L’attuale struttura del sistema fiscale italiano risale quasi interamente alla riforma Visentini del 1971, quando si introdusse l’IRPEF, l’attuale IRES e l’IVA fu messa a regime secondo le indicazioni dell’Europa. Si arrivò al traguardo dopo quasi un decennio di studi, proposte e dibattiti in cui si impegnarono i più brillanti studiosi di finanza pubblica italiani e uno stuolo di politici con lo sguardo proiettato al futuro. Il quadro delineato era fortemente collegato con i principi fondanti della teoria della tassazione risalente addirittura ad Adam Smith, alla scuola anglosassone degli utilitaristi e al contributo originale della Scuola italiana di scienza delle finanze di inizio secolo 900. Nel corso del tempo il sistema è stato via via integrato, corretto non sempre in modo organico e fedele ai principi originari. Oggi che il sistema economico si è trasformato, allentando il legame con la logica del mercato, è totalmente cambiata la struttura delle basi imponibili delle imposte originarie, come sono totalmente cambiati i meccanismi degli scambi e di formazione dei redditi e dei patrimoni.
Oggi dunque si rende necessaria una nuova ampia e organica riforma del sistema fiscale. Il Governo Draghi un anno fa predispose una legge delega, sull’onda di un poderoso lavoro preparatorio delle Commissioni parlamentari congiunte competenti, con 61 audizioni di istituzioni ed esperti, che non ha avuto però seguito a causa dell’interruzione della legislatura. Il Governo Meloni intende riprendere in mano la questione e predisporre una nuova legge delega anche per venire incontro ad una specifica milestone del PNRR, che richiede di procedere quanto prima alla riforma fiscale. E’ stata diffusa una bozza di legge delega, ad opera del viceministro Maurizio Leo, che dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri nel corso di questa settimana.
Il criterio con cui questo documento è stato redatto è il seguente: riprendere in toto la versione Draghi, con una serie di aggiunte legate alle promesse elettorali dei partiti di maggioranza. Il risultato è un’ accozzaglia di proposizioni tra loro contraddittorie, in assenza quasi totale delle di deleghe al governo eseguibili (come deve essere in una legge Delega) in quanto si tratta dell’elencazione di soluzioni tra loro incoerenti e spesso inapplicabili tecnicamente o perché richiedenti un ammontare di risorse incompatibile con gli equilibri di bilancio. Si possono fare numerosi esempi, ma mi limito a qualche chiosa all’art. 5 sulla riforma dell’imposizione sul reddito delle persone fisiche, cioè l’IRPEF.
Si comincia con l’indicazione nell’esercizio della delega dell’obbiettivo della revisione e della riduzione (?) dell’IRPEF. Quindi si tratterebbe di una riforma non a parità di gettito, con il pericolo di confondere gli effetti dalla revisione vs. riduzione; circostanza messa in luce dai padri fondatori della scienza delle finanze, che suggerivano di fare prima la riforma e poi passare, a bocce ferme; al dimensionamento del gettito. Si continua poi delineando un processo di riduzione del numero di aliquote (riforma Draghi), ma nella prospettiva di giungere ad un’aliquota unica (riforma Meloni), con l’affermazione del rispetto del principio di progressività. Ora è noto che una flat tax è si progressiva grazie alle deduzioni, ma fortemente concentrata sui redditi minori fino a divenire proporzionale per i redditi più elevati, quindi con incentivi sull’attività economica per questi ultimi e disincentivi per i primi (soprattutto se entrare o meno nel lavoro in chiaro, la cosi detta elasticità globale). Il passaggio da un’IRPEF con un numero di aliquote graduate a limitate ad una flat income tax non è il frutto di una semplice riduzione degli scaglioni: è un vero e proprio cambio di regime. Come deve muoversi il governo nell’attuare la delega?
Come secondo principio sugli aspetti generali, il testo indica il graduale perseguimento dell’equità orizzontale (?) prevedendo, nelle more dell’attuazione della revisione verso la flat tax, una serie di interventi che lasciano chiaramente intendere che non si sappia cosa sia l’equità orizzontale. Il punto chiave è il 2.4 che prevede “l’applicazione, in luogo delle aliquote per scaglioni di reddito, di un’imposte sostitutiva dell’IRPEF”. Fermiamoci: un’imposta sostitutiva significa proprio che sostituisce un tributo base, quindi l’IRPEF, che per il 90% grava sul lavoro dipendente e sui pensionati, è destinata a sparire dall’ordinamento tributario
Proseguiamo: “in misura agevolata (ad esempio il 15% come per gli autonomi) su una base imponibile pari alla differenza tra il reddito del periodo di imposta e il reddito di periodo più elevato tra quelli relativi ai tre periodi di imposta precedenti”. Rifermiamoci: notiamo come sparisca il principio della Capacità contributiva alla base dell’imposta sul reddito, che si riferisce al reddito pieno e non solo a quello incrementale. Una riforma epocale e gravida di conseguenze per il rapporto cittadini contribuenti/Stato.
Riprendiamo: “..con possibilità di prevedere limiti al reddito agevolabile e un regime peculiare per i titolari dei redditi da lavoro dipendente (primo commento al volo: alla faccia dell’equità orizzontale!) che agevoli l’incremento reddituale del periodo di imposta rispetto a quello precedente” (secondo commento al volo: i pensionati rimangono con l’IRPEF insieme ai lavoratori dipendenti che non rientrano nei limiti agevolabile).
Come detto si potrebbe proseguire con altri esempi, ma limitiamoci ad una valutazione finale: si tratta di una maionese impazzita! Speriamo che abbia solo perduto tempo a leggere e ragionare su questa bozza, che non diverrà mai operativa, a parte i fuochi d’artificio in Consiglio dei Ministri e le valutazione enfatiche delle TV, i cui giornalisti dovrebbero prima consultare qualche buon manuale di Scienza delle finanze.
Sergio Giusti
E Maurizio Leo? anche lui è immischiato in questo caos?