Se dovessimo adottare una frase significativa per la situazione creatasi a seguito del precipitoso ritiro dall’Afghanistan da parte delle forze armate statunitensi, da europei , dovremmo fare riferimento al concetto contenuto nel “ trasformare gli accidenti in occasioni”, attribuibile forse a Vico o forse a Galileo, il cui significato assegna opportunità nascoste dietro ai problemi che sorgono.
Tale ritiro, voluto sia dall’amministrazione Trump che aveva trattato con i talebani, che da quella Biden, è emblematico della nuova dottrina di politica estera neoisolazionista degli Usa.
Il messaggio è chiaro e pone l’ Europa davanti alla consapevolezza che dovrà fare da sola se nasceranno tensioni che necessitino l’impiego una forza militare. La Nato coprirà solo l’ eventualità di un attacco o di una minaccia diretta verso i paesi dell’alleanza.
E l’ Europa è molto più vicina alle aree critiche che non gli Stati Uniti.
Si pensi alle crisi della Libia e della Siria che hanno fatto seguito alle “primavere arabe”. Si pensi all’ Isis ancora attiva nei paesi del Sahel, per non parlare della permanente tensione in tutto il Medio Oriente. Si pensi anche alla pressione verso l’ Europa (che andrà presidiata militarmente) derivante dalla crescita demografica di Stati quali la Nigeria, che si prevede avrà nel 2050 circa quattrocento milioni di abitanti e sarà il terzo paese più popoloso del mondo, preceduto dalla Cina che sarà superata dall’India.
L’ Europa è oggi impreparata a svolgere un ruolo politico per la mancanza di una politica estera comune, che peraltro risulterebbe di scarsa efficacia in assenza di uno strumento militare comune agli stati aderenti.
I paesi europei, che come è stato rilevato in recenti studi, spendono complessivamente per la difesa quanto Russia e Cina, non hanno tuttavia un peso politico né una possibilità di intervento, ove fosse necessario, paragonabile a quella di tali stati. E si noti che agli europei, ove anche decidessero il dispiegamento di una forza militare comune, manca il coordinamento, perché manca la possibilità di fare interagire le capacità logistiche sotto il profilo militare senza avere il coordinamento degli Stati Uniti alla guida di una missione. Ma alla base, come ben si può comprendere, sta il fatto che manca una volontà politica di costituire uno strumento militare che può andare dal minimo di una forza di reazione rapida per eventualità internazionali fino ad un massimo di un esercito europeo comune. E a detta di tutti gli osservatori ed anche dei rappresentanti politici, tale organizzazione della difesa non sarebbe alternativa alla Nato, ma potrebbe intervenire, anche sotto l’indirizzo dell’ Onu, indipendentemente dalla Nato stessa.
Finalmente e tardivamente, con la crisi afgana, si è tornati al concetto dell’assenza dell’Europa come soggetto di politica estera e anche ovviamente come soggetto di politica militare e ciò in netta dissonanza con il suo peso economico sulla scena internazionale. Ho in passato ricordato della sprezzante definizione data dell’Europa come gigante in politica economica, nano in politica estera, verme in politica militare, forse con riferimento allo sterminio etnico di oltre ottomila bosniaci di Srebrenica (per ricordare solo l’ episodio più efferato del “macello balcanico”) avvenuto in pochi giorni, non nel 1945, ma nel 1995 a soli 500 chilometri dal confine dell’Unione Europea, come ricordato dall’ attuale film “Quo vadis Aida ?”.
Il presidente del consiglio Draghi al recente vertice di Atene dell’ Euromed ha auspicato il rafforzamento della sovranità europea ed in tale ambito ha evidenziato come uno degli aspetti rilevanti sia quello della difesa comune.
Ricordiamo infatti che gli Stati del gruppo Euromed hanno tra di loro in comune il fatto di appartenere all’Europa e di affacciarsi sul Mediterraneo con l’ intento perciò di convergere su comuni interessi, primo dei quali l’interesse alla stabilità e alla pace nel bacino del Mediterraneo, verso il quale L’Italia è per la sua natura geografica immersa molto più di altri paesi.
In tal senso aveva fatto un cenno anche il presidente della Repubblica Mattarella e in seguito anche la Presidente della Commissione europea, Von der Leyen, ha ribadito la necessità che l’Europa vada verso una politica migratoria e della difesa comune.
Interessante è stata la proposta della Presidente a istituire un “Centro comune di conoscenza situazionale” per accorpare tutte le diverse informazioni, e far sì che gli organismi europei siano preparati, pienamente informati e in grado di decidere attraverso un processo decisionale collettivo, come ha detto la Presidente della Commissione, spiegando che è essenziale migliorare la cooperazione in materia di intelligence.
Cosi’si è espresso anche Borrell, il commissario preposto alla politica estera e di sicurezza comune dell’ Unione europea, denonominata PESC. Siamo alla svolta dunque ? Ce lo dobbiamo augurare.
Fin dal 1993 è stata prevista l’adozione di una politica estera comune e gli accordi europei contengono una clausola di mutua difesa che obbliga tutti gli Stati dell’unione europea ad intervenire, ma la nascita effettiva di tale politica è stata ostacolata dalla difficoltà dei paesi europei a cedere parte della propria sovranità nazionale a vantaggio di una sovranità comune europea.
E ricordiamoci che il primo embrione dell’ Europa è nato sulla base di considerazioni economico/militari: per evitare altre guerre mettiamo in comune le materie prime attraverso le quali si organizzano le guerre, il carbone e l’ acciaio; nacque così nel 1951 la CECA.
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