La Polonia e le contraddizioni della costruzione europea: la crisi come opportunità per una ripartenza.
La Polonia siede sul banco degli imputati nel dibattito pubblico dell’Unione europea.
La lista delle imputazioni è lunga: l’attuale governo attenta ai fondamenti dello stato di diritto tentando di sottomettere la magistratura al potere politico, vuole controllare l’informazione e limitare la libertà di stampa, nega diritti di libertà e discrimina minoranze e diversi, restringe la possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia europea, senza dimenticare l’opposizione ad ogni ripartizione obbligatoria di migranti arrivati nei paesi europei di primo ingresso ed agli accordi per limitare il ricorso al carbone per combattere il cambiamento climatico.
Si tratta di visioni, atteggiamenti e politiche dl governo polacco rispetto alle quali è pienamente legittimo esprimere dissenso, riprovazione ed indignazione: ne traboccano i social network ed i media sui quali di fatto ad una condanna senza attenuanti della Polonia in genere segue l’invito a lasciare l’Unione europea ed a rinunciare al malloppo dei fondi comunitari, un invito al quale risponde la minaccia polacca di andarsene sbattendo la porta.
C’è una contraddizione nella narrazione prevalente del politically correct: si esaltano e si tutelano tutte le differenze a livello individuale e di comunità, di piccole patrie mentre si pretende di negarle a livello di comunità nazionali, identità che sono approdi di vicende storiche assai diverse e che rappresentano identità culturali che non arbitrariamente comprimibili ed omologabili.
Se i paesi fondatori hanno percorso un cammino storico più o meno condiviso di democrazia liberale ancorché ristretta nella sua base dalla seconda metà dell’Ottocento attraversando le immani tragedie delle guerre e superando anche lunghe e feroci stagioni totalitarie, per giungere ad una solida acquisizione della democrazia liberale, delle sue istituzioni e delle fondamentali libertà che l’accompagnano non altrettanto si può dire dei paesi dell’ex blocco sovietico nei quali la maturazione verso la liberaldemocrazia si è accompagnata e sovrapposta in maniera inestricabile alla riconquista solo in tempi recenti di una identità nazionale per troppo tempo duramente compressa.
Un giudizio sugli atteggiamenti e le politiche di questi paesi non possono prescindere da considerare la loro vicenda storica: la Polonia per questo appare un caso emblematico.
Pillole di storia della Polonia: come il mantice della fisarmonica
La Polonia, grande potenza nel XVII secolo (con il suo intervento era stata fermata sotto le mura di Vienna l’avanzata ottomana nel 1683), di fatto cessò di esistere come nazione indipendente a seguito di successive spartizioni, l’ultima del 1795, con le quali il territorio polacco venne diviso tra Austria, Prussia e Russia.
Una spartizione contro la quale crebbe un fortissimo sentimento nazionale che generò successive rivolte ( 1830/31, 1848, 1863-64) senza tuttavia riuscire a conquistare unità e indipendenza, a differenza dell’Italia, restando rinchiusa in una tomba.
“Dormi, o Polonia mia, dormi in pace dentro la tua tomba. No, che dissi ? ell’è tua culla”[1]
E’ una culla dalla quale si levò solo con il Trattato di Versailles del 1919 che costituì la Repubblica polacca, una nascita travagliata che la vide subito in guerra con la neonata Russia bolscevica per riconquistare i territori orientali.
La ricostituita repubblica , che costituì una esperienza ancorché imperfetta di liberalismo politico, governo costituzionale ed elezioni[2], fu vittima sacrificale nel 1939 dell’intesa tra Hitler e Stalin che si spartirono nuovamente il paese (i sovietici ad est, i tedeschi ad ovest). Se ben note sono le sofferenze dei polacchi sotto l’occupazione nazista che li considerava untermensch, sub-umani da sterminare senza pietà, brutale fu anche l’occupazione sovietica con la deportazione in Siberia ed in altre zone remote di quasi 900.000 persone, in carri bestiame, senza cibo e spesso anche senza acqua mentre a Katyń ed in altre località furono sterminati dai sovietici e sepolti in fosse comuni più di 22.000 ufficiali e poliziotti, fatti prigionieri nel settembre del 1939[3]: ai sovietici, nella fase conclusiva della guerra, è rivolta anche l’accusa di aver lasciato che i nazisti spengessero nel sangue la rivolta di Varsavia senza intervenire pur trovandosi a pochissima distanza dalla città.
