Nella Galleria d’Arte Moderna in Palazzo Pitti è presente una grande tela di Giuseppe Bezzuoli, dipinta nel 1829 su commissione del Granduca di Toscana Leopoldo II, che illustra un momento cruciale della storia di Firenze: l’ingresso in città del re di Francia Carlo VIII alla testa del suo potente esercito.
Carlo VIII, infatti, scese in Italia nell’autunno del 1494 con l’intento di conquistare il Regno di Napoli ed entrò a Firenze il 17 novembre; visto che Piero de’ Medici, figlio del Magnifico, non ebbe il coraggio e soprattutto un esercito con cui fermare l’invasione. Se si osserva bene il quadro del Bezzuoli, si possono notare in basso a destra alcuni personaggi che guardano con apprensione il re a cavallo mentre passa attraverso una delle porte cittadine: quelli più facilmente riconoscibili sono Machiavelli, Pier Capponi e Savonarola che di lì a breve avranno un ruolo determinante nella cacciata di Piero e della famiglia medicea, nonché nella successiva instaurazione della Repubblica fiorentina.
Con la discesa di Carlo VIII iniziò una guerra durata decenni tra la Francia e la Spagna per il predominio sull’Italia, che alla fine del XV secolo, pur vivendo un periodo di massimo splendore artistico e culturale, era ridotta ad un agglomerato di staterelli regionali incapaci di tener testa alle grandi potenze europee. E Machiavelli, che da ambasciatore della Repubblica fiorentina osservò quelle vicende, poi spiegò magistralmente quali erano le cause della crisi italiana nella sua opera più famosa, “Il Principe”, ma anche in un altro testo importantissimo anche se meno conosciuto: “L’arte della guerra”.
I principi italiani – tra i quali egli annoverava anche Girolamo Savonarola che per un breve periodo fu a capo della Repubblica – erano incapaci di opporsi ai sovrani stranieri che imperversavano sulla Penisola per un motivo innanzitutto: mentre le monarchie francese e spagnola avevano eserciti nazionali su cui basavano la loro potenza, gli staterelli italiani assoldavano milizie mercenarie che quindi combattevano per la paga e non garantivano fedeltà ai principi. Per Machiavelli, dunque, la presenza di un esercito stabile, bene addestrato e bene armato, motivato e fedele alla bandiera è conditio sine qua non della indipendenza degli Stati. E Machiavelli, nonostante la vulgata corrente, non era un guerrafondaio e neppure un ideologo dell’imperialismo; tanto è vero che il suo modello storico era la Roma repubblicana, dove i soldati erano cittadini volontari, e non la Roma imperiale che conquistò mezzo mondo.
Quanto sia importante per uno Stato avere a disposizione un esercito nazionale molto motivato, soprattutto quando si rende necessario opporsi alle invasioni nemiche, risulta evidente se si esamina la storia passata: per esempio la Francia rivoluzionaria che riuscì a sostenere la guerra mossale dalle potenze reazionarie proprio in virtù dei suoi soldati che combattevano con passione per difendere la Nazione e il tricolore; oppure la guerra d’indipendenza americana, dove l’esercito formato dai patrioti delle colonie e guidato da George Washington sconfisse il potente esercito del Regno Unito.
Se poi veniamo ai nostri giorni, vediamo chiaramente cosa sono capaci di fare i soldati e i volontari ucraini che si oppongono all’invasione dei russi: certamente grazie anche alle armi fornite dai Paesi della NATO, ma soprattutto grazie alla forte motivazione che li spinge a non arrendersi e a stringersi eroicamente intorno al loro leader.
Ecco perché suonano veramente inopportuni gli appelli dei pacifisti italiani che continuano a invitare il presidente Zelensky ad arrendersi a Putin per evitare ulteriori massacri. Certamente tutto si sarebbe risolto se Zelensky fosse scappato con un aereo inglese o americano, e se l’occupazione dell’Ucraina da parte della Russia si fosse conclusa dopo una settimana. Non ci sarebbero stati migliaia di morti e milioni di profughi; e noi italiani non avremmo incubi notturni per l’eventualità di un conflitto che ci coinvolga direttamente.
Se quei folli patrioti ucraini si fossero arresi dopo un paio di giorni, rinunciando così alla sovranità del loro Paese, non dovremmo neppure aumentare le nostre spese militari come previsto dagli accordi presi con gli alleati della NATO una decina di anni fa e finora mai onorati. Come sostengono Salvini e Conte, magari potremmo impiegare tutti quei soldi per i giovani disoccupati o per aumentare le pensioni. E poi, perché spendere per migliorare il nostro esercito, quando non dobbiamo più fare guerre coloniali e la sicurezza dell’Italia è garantita dai militari americani?
Salvini e Conte sono convinti che mai Putin verrà a minacciare i confini della UE; purché la NATO non faccia con lui la voce grossa e lasci gli ucraini al loro destino, che sarebbe quello di far parte della Russia come ci è stato spiegato. E l’Ucraina non dovrebbe nemmeno entrare nell’Unione Europea, altrimenti lo zar si sentirebbe accerchiato e minacciato.
E’ dunque incomprensibile per i pacifisti e i bipopulisti italiani (guarda caso, quest’ultimi in un recente passato hanno avuto rapporti di amicizia con la Russia o mostrato simpatia per il suo autocrate) che la pacifica Germania del socialdemocratico Scholz abbia deciso di riarmarsi; e che persino la neutrale Finlandia, confinante per oltre mille chilometri con la Russia, tema di poter essere invasa per cui, molto probabilmente, chiederà di entrare nella NATO.
Salvini e Conte, la sinistra radicale di Fratoianni e Landini, l’Anpi, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, il direttore del Riformista Piero Sansonetti etc. non vorrebbero che si mandassero armi agli ucraini né che si incrementassero le spese per rafforzare l’esercito italiano. Evidentemente non hanno mai letto Machiavelli.
Lascia un commento