Alla prima edizione di Pistoia Blues, nel 1980, partecipano tra gli altri anche Muddy Waters, classe 1913, uno dei padri storici del blues.
Nel 1950 Muddy aveva pubblicato un 45 giri con un blues tradizionale reinterpretato, Catfish Blues, che diviene col nuovo titolo Rollin’ stone.
In inglese “rolling stone” significa vagabondo. Da quel blues nel 1962, l’11 giugno per la precisione, dei ragazzi che suonano blues decidono, ispirati dalla canzone di Muddy di prendere in nome di The Rolling Stones, ovvero “I vagabondi”. Per inciso i ragazzi erano Mick Jagger, Keith Richards e Brian Jones: è lui che decide in nuovo none, prima erano Little Boy Blue and The Blue Boys e di blues comunque ne sapevano parecchio.
La canzone di Muddy ispira anche nel 1967, a San Francisco, un editore, Jann Simon Wenner, e un critico musicale, Ralph J. Gleason, che decidono di fondare una rivista, che parli di musica, politica, costume. E la intitolano Rolling Stone.
Ora, se vogliamo credere in qualche modo alla nemesi, a una redistribuzione della giustizia riparatrice, ma anche a un’alternanza della storia, si potrebbe dire in senso molto generale che “chi di rollin’ stone ferisce di rollin’ stone perisce”…
Il 3 dicembre (2019) sull’edizione italiana on line di Rolling Stone esce un breve articolo a firma pseudonima di Ray Banhoff – che sul suo sito (www.raybanhoff.com) si definisce “A writer and photographer born in Tuscany and raised in Milan. Now roaming searching for his stories” – dal titolo Tristoia e la fiera del disco abbandonata a se stessa, ovvero “Cronaca di un piovoso sabato mattina passato a Pistoia fra una dozzina di stand e bianchini alle 10 del mattino. L’amore per il vinile è una forma di attivismo culturale: meriterebbe di meglio”.
Tristoia è un’interpretazione di Ray per Pistoia, anche se si dice che il nome sia comparso anni fa su scritte murali nel centro città.
Apriti cielo! Quotidiani, giornali on line, blogger, social, intellighenzia locale, tutti a dare addosso a Ray, che nell’articolo (www.rollingstone.it/opinioni/opinioni-musica/tristoia-e-la-fiera-del-disco-abbandonata-a-se-stessa) con l’acuta ironia e il sarcasmo che lo contraddistingue (e si possono leggere i suoi altri articoli per Rolling Stone) dice proprio una cosa minima, risaputa da tutti: il re è nudo! Ovvero Pistoia è una città triste che non sa mettere a frutto i capitali che ha, anzi, il lascito di essere stata nel 2017 Capitale italiana della Cultura.
Non sto a riassumere l’articolo e neppure le critiche allo stesso: in rete si trova tutto.
Chi scrive può piacere o non piacere, così come chi fa cinema, cucina, o anche amministra le città. Ma certamente a Ray va riconosciuto di avere uno sguardo attento e se guarderete le sue foto sul suo sito lo capirete al volo. Ha un occhio sveglio da antropologo sul campo. Quella su Rolling Stone non è una scrittura accademica, è istintiva, con poco controllo, ma questo non vuol dire che l’autore non sia attento, non sappia esattamente cosa scrive e ciò che susciteranno le sue parole. Ci va giù deciso, non ama i giochi di parole e anche le sue foto sono molto dure in ogni caso.
Dopo alcuni mesi di questa rubrica avrete capito come la penso. Quale sia la mia idea sulle città, sulle città adesso, che sono davvero tutta un’altra cosa rispetto a quello che amministratori e alcuni abitanti vorrebbero.
Le città sono quello che sono sempre state.
La Londra del 1858 puzzava come una latrina. E infatti appunto l’estate di quell’anno passò alla storia come quella della Great Stink.
Anche con ogni miglioramento tecnico, sanitario, sociale, le città sono nel 2019 quello che sono sempre state. Le città puzzano, sono affollate, rumorose, sporche, pericolose, tuttavia almeno il 55% degli abitanti del mondo vive nelle città, una percentuale in costante crescita. Il 23 maggio 2007 per la prima volta nella storia del mondo gli abitanti nelle città sono stati di più di quelli nelle campagne.
Attorno al 7.000 a.C. tra Iraq, Turchia, Siria nascono le prime città della storia, insediamenti di grandi dimensioni, tra i 10.000 e i 50.000 abitanti. La prima vera città in assoluto, con servizi, centri politici, ecc. dovrebbe essere Uruk, che attorno al 3.000 a.C. è la città più grande del mondo.
È questo il concetto di città: luogo abitato dove ci sono servizi, dove tutto è concentrato, dove gli aspetti peggiori del vivere, quelli sopra accennati, passano in secondo piano per l’impulso straordinario dato allo sviluppo della conoscenza, anche per l’aggregazione dei suoi abitanti.
Ora, bisognerebbe però non fare confusione.
Critica: oggi posso accedere ai servizi della Library of Congress di Washington anche se abito a Brozzi. Che senso ha abitare in città? Non vado al pub, mi basta il baretto sotto casa se c’è, non mangio indiano o giapponese, quindi posso anche vivere in uno sperduto casale della Maremma laziale e con una rete veloce sono sempre collegato alla Library of Congress.
