirittura dannosi perché, se i populisti sono al governo le misure introdotte, non essendo calibrate sulla realtà, produrranno effetti negativi e se sono all’opposizione alimentano solo delle illusioni.
Oltre alla sconfitta populista, l’altro dato che emerge dalle urne è quello dell’alto astensionismo. Le cause per cui gli elettori non vanno a votare possono essere molte ma, indipendentemente da queste, la mancata partecipazione sta a significare una carenza di offerta politica, non sul piano quantitativo ma qualitativo. Gli elettori non trovano proposte in cui riconoscersi o alle quali possano partecipare con convinzione. E di conseguenza stanno a casa.
Resta ora da vedere come i partiti e gli schieramenti reagiranno al voto. Intanto c’è da registrare la reazione del governo Draghi che, fortunatamente, non sembra intenzionato a muoversi di un millimetro. Va avanti per la sua strada tutta tesa a portare a termine le riforme che sono indispensabili al PNRR. Prescindeva dal populismo prima e continua a prescinderne oggi. Nemmeno a fronte dell’impennata leghista sulla riforma del catasto ha battuto un ciglio. Si è limitato a rigettare la palla nel campo leghista aspettando che da quel partito maturino decisioni condivise e quasi sicuramente tutto finirà in una bolla di sapone.
Cosa faranno invece centro-sinistra e centro-destra di fronte alla sconfitta del populismo? È ancora presto per avere indicazioni, anche se le prime mosse fanno intendere che ognuno resta sulle vecchie scelte: alleanza giallorossa per Letta, deriva populista per Salvini e Meloni. La nostra speranza, importa dirlo?, è che invece prendano atto dei messaggi che arrivano dal voto. Il che vorrebbe dire per il PD accantonare l’asse con MS5 e privilegiare il rapporto con l’area liberaldemocratica, grazie anche all’ottimo risultato di Calenda a Roma, e per il centro-destra tornare ad un’impostazione centrista, cosa quest’ultima più facile a dirsi che a farsi visti gli attuali rapporti di forza.
Beppe Merlo
L’area liberal-democratica e’ una nebulosa più’ sponsorizzata dalla congiunzione tra ceti dell’informazione e della politica in cerca di rilancio. Per ora e’ solo tatticismo elettorale, i cui risultati evidenziano quanto L’ aspirazione sia più di tipo top-down che bottom up.