Che il maschio sia in sé persona immonda, stupratore e assassino nel midollo, lo certifica autorevolmente il mondo femminista radicale e non fa sconti. Ma In questa guerra dei sessi fratricida qualcosa stona sospetto e incongruo nel coro colpevolizzante ricamato dalle prime pagine dei media progressisti.
Lasciamo perdere i silenzi sugli stupri di massa dei galantuomini di Hamas in Israele. Ormai si sa che l’obiettivo unico e vero è l’uomo bianco occidentale, colonialista impunito e patriarca. Dunque il castigo che indubbiamente merita deve spingersi fino a sottrarlo all’esame probante di un civile tribunale non islamico.
È in corso in Italia un processo per stupro e, al solito, la versione degli accusati non collima con quella della presunta vittima. Per il femminismo tossico la donna non mente mai. Per i giudici si tratta invece di capire, dato che ne va della vita degli imputati. C’è che, per capire, bisogna purtroppo far domande, purtroppo anche indelicate e intime. Alcune risulteranno inopportune, ma si tratta pur sempre di indagare negli angoli demoniaci delle pulsioni sessuali. Per cui chiedere, in questi casi, è un pò celebrare non facili esorcismi. E però pare che non si possa, il bon ton vieta le domande pruriginose, cala sul processo la scure della censura perbenista e la denuncia ha da essere creduta in toto. È la trappola in cui ci ha chiusi la natura facendoci maschi e femmine, predatori e prede. Un veleno per cui la civiltà ancora non ha trovato antidoti efficaci.
Ma che dire di Parigi? Là le femministe ce l’hanno con Serge Gainsbourg al quale la città vorrebbe dedicare un ponte. Celebre e invidiato in vita per le canzoni sensuali e gli amori plateali con Brigitte Bardot e Jane Birkin, a decenni dalla morte si scopre che i suoi testi esaltavano l’incesto. Ma va?! Dunque diventa persona al neofemminismo sgraditissima, da destinare alla damnatio memoriae senza esitazione. La cultura della cancellazione è spietata nele sue leggi.
E Depardieu? È un vecchio cochon, si sa. Lo accusa non a caso un piccolo esercito di femmine. E ora che escono certi suoi apprezzamenti su una bambina di dieci anni, lo scandalo è triplo. Come se di Lolite non si fosse mai scritto nulla, come se le ragazzine impuberi di Balthus non fossero esposte nei massimi musei. Ma questo è niente a petto del chiasso mediatico sul suicidio nella Senna di Emanuelle Debever, subito addebitato a Depardieu.
Chi era costei? Un’ex attrice, ormai sessantenne. Nel 1989, giovanissima, aveva recitato in un film in costume al fianco dell’attore. Il quale, rapace anche allora, durante una scena le aveva infilato una mano sotto la gonnella. Niente di più. Passano i decenni e nel 2018, sull’onda del #metoo ecco Debever tra le prime a denunciare il predone. La nuova sensibilità parla di violenza sessuale e molestie. Depardieu è però assolto.
Cinque anni dopo, nei giorni scorsi, la Tv francese annuncia un programma sulle sue imprudenze sessuali. Debever si uccide prima, ma la magistratura vuol vederci chiaro: induzione al suicidio? Colpa del vecchio porco? Aspettiamo gli sviluppi. C’è da aspettarsi tutto. È lo spirito del tempo.
Un paio d’anni fa il Foglio pubblicò una lunga intervista a una giornalista russa, collega di Anna Politivskaia uccisa per i suoi articoli sulla mafia cecena. Ricordando i tanti meriti dell’Occidente, criticava però le facili indignazioni delle femministe: “Noi in Russia lottiamo per la vita e nell’islam la donna è schiava e altrove subisce orrende mutilazioni. Invece alle occidentali piace addebiare tutti i loro fallimenti all’uomo che trent’anni fa gli toccò il culo. Poverine, non sapete quanto siete fortunate se il massimo che vi è capitato è un uomo che vi ha toccato il culo”. Ecco.
Lascia un commento