Finisce nel 1945 la guerra ma i polacchi non riconquistano la loro libertà: pur avendo contribuito con un altissimo prezzo di sangue alla liberazione dell’Europa (in Italia protagonisti a Montecassino) e pur avendo un legittimo governo in esilio, Yalta li colloca nella zona d’influenza sovietica con un governo vassallo dell’URSS, con un territorio di nuovo spostato ad ovest e privata della sua parte orientale
Sono anni di oppressione e di rivolte da Poznan nel 1956 a Gdynia e Danzica nel 1970: l’identità nazionale, sovrapposta con quella religiosa religione, è stata il fondamento della resistenza al comunismo, avendo il suo momento più alto nel 1978 nella elezione al soglio pontificio dell’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla cui segue nel 1980 con la nascita di di Solidarnosc con Lech Walesa e con i suoi martiri come Jerzy Popiełuszko, sacerdote ucciso nel 1984.
In Polonia la libertà e la democrazia ritornano solo nel 1989[4]: è l’immagine Janusz, ufficiale polacco deportato in un gulag (protagonista di The Way Back, film del 2010 di Peter Weir) che, fuggito dal gulag e scampato in paese libero, non può ritornare in patria che ormai anziano, solo dopo il crollo del Muro di Berlino.
La Polonia nella storia appare come il mantice della fisarmonica, che ora è compresso fin quasi a sparire e poi di nuovo si allarga aprendosi….
La Polonia in Europa: una relazione complicata
Con il ritorno della democrazia la Polonia entra in tempi brevi – per ragioni geopolitiche che ancora restano valide – prima nella NATO (1999) e poi nella Unione Europea (2004).
L’ingresso nella Unione Europea comporta per i paesi candidati di far proprio c.d. “acquis communautaires ” ovvero il complesso di principi e norme comunitarie formatesi nel tempo, ma i paesi dell’ex blocco sovietico “erano determinati a difendere in futuro con le unghie e con i denti la loro sovranità appena riconquistata dopo mezzo secolo o più di dominio sovietico”[5]
Ma davvero la Polonia è il solo paese, insieme con i suoi compari di Vysegrad, a non rispettare principi e norme per i quali si solleva scandalo? E questo atteggiamento si è improvvisamente ed inopinatamente manifestato oggi? Ed è la Polonia l’ostacolo alle magnifiche sorti e progressive dell’unificazione dell’Europa? O non è piuttosto la cattiva coscienza di chi usa la Polonia come schermo per celare le proprie resistenze nei confronti dell’Unione Europea e del suo avanzamento?
Senza alcuna pretesa di completezza diamo uno sguardo ad alcune accuse rivolte alla Polonia per vedere se davvero i polacchi sono i Franti dell’Europa Unita.
Prendiamo in esame l’accusa di voler subordinate la magistratura al potere politico attentando alla sua autonomia ed indipendenza: uno sguardo veloce alla situazione dei diversi paesi[6] mostra che sono tanti quelli nei quali i governi intervengono sia nei processi di nomina dei magistrati e dei presidenti delle corti sia nella formulazione di indirizzi per l’esercizio dell’azione penale, mentre l’autogoverno dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale è patrimonio di pochi paesi.
Ma contro la Polonia è stata avviata per questo una procedura d’infrazione: cosa si dice allora della Germania nei cui confronti la Corte UE lo scorso anno ha avviato una procedura di infrazione contro la Germania perché il funzionamento del sistema giudiziario, compresa la determinazione dei “reati meritevoli dell’avvio di un’azione penale” nonché gli avanzamenti di carriera e gli incrementi salariali, dipende dalle decisioni assunte dal ministro della Giustizia, un organo politico appunto.
