Gli esiti dei flussi elettorali ed i risultati dei candidati a presidente, ma soprattutto dei partiti, mostrano con chiarezza un dato su cui si dovrà riflettere, e in fretta.
Le componenti che hanno inciso nella vittoria del presidente uscente, Stefano Bonaccini, sono state, da un lato, “il buongoverno”, ovvero i risultati amministrativi concreti ottenuti in questo mandato, e, dall’altro, la politicizzazione dello scontro, che ha assunto inevitabilmente un’esposizione nazionale più che local-regionale.
Bonaccini ha vinto per la gestione della “cosa pubblica” in questi cinque anni e per i dati, non solo statistici, positivi che la Regione ha mostrato nei campi essenziali della vita di ogni cittadino: crescita economica e occupazione ed efficacia del welfare territoriale. La candidatura di Bonaccini ha fatto la differenza e questo è testimoniato dai voti che egli ha ricevuto, ben maggiori rispetto a quelli presi dalla coalizione che lo sosteneva.
L’altra componente che ha inciso quanto quella sopra descritta è stata la forte politicizzazione del confronto, che ha visto per un mese intero presente in ogni frazione il leader nazionale della destra, Matteo Salvini. Questo ha sortito un effetto mobilitante inaudito, rafforzato dal protagonismo vincente di tanti giovani ragazzi e ragazze, le “sardine”, che sono riuscite a restituire a tanti elettori stanchi e “debilitati” una motivazione per tornare alle urne e votare centrosinistra.
Per dirla in maniera brutale, in Emilia Romagna il centrosinistra è riuscito a vincere nettamente perché è risultato un interlocutore serio e affidabile sia per le “élite” sia per il “popolo”. A differenza di quanto accaduto, anche in Emilia, nelle recenti elezioni europee o nelle politiche del 2018, la coalizione di centrosinistra ha tenuto – e in alcuni casi ha incrementato i propri consensi – sia nei grandi centri urbani che nei comuni minori e più periferici, dove aveva perso di più a favore della destra e in particolar modo della Lega salviniana.
A mio avviso, la sfida per il Partito Democratico e per il centrosinistra di governo, serio e responsabile, risiede proprio in questo passaggio. Se sarà in grado di coniugare la buona gestione della cosa pubblica con il dialogo verso le fasce di cittadini più periferici (inteso non soltanto in senso geografico ma anche sociale), e se saprà mobilitare i cittadini comuni intorno ad una prospettiva potrà tornare a vincere ed a battere l’avanzata dei populisti di destra.
Ciò chiaramente non potrà avvenire se, in premessa a tutto questo, non sarà in grado di definire con limpidezza una visione di futuro, nel medio-lungo termine, delle realtà locali e regionali che da almeno un decennio vivono sfide globali impensabili fino a pochi anni or sono.
Per vincere servono la “testa” e il “cuore”, come ha scritto di una recente analisi il prof. De Sio.
La sfida per i democratici è questa, altrimenti il destino è già segnato.
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