Una delle cose più fastidiose delle discussioni sulle leggi elettorali degli ultimi anni sta nella totale decontestualizzazione in cui il dibattito si svolge. Mi spiego.
Dal 1993 in qua abbiamo avuto: (1) la vecchia legislazione proporzionale del 1948 (ricordo: proporzionale circoscrizionale con recupero nazionale dei resti, sbarramento bassissimo, preferenze prima multiple poi una sola); (2) le leggi Mattarella del 1993 (ricordo: per ¾ maggioritarie e per ¼ proporzionali – con parziale riequilibrio detraendo in tutto o in parte i voti utilizzati per eleggere nei collegi uninominali; due schede alla Camera, voto unico al Senato); (3) la Calderoli (via i collegi, tutte liste proporzionali lunghe e senza preferenze, possibilità di fare coalizioni, premio a 340 seggi: Camera a chi vinceva in tutta Italia anche di un voto solo; sbarramenti vari); (4) l’Italicum (mai usata: premio purché si ottenesse almeno il 40% nazionale, ballottaggio nel caso in cui la prima lista andasse sotto il 40%, liste corte preferenze limitate: il capolista passava comunque primo); (5) un mix di Italicum senza premio, alla Camera, e di Calderoli con le preferenze, ma senza una precisa disciplina, al Senato (grazie alle due famigerate sentenze 1/2014 e 35/2017); (6) legge Rosato (⅜ collegi maggioritari, possibilità di apparentamento, ⅝ di seggi proporzionali, sbarramento al 3%, niente preferenze).
Come ben si vede, di tutto e di più.
Credete a me: ciascuna di queste leggi aveva pregi e difetti (qualcuna più difetti che pregi, secondo come la vedo io: e devo dire come la vedevano molti tecnici). NESSUNA era perfetta. Credo che fossero meno imperfette delle altre le leggi Mattarella (1993) e l’Italicum (2015), per ragioni diverse. Come che sia Berlusconi ci ha tolto le prime (seguendo Casini: sì il degnissimo Casini, e Fini), gli elettori e la Corte ci han tolto l’Italicum (avendo i primi salvato il Senato con potere di fiducia e l’obbrobrioso bicameralismo italiano).
Naturalmente gli effetti delle leggi elettorali NON SONO SEMPRE GLI STESSI. Dipendono (a) da come votano gli elettori e prima ancora (b) dalla c.d. OFFERTA: cioè quanti partiti si presentano, se si coalizzano, come si coalizzano.
Il disastro italiano nasce a mio avviso nel 2005 con la legge Calderoli. Perché? Primo, perché le Mattarella stavano funzionando (e Berlusconi per primo se n’era avvantaggiato di fatto guidando – unico nella storia dopo De Gasperi 1948-1953, un’intera legislatura 2001-2006). Secondo, perché mentre le leggi Mattarella seguivano il referendum e furono “dettate” dall’esito di questo e applicate sotto il velo dell’ignoranza (o quasi) con la Calderoli si ebbe (grazie al risultato di elezioni con la legge Mattarella!) l’imposizione di una legge elettorale assolutamente partigiana, cioè fatta nell’ipotesi di avvantaggiare la maggioranza del tempo (che era data per sicura perdente alle successive prossime elezioni del 2006).
Insomma: è “normale” che una democrazia dopo 45 anni di esperienza decida di cambiare. Non è normale che una democrazia si metta a cambiare ossessivamente se non proprio ad ogni elezione, quasi (1948, 1993, 2005, 2015, 2017 + Corte).
NON SO SE CI AVETE FATTO CASO: ma ogni volta, sistematicamente, ineluttabilmente la legge elettorale vigente è presentata da larga parte dei partiti come, scusate il francesismo, un indecoroso troiaio. Appena si riesce a seminare il dubbio che sia una “cattiva legge elettorale”, tutti a darle addosso, del tutto dimentichi degli obiettivi che ci si era posti nel vararla. Cambiano i fini, cambia il contesto, ciò che andava bene ieri non va bene oggi: ma è ovvio! E non è “colpa” della legge elettorale e neppure di coloro che la approvarono. Del resto è mai possibile che CIASCUNA legge elettorale diventa dopo un po’ “la peggiore della storia”? Siamo, sono i legislatore tutti pazzi? Chiaro che no.
Vengo alla Rosato.
Quali furono le priorità nel 2017?