In Germania vi sarebbe quindi una “pesante subordinazione dell’attività giudiziaria ai desiderata della sfera politico-governativa” e, a causa di ciò, la magistratura, non rappresenterebbe un organo in grado di garantire le libertà individuali.
La Polonia, è un’altra accusa, vuole controllare l’informazione nominando direttori dei canali tv e di quotidiani: non c’è dubbio lo dicono gli indicatori specialistici che nel paese l’informazione eè parzialmente libera, con un peggioramento in anni recenti. Ma è il solo paese dove ma anche la politica vuole controllare la televisione pubblica? Per dire, in Italia qualche giorno fa si leggeva su un quotidiano “ Se fosse per i dem, i direttori dei tiggì, a cominciare dal Rg1, andrebbero cambiati tutti. Se l’ad non ne cambia qualcuno – come avrà anche capito dall’incontro con il ministro Gualtieri il quale gli ha raccomandato di far coincidere la maggioranza in CdA Rai con quella politica-parlamentre – la sua situazione si farà insostenibile”[7].
Altra accusa rivolta alla Polonia è quella opporsi alla applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e di restringere la possibilità di fare ricorso alla Corte di giustizia europea da parte dei suoi magistrati e dei cittadini per chiederne l’applicazione.
Si grida allo scandalo oggi ma le origini di questa posizione della Polonia non è di oggi risalgono al 2008 , esplicitata ed accettata dagli altri partner.
La ”Versione consolidata del trattato sul funzionamento dell’Unione europea” è corredato di numerosi Protocolli: tra questi il n.30 ha per oggetto l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno Unito”[8]: i volenterosi potrebbero leggere all’articolo 1 che la Polonia già allora si è dissociata non accettando automaticamente sia quei diritti che la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea o di qualunque altro organo giurisdizionale dello stato a giudicare la non conformità di leggi, regolamenti , pratiche e l’azione amministrativa nazionali rispetto ai diritti, alle libertà e ai principi fondamentali che essa riafferma
All’articolo 2 si afferma che eventuali riferimenti della Carta a leggi e pratiche nazionali si possano applicare allo stato soltanto nella misura in cui i diritti o i principi ivi contenuti sono riconosciuti nel diritto o nelle pratiche nazionali.
E’ un vero e proprio recesso (opt out) della Polonia dalla Carta? oppure è solo una riserva ai sensi dell’art. 2, lett. d) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati? La discussione è aperta con grande sfoggio di sottigliezze giuridiche: è un tema generale ben presente agli studiosi che parlano di “colonizzazione giudiziaria” per la quale la protezione dei diritti viene assorbita a livello europeo.
“Vi è una “sterilizzazione” comunitaria della protezione assicurata dalle corti nazionali. Da questo discendono il pericolo di una riduzione delle diversità e del pluralismo e quello di tensioni tra tradizioni costituzionali nazionali e disposizioni sovranazionali….. Rimane aperto un interrogativo: come superare il timore delle Corti nazionali di invasione dello spazio costituzionale nazionale e di rimanere vincolate alle decisioni delle corti sovranazionali” 9]
Ma se la Polonia non accetta questi diritti se ne vada dall’Unione Europea, è l’invito perentorio di tanti commentatori, come se la Polonia fosse il solo paese a chiamarsi fuori da obblighi conseguenti a regolamenti comunitari
Ad esempio la Danimarca non si è risparmiata: dopo l’uscita della Gran Bretagna, resta l’unico a non essere obbligato ad aderire all’euro[10];non partecipa alla Politica estera e di sicurezza comune (PESC);si è esclusa da certe decisioni sugli affari interni dell’Unione Europea; deroga dalla cittadinanza europea che non sostituisce la cittadinanza nazionale. Eppure nessuno chiede di escludere la Danimarca dall’Unione Europea.
Ci sono poi i timori della Polonia di subire eliminare le restrizioni all’aborto, di ammettere i matrimoni gay che considera in contrasto con la propria tradizione cattolica.
