Tra meno di una settimana Giulia avrebbe ascoltato la commossa retorica della Giornata contro la violenza sulle donne. Probabilmente aveva già letto le locandine di qualche ente locale per la promozione delle iniziative organizzate per l’occasione.
Ma Giulia Cecchettin non avrà modo di assistervi: è stata uccisa con numerose coltellate alla testa e al collo, poi è stata fatta rotolare lungo un dirupo per 50 metri.
Anche Annalisa avrebbe voluto mostrare il suo sdegno per la violenza verso le donne. Ma anche per Annalisa D’Auria questo non sarà possibile: è stata uccisa a coltellate qualche giorno fa dal convivente.
Come non sarà possibile a tantissime altre donne, altre 103 per essere precisi, uccise dal primo gennaio di quest’anno insieme a Giulia e Annalisa.
Anch’io non voglio partecipare alla prosopopea degli officianti la liturgia del 25 novembre, con i vuoti atti di contrizione e l’auspicio di messianici cambiamenti.
Oggi, e non il 25 novembre, è ora di dire basta, unendo però la azioni alle parole.
Non è più sufficiente l’esecrazione, occorre agire.
Si è parlato in questi giorni dell’introduzione nelle scuole di appositi corsi.
Ecco, ancora una volta, che la scuola, trascurata e maltrattata da tutti i recenti governi, diviene d’incanto la panacea di ogni male.
Vi sembra forse che la soluzione possa essere semplicemente l’introduzione di una nuova materia di studio? A me pare piuttosto il desiderio di scaricare su una realtà già provata e priva di risorse responsabilità che – pare nessuno lo voglia ammettere – sono insite nella famiglia.
Certo, la scuola è importante. Ma quanto può fare per una formazione civile degli alunni già gli insegnanti tentano di farlo con il corso di educazione civica che, come da recente circolare del Ministero dell’Istruzione, è finalizzata a “consolidare la consapevolezza dei diritti e dei doveri nella cittadinanza futura”.
Anche perché, giova ricordarlo, sommando ai femminicidi gli atti di violenza sessuale sulle donne scopriamo che oltre la metà degli autori ha meno di 35 anni.
Il vero problema sono le famiglie. Quando un genitore non coglie nel figlio i tratti tipici del violento o è complice o è un pessimo genitore. Forse era troppo impegnato a minacciare o picchiare l’insegnante per un brutto voto dato al figlio.
Genitori che umiliano o aggrediscono gli insegnanti, che insegnano che il rispetto è legato alla sopraffazione, che pontificano circa la necessità di arrivare primi a qualunque costo, beatificando la dea furbizia, sono una patologia sociale contro la quale nulla può nessun corso scolastico, pannicello caldo per coscienze inquiete e prive di idee.
Non so quanto tempo occorra per riuscire a modificare lo stato delle cose, ma non possiamo permettere che in tutto questo lasso di tempo centinaia di donne continuino a morire e altre migliaia a essere stuprate.
Occorre quindi accentuare gli strumenti repressivi.
A partire, perché no, proprio dalla famiglia. Quando un genitore aggredisce fisicamente un insegnante perché non dovrebbe essere sottoposto alla decadenza dalla responsabilità genitoriale?
Positivo, anche se non risolutivo, il contenuto del disegno di legge in discussione questa settimana al Senato, un pacchetto di norme che dovrebbero rendere più efficace il Codice Rosso attraverso nuove azioni normative per tenere lontani stalker e violenti dalle potenziali vittime. Dal rafforzamento degli strumenti di prevenzione (ammonimento, braccialetto elettronico, distanza minima di avvicinamento, vigilanza dinamica ecc.) e con la loro applicazione ai cosiddetti “reati spia”, in modo da evitare che la violenza venga del tutto perpetrata e che l’eventuale intervento maturi troppo tardi per bloccarne le conseguenze. E’ previsto anche l’arresto in flagranza differita, e vengono previste nuove regole per favorire la specializzazione sul campo dei magistrati e la formazione degli operatori che, a diverso titolo, sono chiamati per ragioni professionali ad entrare in contatto con le vittime.
Proprio dalla magistratura, devo constatare, ci si deve aspettare non solo una specializzazione, ma anche una sensibilità che escluda il ripetersi di alcuni recenti episodi.
Scalpore ha suscitato, pochi giorni fa, la concessione degli arresti domiciliari, dopo sei anni di detenzione, a un soggetto condannato a trent’anni per l’omicidio della fidanzata Erika Preti giustificata dalla sua obesità e dall’eccesso di fumo. Il detenuto, si legge, non segue le indicazioni dietetiche e non diminuisce le cento sigarette al giorno che fuma, con i conseguenti rischi di natura cardiovascolare. Non poteva essere trasferito in una struttura sanitaria in regime detentivo? Era necessario rimandarlo a casa, a pochi chilometri dalla residenza dei genitori della vittima?
Ancora più inquietante è la recente richiesta del pubblico ministero di Brescia, che ha chiesto l’assoluzione per l’ex marito di una donna nata in Bangladesh ma cresciuta in Italia, che nel 2019 ha trovato il coraggio di denunciare i maltrattamenti subiti dall’uomo. Secondo il magistrato, i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine. Secondo questa teoria dovremmo accettare il sorgere nel nostro Paese di enclavi – principalmente islamiche – in cui i diritti e la dignità della donna sono “sospesi”, per rispetto alla “cultura” riferita a detta religione. Si tratta di una tesi assurda, peraltro in contrasto con la sentenza n. 13786/2023 della Cassazione, ma che getta ombre oscure e foschi presagi.
Prevenzione e cambiamento di mentalità, dunque, ma anche – nel frattempo – una più efficace e, se del caso, severa repressione dei fatti. Anche verso i colpevoli obesi o islamici.
E’ l’unica risposta seria che si può dare a Giulia, ad Annalisa e a tutte le vittime di omicidio, di stupro e di violenza.
Senza questa risposta il prossimo 25 novembre si risolverà in un’ennesima passerella di cordoglio e di retorica.
L’ennesima.
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