Diversamente da quanto molti ritengono la moda, che genera più di un terzo del valore aggiunto manifatturiero regionale, è un pilastro portante dell’economia toscana ed è uno dei settori che, prima e dopo la pandemia, ha registrato le migliori performance. La sua sorprendente resilienza deve molto allo straordinario patrimonio di professionalità radicate nelle reti di fornitura e nei distretti della regione. Questo è vero, ma il ventaglio dei fattori alla base delle buone performance negli ultimi dieci anni si è decisamente ampliato. L’influenza di alcuni brand del lusso ha avuto un notevole impatto su tutto l’ecosistema moda e in particolare sull’offerta di servizi terziari avanzati (digitalizzazione, ESG, start up, business angels,..) che, intorno a Firenze, finalmente stanno assumendo i connotati quantitativi e qualitativi dei più dinamici centri metropolitani. Nell’insieme, rispetto all’anno 2000 è diminuito il peso del tessile mentre sono cresciuti l’abbigliamento e, soprattutto, la pelletteria. Anche geograficamente l’asse “Firenze Prato” è stato vistosamente sopravanzato da quello “Firenze Scandicci Empoli”.
Ci sono dunque molte buone ragioni per una forte presenza toscana nelle piattaforme UE di “ascolto partecipativo” dove si avanzano proposte e si commentano decisioni di estrema importanza per il futuro del settore. Nel caso di chi scrive, la decisione di partecipare ai vari forum è maturata in un gruppo di lavoro interno a Federmanager Toscana, associazione che annovera 1.700 soci tra dirigenti e quadri apicali. Una di queste piattaforme, muovendo da un articolato documento elaborato dallo staff della Commissione, si occupa delle strategie presentate lo scorso 30 marzo per innescare azioni tese a rendere, entro il 2030, quello tessile un “ecosistema” sostenibile e circolare, caratterizzato da “prodotti longevi, realizzati in grande parte con fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e nel rispetto dei diritti sociali e ambiente..; un ecosistema che fa leva sul concorso di consumatori correttamente informati e dove i produttori si assumono la responsabilità dei loro prodotti anche quando diventano rifiuti”. Un’altra, il ReHubs Stakeholder Forum, è organizzato da Euratex, l’associazione delle Confindustrie tessili europee, e ha come focus la creazione di una rete di grandi centri per la raccolta e la selezione dei rifiuti tessili (6 milioni di ton) prodotti ogni anno in Europa. La partecipazione a questi forum richiede un discreto investimento di tempo nella lettura di una lunga serie di documenti concatenati tra loro, cosa che tende a polarizzare le proposte anche dei partecipanti più scontrosi verso soluzioni mediate da abili lobbisti. Nel primo caso sono circa 600 gli stakeholder iscritti. Il forum sui rifiuti invece è seguito da 60 persone; concluderà i lavori entro l’anno con la presentazione di una ricerca e una serie di progetti.
Alcuni fattori di contesto aiutano a capire le difficoltà che si incontrano quando si cerca di inserire istanze specifiche nelle azioni quadro generaliste proprie di questi forum. Per esempio, c’è un ampio consenso sul previsto incremento della disponibilità di fibre tessili costituite da “materie prime seconde” per effetto dell’obbligo di organizzare la raccolta differenziata degli abiti dismessi, dell’adozione di misure in fatto di responsabilità estesa dei produttori e, nel medio termine, delle prescrizioni in materia di sustainable design e digital passaport per i prodotti che l’UE sta per varare.
Anche se mancano dati quantitativi e qualitativi per mappare le filiere del riuso e del riciclo (questo vale anche per la Toscana) l’obbiettivo di 100% di raccolta differenziata di capi di vestiario nel 2025 appare inverosimile anche perché sono molti i colli di bottiglia da rimuovere per raggiungere gli annunciati obbiettivi di economia circolare. L’offerta di fibre riciclate, al momento è frammentata e inferiore alla domanda. Da qui la sollecitazione di misure perché in Europa si torni ad aumentare la capacità produttiva nelle filature ma servono soprattutto innovazioni di sistema e di tecnologie per abbattere i costi di selezione e trattamento degli abiti della raccolta differenziata e servono innovazioni out-of-the-box per rendere possibile il riciclo di tessuti blenddi fibre e quelli multi strato. Il gap che si prospetta tra offerta di fibre e capacità di lavorarle deve essere ricomposto rapidamente con programmi di nuovi investimenti, ricerca e sostegni a nuove applicazioni.
In una serie di riflessioni condivise all’interno del Gruppo sostenibilità e circolarità di Federmanager Toscana l’attenzione si è concentrata su Prato, primario distretto del riciclo della lana. Qui, anche se nell’ultimo mezzo secolo c’è stato un drastico ridimensionamento degli impianti di filatura cardata che servono per riciclare la lana, viene reimpiegato quasi un terzo delle 80.000 ton di materie prime seconde tessili prodotte in Italia. Facendo due conti sul retro di una busta, su una produzione materiale complessiva dell’industria tessile pratese che possiamo quantificare tra 100 e 120.000 ton, il “tasso di riciclo” si assesta attorno al 15%. Gli operatori pratesi fanno bene ad appellarsi alla memoria storica dei loro “cenciaioli”, dei carbonizzi e all’acquedotto industriale per il riciclo dell’acqua ma non c’è dubbio che la loro anima ESG non può continuare a fare appello solo a tradizioni secolari. Tutta la filiera del riciclo va ripensata e rafforzata. Alcuni addetti ai lavori appositamente intervistati sono apparsi molto scettici sulla possibilità che si torni ad investire significativamente in nuovi impianti di filatura cardata; un serio ostacolo è rappresentato dalle risorse necessarie per installare nuovi assortimenti di carderia ma forse ancora più ostativo si prospetta il vuoto di professionalità specifiche come quella del “capo filatura”.
Nei forum si rincorrono le esortazioni a lavorare (e la Commissione è determinata a farlo) sulle etichettature dei capi di vestiario per premiare i capi riciclati. Un’altra leva è quella dell’ecodesign; oggi si impiegano troppo spesso mix di fibre che di fatto ne rendono impraticabile il riciclo. I provvedimenti che la Commissione si appresta a sostenere dovrebbero arginare questo ostacolo ma, come accennato, la comprensione delle dinamiche in corso è ostacolata dalla carenza di dati quantitativi e qualitativi per mappare le filiere del riuso e del riciclo. Da “quasi apprendisti stregoni” ci siamo ripetutamente chiesti cosa proporre per rendere attrattivi nuovi investimenti nella filatura cardata ma, al di là dei rimandi agli strumenti per la ricerca, la semplificazione del “fine vita”, gli aiuti finanziari, la regolamentazione dei green claims e le altre azioni orizzontali, non siamo stati capaci di individuare risposte su misura. Né sono risultati di grande aiuto l’esame delle cronache dei giornali, i documenti delle associazioni, i dibattiti sul costituendo hub tessile da parte di Alia, i bandi del PNRR. I vari strumenti comunitari sui cluster potrebbero essere utilizzati per progetti di territorio ma i nostri distretti nel complesso li hanno ignorati. Preso atto una volta per tutte che il settore moda consolida la sua premazia nel sistema industriale regionale e che molto di questo successo è da ricondurre alle sue filiere produttive, è tempo di riprendere in mano con più convinzione il capitolo delle politiche per i distretti.
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