Velocissimo sunto dalla puntata precedente: i Paesi per anni disprezzati e accomunati nel triste acronimo “PIIGS”, sono oggi quelli che “tirano la carretta” di una malandata Europa. Questo almeno vale guardando i dati di crescita economica.
La Germania, storica locomotiva continentale, è in preda a una profonda crisi politica e produttiva, i “Paesi rigorosi” Austria e Olanda mostrano una economia asfittica.
In questo scenario di mondo capovolto, secondo le agenzie di rating, c’è un Paese più in crisi degli altri, ed è la Francia.
E così, se è vero che Moody’s ha appena confermato il rating ai nostri cugini, l’outlook (previsione) è diventato negativo. Che in soldoni significa: cara Francia se non cominci a promuovere riforme di risanamento, al prossimo giudizio (rating) ti boccio e ti allontano sempre più dal gruppo di Paesi europei che considero virtuoso, almeno per merito creditizio (nell’ordine sono: Germania, Danimarca, Paesi Bassi) e ti avvicino sempre più al gruppo dei perenni pericolanti (nell’ordine sono: Spagna, Portogallo, Italia, Bulgaria, Grecia, Romania). Anche le altre agenzie di rating (Fitch e S&P) erano già arrivate a simili conclusioni, declassando o cambiando la previsione in negativo, sulla qualità del credito della Francia.
Peccato che le società di rating arrivino spesso tardi nei giudizi. Conviene guardare allora ai mercati, che nel famigerato “spread” tra i titoli di stato di due paesi, esprimono un giudizio di salute. Lo spread tra Italia e Francia è così sceso (non esiste solo quello BTP-Bund…), per la prima volta dal 2010, sotto i 50 punti e oggi oscilla, stabilmente, intorno ai 52-55 punti.
Giusto per avere una idea, lo stesso differenziale nell’estate del 2019 era di 250 punti. 5 anni fa: siamo allora diventati troppo belli noi o troppo brutti loro? Più la seconda.
Il restringimento di questo spread dipende infatti, da un lato del rialzo dei rendimenti dei titoli francesi (cresciuti di 60 punti base da inizio anno) e dall’altro del calo dei rendimenti dei BTP (scesi di 35 punti circa).
Provo a dirlo in parole più semplici: i BTP vengono sempre più comprati, i titoli governativi francesi vengono sempre più venduti. E così il rialzo dei titoli di stato francesi sta diventando sempre più marcato, poiché più il creditore è considerato sempre più rischioso.
Perché succede questo? Questo fenomeno è legato principalmente ai problemi relativi al crescente debito pubblico e alla stabilità economica e politica del Paese transalpino. Le previsioni economiche per la Francia sono diventate preoccupanti, con un aumento del debito pubblico che potrebbe superare il 120% del Pil nei prossimi anni, (era solo al 98% nel 2020) e che è già il terzo per dimensione nell’Eurozona, dopo quelli di Grecia e Italia.
Per inciso, in Italia il rapporto debito su PIL è ben più alto (dovrebbe diventare 139% a fine anno), ma per lo meno abbastanza stabile negli anni (eccetto la parentesi Covid).
Tornando ai nostri cugini, Fitch ha rimarcato che le difficoltà economiche della Francia sono amplificate da una crescita economica lenta e da una spesa pubblica troppo elevata. Soprattutto spaventa l’impegno politico di mantenere costosi programmi sociali e l’incapacità di affrontare la realtà con delle riforme che possano contenere il deficit e di conseguenza il debito pubblico.
In un drammatico messaggio alla nazione (che ha ricordato un po’ quello di Monti del 2001), il nuovo premier francese Barnier ha usato toni gravi per esprimere la serietà della situazione: «Il nostro colossale debito pubblico è sulle nostre teste come una spada di Damocle, senza una correzione il paese «finirà sull’orlo del precipizio».
Concludendo: i bond transalpini oggi esprimono rendimenti più alti di quelli spagnoli (2 punti base) e di quelli portoghesi (27 punti base), mentre offrono ancora un rendimento inferiore solo ai titoli italiani (anche se come visto con un differenziale in continuo restringimento) e a quelli greci, (con un vantaggio di soli 15 punti base).
Chissà se nel suo discorso alla nazione Barnier non paventasse l’ipotesi di dover comprendere anche la “F” di Francia in un eventuale nuovo acronimo per i paesi meno virtuosi…
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