Le ideologie che entrano in conflitto in questo settore tecnologico rispecchiano le ideologie che si scontrano in economia
La recente acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk è stata in un certo senso parallela al terremoto del 2016, quando Donald Trump ha inaspettatamente conquistato la Casa Bianca. In entrambi i casi, un miliardario populista ha posto un’entità esistente formata da milioni di membri sotto una gestione radicalmente nuova. Non sorprende che, mentre gli americani allarmati da Trump avevano manifestato il desiderio di fuggire in Canada nel 2016, i tweeter in allarme nell’autunno del 2022 hanno espresso la loro trepidazione annunciando anche loro l’intenzione di trasferirsi. Ma l’uscita più comunemente minacciata era verso una struttura di cui pochi avevano sentito parlare: Mastodon.
Mastodon è solo uno dei tanti nuovi siti di social media, insieme a Post, Steemit, Planetary o il Nostr, finanziato da Jack Dorsey (n.d.r. cofondatore di Twitter) che stanno richiamando l’attenzione in conseguenza dell’imperscrutabilità del processo decisionale di Musk rispetto alla messa al bando di giornalisti, al licenziamento del personale e alle modifiche all’algoritmo. Molti di questi nuovi siti si caratterizzano specificamente per l’allontanamento dall’architettura centralizzata dei colossi tecnologici di oggi come Twitter e Facebook
Non è facile ricordare che, solo un quarto di secolo fa, gli stessi social network che ora hanno mostrato le terribili insidie della rivoluzione dei social media nota come Web 2.0, erano oggetto di clamore trionfalistico e genuino idealismo. Facebook prometteva di “connettere il mondo”, mentre Google si proponeva di rendere disponibile gratuitamente tutta la conoscenza umana per tutti. Quest’ultimo è arrivato al punto di adottare come slogan non ufficiale la frase “NON ESSERE MALVAGIO”. Nella primavera del 2018, è stato definitivamente e deliberatamente rimosso e ritirato dalla premessa e al codice di condotta di Google, quando cioè l’evidente assurdità dell’affermazione proveniente da un enorme leviatano aziendale gerarchizzato l’ha resa più un imbarazzo che un vantaggio.
Questi siti di social media sono forse il miglior esempio della disfatta dell’idealismo che ha caratterizzato lo sviluppo di Internet alla fine degli anni ’60. In un’epoca di fiorenti controculture, c’era la convinzione, efficacemente espressa nella poesia di Richard Brautigan,” Tutti sorvegliati da macchine di grazia amorevole”, che stessimo entrando in un’utopia tecnologica, dove le macchine avrebbero protetto gli umani e “i mammiferi e i computer avrebbero vissuto insieme programmandosi reciprocamente in armonia come l’acqua pura che tocca il cielo limpido”.
L’idealismo ha contagiato molti dei creatori originali di questi siti di social media. Evan Henshaw-Plath, uno dei primi dipendenti di Twitter, indica l’origine di Twitter come una piattaforma aperta, uno spazio in cui le persone costruiscono API (Application Programming Interfaces, ovvero le interfacce di programmazione delle applicazioni). e possono interagire con servizi prestati da terze parti. La struttura del mercato, tuttavia, ha costretta ad allontanarsi da quel modello ideale.
Il mercato ha anche definito la realtà all’interno della quale è stata sviluppata gran parte dell’architettura che definisce altri siti di social media.
In un modello economico neoclassico si direbbe che questo tipo di manipolazione dei consumatori dovrebbe essere tenuto sotto controllo in un mercato ben funzionante dalle forze della concorrenza, sull’esempio di come Facebook è stato in grado di superare Myspace nel 2008 promettendo una migliore esperienza all’utente e una maggiore privacy. Ma i social network sono monopoli intrinsecamente naturali: la maggior parte degli utenti preferisce trovarsi su un sito che ospita tutti i propri amici piuttosto che doversi distribuire su diversi siti. Quando Facebook ha assunto il ruolo di sito dominante in questo spazio e ha proceduto alla condivisione di dati dell’utente strettamente personali promettendo di mantenerli privati, il mercato poteva fare ben poco per frenare quello che era essenzialmente un monopolio.