(1) avere due leggi uguali per Camera e Senato (non lo erano e ciò creava problemi; in più era stato “suggerito” dalla Corte)
(2) sistemare il pasticcio delle preferenze al Senato (non c’era mai stato: andava regolato o sostituito, come fu, da liste molto corte: per di più alla Camera c’era la doppia preferenza uomo/donna, al Senato no)
(3) introdurre norme per il riequilibrio di genere
(4) ridimensionare le pluricandidature e fare in modo che il plurieletto non potesse decidere lui come più gli conveniva, determinando così la non elezione altrui
(5) trovare una formula che – evitando il premio nazionale, passato di moda, aiutasse la c.d. governabilità: da questo nascono i ⅜ di seggi uninominali che riecheggiavano- ma al ribasso: e questa fu la critica, oggi si dice l’opposto! – le Mattarella (che avevano i 6/8 di maggioritario).
LAST BUT NOT LEAST, coloro che votarono la legge perseguivano un ulteriore NON DICHIARATO mal evidente obiettivo: reintrodurre e favorire le coalizioni (fossero di destra, fossero di sinistra) per rilanciare il bipolarismo e mettere nell’angolo l’avversario comune, il M5S (che infatti dei partiti rilevanti fu l’unico che NON votò la Rosato: e che voleva infatti la proporzionale più pura possibile, con sbarramento). Infatti fino al “campo largo” dell’ultimo PD, il M5S era stato il partito NON COALIZZABILE per definizione. Gli altri con maggiore (destre) o minore successo (sinistra, sinistra centro), invece, coltivavano l’arte e la tattica delle coalizioni.
L’esito del voto del 2018 fu assolutamente tripolare: destre coalizzate al 37%, M5S al 33%, PD e soci al 23%. L’esito fu anche la difficile governabilità superata suon di coalizioni POST-elettorali + UNITA’ nazionale con Draghi. Se i cittadini (in ipotesi) avessero premiato M5S in misure inferiore (come le altre forze politiche speravano), problemi rilevanti non ce ne sarebbero stati. Scelsero diversamente e minarono come effetto le aspettative sulle quali era stata costruita la legge Rosato. La quale oggi torna a funzionare come coloro che la vollero avevano immaginato.
Il fatto che è destinata a premiare le tre destre non la rende solo per questo degna di ogni vituperio. Ho già detto e scritto che le mie preferenze vanno alle Mattarella e all’Italicum. Però, inutile illudersi: con gli orientamenti attuali dei cittadini mi è difficile immaginare una qualsiasi legge elettorale che non faccia vincere chi si avvicina al 45-46% dei voti!
Infine: nel 2018 le sinistre intorno al PD (già allora c’era anche +Europa) ottennero il 23% dei voti e 28 seggi uninominali alla Camera: che equivalgono nel parlamento ridimensionato a 18. Nelle pessimistiche previsioni post nascita del Terzo Polo l’Istituto Cattaneo gliene attribuisce 23 (+5). E’ una base di partenza. Che però non può nascondere il fatto che non è affatto la scelta di Calenda ad affossare Pd ed alleati: è il fatto che il M5S perde oltre il 20% dei consensi, perde l’equivalente di 60 collegi uninominali e siccome l’aggregazione con il M5S non piace al PD (legittimamente, eccome) questi potrebbero andare per 5/6 alle tre destre unite. Non so di chi sia la colpa, ma certo non è della povera legge Rosato. Né vedo quale strategia Letta avrebbe potuto inventarsi: ha provato la cosa più difficile (mettere dentro tutti tranne M5S), non gli è riuscito; avrà commesso errori (per es. l’ostracismo sin dall’inizio a Renzi ed Italia Viva) ma il segretario Pd non poteva non sapere dal primo momento che la coraggiosa rinuncia ad allearsi con l’affossatore no. 1 di Draghi (Conte con la benedizione di Grillo) significava sconfitta inevitabile: che si poteva contenere e verrà contenuta – credo – andando oltre il 2018, ma non si può evitare. Se stando così le cose sia stato saggio posizionare il Pd in modo di non scegliere definitivamente il campo riformista, è un altro discorso. (E forse nemmeno questo gli era possibile dato quanto ancora sono le ambiguità nella sua classe dirigente e nella sua base).
(con il consenso dell’autore questo articolo è ripreso da Facebook)
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