La sentenza dei giudici della Corte di Assise d’Appello di Palermo non ha costituito soltanto una sconfitta per quella parte della magistratura (in realtà buona parte delle Procure) che più che alla giustizia si è finora ispirata al giustizialismo. Non a caso da decenni si è parlato di ”circo mediatico-giudiziario” perché si era creata una perversa alleanza tra un certo numero di Procure e alcuni dei maggiori quotidiani italiani che faceva sì che i processi, di fatto, non si svolgessero nelle aule dei tribunali ma sulle pagine di certi quotidiani, creando un clima di condanna preventiva che influenzava pesantemente non solo la vita politica del Paese ma lo stesso comportamento della magistratura giudicante. Per fortuna quest’ultima si è in buona parte sottratta a questo condizionamento ma ci sono voluti decenni perché ciò avvenisse.
Che la sentenza di Palermo abbia costituito una sconfitta non solo per le Procure giustizialiste ma anche per una certa stampa altrettanto e più giustizialista lo dimostra il suo comportamento di quest’ultima di fronte alla sentenza; che la sentenza costituisse la principale notizia del giorno era evidente per qualsiasi giornalista degno di questo nome: ebbene, i grandi quotidiani cosiddetti “d’informazione”, quelli che sono stati parte essenziale della costruzione del giustizialismo giudiziario, hanno cercato in ogni modo di attenuarne il suo significato, non dandole il rilievo che meritava ma collocandola in parti secondarie del giornale e utilizzando il sia pure importante discorso tenuto da Mario Draghi all’Assemblea di Confindustria per cercare di nascondere per quanto possibile la sentenza e il suo significato.
Se ha ragione Matteo Renzi nel suo intervento in Senato a reclamare una radicale riforma della giustizia (notizia anch’essa occultata da quasi tutta la stampa), non si potrà fare a meno di riflettere anche sulla necessità di una diversa maniera di fare giornalismo, non al servizio di questo o di quel teorema precostituito ma solo dell’esigenza dei lettori di essere informati correttamente e tempestivamente. Un auspicio che, dato l’attuale assetto della proprietà dei maggiori quotidiani italiani, è purtroppo destinato a non avere seguito.
(questo articolo, con il consenso dell’autore, è ripreso da La Voce Repubblicana)
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