Gran parte dell’insoddisfazione per i servizi Web 2.0 non si basa sulla qualità dell’ingegneria del software, in quanto il mercato ha fornito a molti dei programmatori e manager tecnologici più talentuosi del mondo l’opportunità di costruire un’architettura altamente affidabile che viene data agli utenti senza nessun costo monetario. Curiosamente, poiché i servizi sono “gratuiti”, il problema nasce da fallimenti del mercato non monetario sotto forma di informazione asimmetrica e conflitti nella relazione “principal-agent” in un contesto di monopolio. Il modello profit di Twitter, Facebook e altri giganteschi social network è diventato sempre più un modello pubblicitario che ha oscurato i costi reali per l’utente in termini di privacy – da qui il vecchio adagio: “Se non paghi per il prodotto, sei tu il prodotto”. Mentre la Corte Suprema si prepara ad ascoltare le argomentazioni delle parti nel caso “Gonzales contro Google”, in cui la famiglia di un americano ucciso in un attacco terroristico dell’ISIS considera YouTube responsabile per aver diffuso video terroristici, il dibattito sulla Sezione 230, che protegge le piattaforme dalla responsabilità per i contenuti ospitati sui loro siti, imperversa. Ma più che il problema dell’hosting di contenuti, il caso punta direttamente agli algoritmi che attirano gli spettatori verso contenuti sempre più oscuri e tossici perché è stato dimostrato che questo è il modo più efficace per tenerli legati. È l’imperativo del profitto che impone di aumentare il coinvolgimento, e quindi le entrate pubblicitarie per le aziende, che guida questi algoritmi e causa inevitabilmente il problema, come espresso con grande efficacia dal film “The Social Dilemma”. I timori di molestie e bullismo, vendita di dati personali e abuso di intrusioni governative sono tutti legati al fatto che gli utenti sono diventati dipendenti dai monopoli, dove i costi pagati non sono in dollari ma in sicurezza, privacy e manipolazione da parte di forze invisibili.
Di fronte a questa manipolazione, la nozione di decentralizzazione è sempre più allettante per gli utenti e c’è stata una spinta allo sviluppo di sistemi peer-to-peer o federati che enfatizzano proprietà e controllo distribuiti, la privacy e il controllo sui propri dati. La blockchain ne è un esempio e c’è una spinta per sviluppare reti di social media basate sull’architettura blockchain.
Sin dal suo inizio, la Blockchain è stata profondamente radicata nell’ideologia libertaria. Se esiste qualcosa di analogo alla famosa ridotta di Rand, libera dal controllo istituzionale, il parallelo più probabile in tecnologia rispetto a la “Gola di Galt” è il Web 3.0. In effetti, il parallelo sembra così stretto che la domanda fittizia di “Chi è John Galt?” è letteralmente sostituito dalla domanda del mondo reale di “Chi è Satoshi Nakamoto?” data la dipendenza del Web 3.0 dalla tecnologia blockchain. In questa ridotta digitale, il protocollo blockchain consente transazioni che non richiedono un’autorità centrale che costruisca il concetto di token digitali come valuta nelle fondamenta del Web 3.0. Lo sviluppo di questi protocolli è ampiamente sostenuto dal venture capital secondo la tradizionale economia dell’innovazione tecnologica.
C’è, tuttavia, una controindicazione che richiama l’idealismo del primo Internet, la convinzione che la tecnologia possa essere utilizzata per costruire un mondo più connesso. Attraverso organizzazioni come Internet Archive, sta crescendo una comunità attorno al concetto di Web decentralizzato (DWeb), dove c’è una spinta a costruire protocolli decentralizzati che non utilizzano la blockchain. Questa comunità tecnologicamente esperta e orientata al futuro ha formalizzato un insieme di valori, i principi DWeb, fondati sulle teorie vincitrici del Nobel di Elinor Ostrom sul game design per la soluzione della “tragedia” dei beni comuni di Garrett Hardin. Lo scopo di questo movimento è progettare sistemi in grado di evitare le insidie del controllo dei contenuti delle conversazioni e dell’interazione centralizzate nelle mani di miliardari tecnologici come Musk o Zuckerberg,controllati da algoritmi criptici progettati per massimizzare i profitti aziendali. Sebbene sia impossibile separare semplicemente i protocolli in DWeb e Web 3.0, l’orientamento generale della comunità DWeb è concentrarsi sulla progettazione o strutturazione di sistemi costruiti attorno a modelli di governance che incoraggiano la cooperazione della comunità piuttosto che fare affidamento sul mercato per risolvere i problemi.
La critica corrente all’approccio di Ostrom, tuttavia, è che mentre potrebbe funzionare per beni comuni su piccola scala, governati localmente, è meno probabile che lo faccia ove si tratti di casi più grandi, nazionali o addirittura globali.[1] Mentre gli agricoltori di un villaggio svizzero possono essere in grado di sviluppare un contesto istituzionale e accordi per prevenire l’eccessivo sfruttamento dei pascoli, come funzionano i principi di Ostrom quando si tenta, ad esempio, di governare grandi compagnie petrolifere guidate da motivazione di profitto e con risorse significative a loro disposizione per fare pressioni sugli organismi di regolamentazione o per cambiare governi? Nel caso dei social media, dove il governo stesso ha interessi e incentivi significativi per esercitare potere e controllo, come testimoniano i rapporti sul controllo da parte dello FBI nei contenuti di Facebook, o le rivelazioni dei file di Twitter, e dove le gigantesche società tecnologiche gestiscono miliardi di dollari in profitti, questi principi di progettazione istituzionale hanno davvero la capacità di funzionare?
Alla fine, la questione dei social network ritorna proprio al tema delle dimensioni di scala. A livello tecnico, le reti decentralizzate hanno il vantaggio di essere più robuste: di fronte ad attacchi che distruggono alcuni nodi, altri nodi e collegamenti possono essere disaccoppiati, limitando i danni.
