Sul Corriere della Sera di giovedì 25 marzo, il noto scrittore Antonio Scurati ha interpretato il racconto virgiliano della fuga di Enea da Troia, mentre questa brucia e viene devastata dai Greci, attualizzandolo ma non in modo spregiudicato come altri avevano fatto prima di lui (Saviano, giusto per citarne uno) e che avevano definito il guerriero troiano un profugo, un migrante ante litteram.
Restando comunque aderente al testo dell’Eneide e rispettoso dei suoi autentici significati,Scurati descrive l’immagine celebrata in numerosi gruppi scultorei di epoca romana nonché in uno dei capolavori di Bernini conservato nella Galleria Borghese, dove Enea si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise e porta in salvo anche il figlio Ascanio.
Vista con gli occhi dei nostri giorni, questa potente immagine archetipica – quindi sempre significativa – ci spiega, secondo Scurati, che dobbiamo prenderci cura dei più vecchi (nella terminologia sanitaria della lotta alla pandemia, gli over 80); e contemporaneamente tenere per mano i nostri giovani e preservare il loro futuro, riaprendo le scuole il prima possibile e non scaricando solo sulle prossime generazioni l’enorme peso del debito pubblico.
Per questo, la storia della fuga di Enea, con Anchise ed Ascanio, non esprimerebbe soltanto un generico valore umanitario e di devozione filiale (pietas), ma racchiuderebbe un significato politico; visto che la missione di Enea si completa con la fondazione di una nuova “polis”, che avrà caro il culto degli anziani e dalla quale nasceranno il popolo dei Latini e poi, tramite Ascanio/Iulo e la “gens Iulia”, l’impero di Roma.
Quello che manca in questa interpretazione è, però, un dettaglio dell’immagine non trascurabile e che, soprattutto nel gruppo scultoreo del Bernini, è messo particolarmente in evidenza: il vecchio Anchise ha in mano due statuine raffiguranti i Penati.
Enea e Anchise, infatti, non portano con sé pietre preziose e monili; ma portano soltanto i loro “dii Penates”, le divinità protettrici della famiglia e del focolare domestico. Distrutta la loro casa, essi ne salvano l’anima, rappresentata proprio da quelle statuine che i Romani conservavano nella parte più interna delle loro abitazioni, dove avevano le provviste (“Penates” viene da “penus”, dispensa) e dove bruciava il fuoco sacro di Vesta.
Non è Enea a tenere in mano i Penati. Egli non può toccarli, perché le sue mani sono ancora sporche del sangue dei nemici che ha ucciso. Dovranno essere lavate e purificate prima di poter toccare le sacre statuine. Solo Anchise può, ed è chiaro il senso: il vecchio (senex) è il primo depositario della memoria e della tradizione, dalle quali proviene la speranza di un futuro migliore.
Salvando il vecchio padre e consegnando a lui i Penati, Enea salva la memoria del passato e insieme la speranza nel futuro.
Ma non c’è soltanto un patto generazionale nel mito virgiliano come quello, ad esempio, in atto nel nostro sistema pensionistico o, come sostiene Scurati, nel fare debito oggi per creare le condizioni di sviluppo e di benessere per le prossime generazioni (da cui il nome di Next Generation EU dato ai fondi europei).
La figura di Enea rappresenta un duplice modello di virtù che corrisponde al doppio significato della parola “pietas”: l’eroe troiano esprime al meglio sia la pietà verso gli uomini e nello specifico verso i genitori (per questo porta in salvo il padre); sia la devozione religiosa, che Cicerone spiega così: “est enim pietas iustitia adversus deos” (la pietà è il giusto culto per gli dei).
Enea che guida il suo popolo verso una nuova terra e una ri-fondazione della città, non compie solo un atto umanitario e/o politico; ma porta a termine una vera e propria missione religiosa in quanto affidatagli dal Fato, per la quale non esita a rinunciare all’amore di Didone, e della quale i Penati sono insieme testimoni e custodi
Nell’Eneide la politica non è concepita soltanto come il governo materiale della polis, o meglio: non si governa la polis soltanto con la scienza politica, la guerra o l’economia; ma anche grazie alla “pietas”. Similmente, il nostro progetto di una società migliore (post-pandemica) non potrà scaturire che da un profondo cambiamento culturale: innanzitutto salvaguardando e recuperando le nostre tradizioni identitarie, nazionali ed europee; educando i giovani alla conoscenza della Storia e delle letterature, e non solo della tecnica nelle sue diverse formulazioni; contrastando con politiche mirate il fenomeno della denatalità e le ideologie neo-malthusiane che lo hanno prodotto; mantenendo sempre aperto uno spazio per il sacro e la religiosità, ben distinto dal culto dell’ambiente e dall’ecologia.
Luciano
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