Bene, però nella sperduta Maremma laziale un ospedale è a 100 km, il medico a 50, la scuola elementare a 20, il liceo a 120… e per ora queste cose non si comprano su Amazon, così come non si può mettere un presidio sanitario ogni 100 abitanti.
Malgrado la puzza, il caos, il rumore e tutto il resto le città sono ancora la forma più avanzata di civiltà.
Cosa ha detto Ray che ha fatto tanto imbestialire i pistoiesi (io ho vissuto a Pistoia per trenta anni ma non sono imbestialito)?
Gratta gratta ha detto che Pistoia NON è una vera città, perché NON ci sono servizi, che è abbandonata a se stessa, che è immobile, una specie di paese periferico che mette tanta tristezza.
I suoi “critici” rispondono che la forza di Pistoia è la bellezza, non le cose che NON ha e che la fanno poco città. Peccato che la bellezza NON esista, non solo a Pistoia, ma davvero in nessun luogo. La bellezza è una pura astrazione filosofica, inapplicabile alle città.
“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.” Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909. A ciascuno la sua bellezza.
Nel caso, come può un luogo puzzolente, affollato, rumoroso, sporco, pericoloso quale una città essere anche bello?
Oh oh… a meno che… a meno che… non sia profumato, deserto, silenzioso, pulito, sicuro… eh certo, ma allora non è una città, è un museo, il caveau di una banca.
Ora tutto torna. L’idea che si vuol dare di Pistoia, la vulgata che si sta costruendo su tante città, è quella di un luogo del tutto museizzato, un asettico insieme di palazzi senza nessun abitante, magari addirittura coperto da una cupola di vetro per proteggerlo. Questa è l’idea che gli amministratori (e non solo) hanno di una città, non solo di Pistoia, ma di gran parte delle città italiane.
Nel 1989 Stefano Benni dirige il film Musica per vecchi animali, tratto dal suo libro Comici spaventati guerrieri, oltretutto con un cast eccezionale (Dario Fo, Paolo Rossi, Felice Andreasi, Francesco Guccini, Carlo Monni). Il film è ambientato nel futuro, in un futuro di città catastrofica, un Blade runner senza pioggia… dove tra l’altro in ogni cortile, giardino, strada è “Vietato giocare al pallone”. Gruppi di bambini girano per la città alla ricerca del “quisipuò” luoghi ideali dove in qualche modo aggirare i divieti del gioco del pallone.
Ecco, l’idea delle nuove città è questa, divieti in ogni luogo, divieti di tutto, dove gruppi anarcoidi saranno alla ricerca del “quisipuò”.
I “centri storici” (che brutta parola!) sono sempre più svuotati di quei servizi che sarebbero caratteristica delle città. Tutto si sposta in periferia, compresi ospedali, scuole, negozi… e abitanti.
Ray però ha messo il dito nella piaga, ha fatto capire che Pistoia è quella che è, non così asettica come qualcuno la vorrebbe, è ancora un po’ come tutte le città, triste, sporca, noiosa, con una strada “che sembra una mulattiera bombardata di Kabul…”, quella provincia che è ancora provincia (Pistoia sono 2.000 anni che è provincia di qualcosa) e che non si riesce a museizzare… con i servizi e i cittadini che si spostano in periferia lasciando un centro vuoto.
A luglio Ray aveva parlato di Livorno, dove abito. Titolo folgorante: “Livorno: d’estate San Diego, d’inverno Chernobyl. È l’unica città toscana ad essere subdolamente anti-turistica per preservare la libertà di andare in giro in infradito e tenere gli altri fuori dal proprio piccolo paradiso. Livorno, dove l’importante è che non cambi mai nulla.” Il paragone con Chernobyl non regge molto, “A Livorno d’inverno pare d’essere a Chernobyl, non c’è niente a parte il vento di maestrale e l’odore del salmastro”: ci sono stato a Chernobyl, lo sapete, e lì ciò che manca è proprio l’odore, ma il succo è perfetto.
Ray ha detto più semplicemente che “Pistoia la bella” non esiste, che Pistoia però non è neppure una vera città, visto che ben poche di quelle caratteristiche che fanno le città moderne.
Pistoia forse è come Çatalhöyük, in Turchia, che nel 7.000 a.C. per alcuni archeologi è stata la prima città del mondo, ma forse in base a ricerche più recenti anche no, perché mancante, pur con 10.000 abitanti, di tutti quei servizi che fanno una vera città.
Pistoia è un po’ così, ibrida, una protocittà, che solo con la bellezza vorrebbe assurgere a vera città.
Ray ha messo un dito nell’occhio dei pistoiesi ed ha detto che la città non solo non è bella, ma non è neppure una vera città, è triste, noiosa…e questo ai suoi abitanti non è andata proprio giù.
Nella foto: Muro di Pistoia © Simone Fagioli 2019
Rossella
Ti ho letto con grande piacere, la tua analisi di Pistoia è purtroppo molto corretta, vorrei che non fosse così perché ci vivo e la amo da sempre, ma è vero quello che lucidamente scrivi…ti abbraccio con tanto affetto!
Rossella