A livello ideologico, esse tentano di rompere con i modelli capitalistici e orientati al profitto che sono al centro di molti degli attuali problemi dei social media. Ma l’economia delle piattaforme non può aggirare la questione fondamentale delle economie di scala. Ognuno dei collegamenti in una rete costa qualcosa per essere attuato. Mentre questi costi possono essere distribuiti tra gli utenti o può essere creata una struttura senza scopo di lucro per raccogliere risorse per supportare le reti, sarà necessaria un’architettura molto creativa per respingere la tendenza intrinseca verso una struttura monopolistica.
Tuttavia, le ideologie contrastanti in gioco in questo settore tecnologico rispecchiano, in misura sorprendente, le ideologie contrastanti in economia tra la versione più estrema, quella di Ayn Rand, del libertarismo e il suo riflesso nei modelli economici neoliberisti della Scuola di Chicago e quella più eterodossa, approccio orientato alla comunità di Ostrom. È possibile, e forse probabile, che ciò a cui stiamo assistendo sia l’ennesima iterazione di un ciclo dal quale sembriamo incapaci di uscire.
In questa visione, Ayn Rand potrebbe rappresentare la tesi secondo cui il potere dell’egoismo del mercato atomizzato è sufficiente e ottimale per convertire l’avidità in un catalizzatore di grandezza che va a vantaggio della società attraverso il genio controintuitivo della mano invisibile del mercato. Al contrario, Elinor Ostrom rappresenta l’antitesi, poiché i fallimenti del mercato dovuti a monopolio, beni pubblici, relazione “principal-agent”, cattura del regolatore, ecc. si accumulano fino a stravolgere l’argomento del “mercato onesto” in una forma in cui non è quasi più riconoscibile o facilmente difendibile.
Quello che ci manca ora è una sintesi in un modello armonizzato che combini le intuizioni di due scuole esistenti.
Questa tensione non è peculiare del decentramento. Allo stesso modo, One man one vote (la democrazia) è contrapposta a One Dollar One Vote (il mercato); Non profit vs A scopo di lucro; Software Open Source vs Software Proprietario; Citizen Journalism vs Reporting professionale. In tutti i casi le strutture appaiono affiancate perché la tensione appare ancora irrisolvibile. E forse l’idea generale è che ciò con cui abbiamo a che fare sono le diverse modalità di fallimento degli esseri umani. Nel caso della progettazione attorno a valori comuni, dimentichiamo che gli elementi antisociali formano comunità, proprio come gli elementi prosociali, quindi dare potere alla comunità in modo semplicistico attraverso un’architettura progettata in modo ottimale senza supervisione, probabilmente porterà sempre a rafforzare involontariamente attori distruttivi. Allo stesso modo, il mercato avrà sempre successo brillantemente fino a quando non troverà i suoi fallimenti, a quel punto potremmo trovarci con oligarchi tecnologici e dittatori digitali dopo che l’idealismo aziendale iniziale si è esaurito e il valore per gli azionisti ha preso il sopravvento.
Una opinione scarsamente condivisa è che, mentre Ayn Rand ed Elinor Ostrom possono apparire come antagonisti in lotta per la vittoria, la loro vera funzione potrebbe essere quella di una versione intellettuale della battaglia senza fine della leggenda mitologica norrena degli Heodenings, di Heðinn e Hǫgn, un’eterna leggendaria battaglia tra avversari nella quale non si hanno mai vittoria e sconfitta. Se questo è effettivamente corretto, la battaglia ci protegge da entrambe le modalità di puro fallimento riequilibrando costantemente il potere attraverso la tensione dialettica. Se questo risulta essere vero, possiamo aspettarci di vedere entrambe le strutture intellettuali presiedere a nuovi eserciti quando inizieremo a sentir parlare di Web 4.0, 5.0, 6.0… all’infinito.
L’autrice è grata per i commenti di Thomas Ferguson, Michael Grossberg ed Eric Weinstein.
[1] Cfr. ad esempio Araral, Eduardo. “Ostrom, Hardin and the commons: A critical appreciation and a revisionist view.” Environmental Science and Policy 36 (2014) 11-23
Elinor Ostrom (Los Angeles, 7 agosto 1933 – Bloomington, 12 giugno 2012) è stata una politologa ed economista statunitense insignita del Premio Nobel per l’economia, insieme a Oliver Williamson, per l’analisi della governance e, in particolare, delle risorse comuni. È stata la prima donna a essere premiata con il Nobel in economia
Ayn Rand O’Connor (nata Alisa Zinov’evna Rozenbaum, in russo: Алиса Зиновьевна Розенбаум?; San Pietroburgo, 2 febbraio 1905 – New York, 6 marzo 1982) è stata una scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, autrice di Noi vivi, La fonte meravigliosa e La rivolta di Atlante. Sostenitrice dell’individualismo e dell’egoismo razionale, come la più naturale e importante delle virtù, in quanto consiste nel cercare il proprio bene senza arrecare danno agli altri. La citazione si riferisce al protagonista di “La rivolta di Atlante”, John Galt
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