La Giornata della Memoria, se non si vuole che si trasformi in un rituale di puro e semplice ricordo dei defunti alla stregua del 2 novembre, deve contemporaneamente guardare al passato e gettare luce sul presente. Così e solo così se ne può esaltare l’alta funzione pedagogica che venne concepita già al momento della sua nascita, in Italia con la legge 20 luglio 2000 in cui si chiarisce che, “su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”, andranno organizzati “cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado”.
La prima riflessione che andrebbe fatta riguarda il luogo simbolo della Shoah e dei suoi orrori, il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, i cui prigionieri superstiti vennero liberati il 27 gennaio 1945: una data che poi ha ispirato la risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 1° novembre 2005, al fine di celebrare il sessantesimo anniversario della chiusura dei lager nazisti. Ebbene, il cancello del campo di sterminio di Auschwitz fu aperto da un reparto dell’Armata Rossa che era composto prevalentemente da soldati ucraini e in minima parte bielorussi: il 100° battaglione della divisione Lviv, comandata da Anatolyi Shapiro, ebreo nato a Poltava, nell’Ucraina centrale.
Non può, dunque, essere considerato un incidente diplomatico il fatto che la Russia quest’anno non sia stata invitata ad Auschwitz per la commemorazione della fine della Shoah: la Russia che nel corso della sua invasione dell’Ucraina sta cercando di attuare lo sterminio del popolo ucraino e la distruzione della sua cultura, con strumenti e metodologie (fosse comuni, deportazioni, torture, stupri, bombardamenti di abitazioni civili, luoghi della cultura e chiese) che rievocano gli anni bui in cui il Terzo Reich aveva sottomesso gran parte dell’Europa.
Seconda considerazione: i campi di sterminio vennero liberati e il nazismo fu sconfitto non con la diplomazia e le sanzioni economiche (che purtroppo si rivelano relativamente inefficaci quando ci si trova a doversi difendere da un regime totalitario guidato da un leader spietato come fu Hitler nella Seconda guerra mondiale e, per certi versi, lo è anche il Putin dei nostri giorni); bensì con gli armamenti, compresi i carri armati, come quelli che finalmente i Paesi democratici hanno deciso di inviare all’Ucraina per far fronte alla quasi certa offensiva primaverile dell’esercito russo.
Di conseguenza, ha fatto benissimo il Parlamento italiano ad approvare a grande maggioranza, insieme a parte delle opposizioni, il sesto decreto sugli aiuti militari e non solo da inviare all’Ucraina nel 2023, che, come ha precisato il ministro Crosetto, ha il solo scopo di “aiutare gli ucraini a difendersi”.
Il Giorno della Memoria, in modo particolare quest’anno, ci obbliga a ragionare sul nostro presente: sul fatto che l’occupazione militare di un Paese straniero porta sempre con sé violenze e orrori di ogni tipo, oltre che l’annichilimento culturale e la perdita della libertà nel popolo sottomesso. Questo avvenne durante la Seconda guerra mondiale per opera dei nazisti che si accanirono soprattutto contro gli ebrei, e questo sta nuovamente accadendo in Ucraina. A meno che i Paesi del mondo libero facciano tutto il possibile per aiutare gli ucraini a difendersi.
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