Ma in Irlanda, paese ad altrettanto forte influenza della chiesa cattolica, questi diritti sono stati ammessi, si dice: vero, ma il processo di secolarizzazione è stato lungo e faticoso e si è concretizzato solo in anni recenti per l’impegno decisivo del movimento delle donne e delle associazioni gay.
Il processo di secolarizzazione è durato decenni in Irlanda così come in Italia, cui nessuno ha imposto di adeguarsi a modelli stranieri ma questi obiettivi sono stati raggiunti con la mobilitazione del popolo.
Lo stesso accadrà in Polonia: se ne vedono già i primi segni con i movimenti di protesta contro a proposta del governo di una pena per le donne che viaggiano all’estero per abortire . Il movimento è stato ribattezzato Black Protests, per via del colore dei vestiti dei manifestanti. “La società sta cambiando. Sta diventando più progressiva, più aperta, più moderna”, ha detto Barbara Nowacka, una delle leader delle manifestazioni: “Questo non può essere fermato”[11]
Quindi niente scomuniche ma comprensione dei tempi di maturazione dei cambiamenti nella società e nei suoi stili di vita e comportamenti, con i correlati riconoscimenti legali: un passo e tempi diversi tra paesi come avviene ad esempio negli Stati Uniti con le diverse normativa dei singoli stati in materia di immigrazione ed aborto.
Tutto bene in Polonia? Ovviamente ci sono seri problemi e gravi che comunque riconducono al rapporto tra identità nazionale e dimensione europea.
La diversità è una ricchezza, anche in politica: un illustre leader politico italiano propose a suo tempo, al movimento comunista mondiale profondamente diviso, la visione policentrica della “Unità nella diversità”[12] contro la proposta di un centro unico di comando.
E’ la linea che deve realizzarsi per avanzare, con fatica, con i tempi che sono consentiti dalla maturazione della necessaria consapevolezza tra i cittadini, verso una costruzione europea che valorizzi le diversità: non è casuale che “In varietate concordia” sia il motto dell’Unione Europea, nella traduzione italiana “unità nella diversità”.
[1] F.R. De La Mennais “Inno alla Polonia”, in appendice a Adam Mickiewicz “Guida dei Pellegrini”, Roma 1834, p. 308
[2] Anne Applebaum “ La cortina di ferro” Milano 2016, p. 20
[3] M. Podbielkowski “Lo Stato clandestino polacco” RASSEGNA ITALIANA DI ARGOMENTI POLACCHI 5/2014
[4] Riassume con grande sintesi questa vicenda la figura di Janusz protagonista di The Way Back, film del 2010 di Peter Weir, ufficiale polacco deportato in un Siberia che, fuggito dal gulag, , non può ritornare in patria che da anziano, solo dopo il crollo del Muro di Berlino, 44 anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale
[5] Yves Meny “L’Unione europea ed il federalismo. Impossibile o inevitabile ?”
[6] Dr. Klaus Tolksdorf “PRACTICAL ASPECTS OF INDEPENDENCE OF JUSTICE Introductory Report Part I- Protection of Independence” Dublino 2010
[7] :M. Aiello, Il Gazzettino, 31 gennaio 2020, pag. 7
[8] Gazzetta ufficiale n. 115 del 09/05/2008 alle pag. 0313 – 0314
[9] SABINO CASSESE ORDINE GIURIDICO EUROPEO E ORDINE NAZIONALE, Schema della introduzione alla discussione sul tema, svolta nel corso dell’incontro di studio tra la Corte costituzionale italiana e il Tribunale costituzionale federale tedesco, Karlsruhe, 20 novembre 2009
[10] Gli altri paesi che attualmente non lo adottano sono obbligati ad aderirvi quando avranno rispettato le condizioni richieste. Il famoso albero di Bertoldo…
[11] Il Foglio Le strade opposte scelte da Irlanda e Polonia i due paesi più cattolici d’Europa (da WS Journal) 8 aprile 2019
[12] Palmiro Togliatti, Il Memoriale di Yalta, Yalta agosto 1964
Lascia un commento