È una di quelle foto che finiscono per diventare vere e proprie icone, perché racchiudono lo spirito di un’epoca, colgono nell’attimo fuggente il significato della storia, ci illuminano sul presente e perfino sul nostro futuro, e per questo poi finiscono nei musei o sui testi scolastici. Come l’immagine di quel ragazzo immobile davanti a una fila di carri armati in piazza Tienammen o di quel bambino nudo che scappava dai bombardamenti in Viet Nam o delle ragazze iraniane che bruciano il chador, la foto della donna che a Tiblisi (Georgia), in una notte cupa di marzo, sventola la bandiera azzurra con le stelle dorate della Ue davanti al muro dei poliziotti in tenuta antisommossa, e resiste come fosse una palo piantato nel cemento sotto il getto fragoroso degli idranti, sostenuta da un coro di giovani che manifestano contro una legge filorussa e liberticida, beh, quella foto non parla solo a noi ma è destinata ai posteri, ai nostri figli e nipoti: perché più di ogni discorso, libro di scienza politica o articolo di giornale ci racconta quello che è successo in Georgia nel 2008, in Crimea nel 2014 e poi nel Donbass e oggi nel cuore dell’Ucraina. Ci spiega che la strategia di Putin è sempre stata la stessa: fomentare le minoranze filorusse e provocare la guerra civile, per poi giustificare l’intervento armato. E soprattutto quella bandiera sventolata smonta il castello della propaganda putiniana secondo la quale sarebbe stato l’estendersi dei confini europei a minacciare la Russia e a provocare l’invasione dell’Ucraina.
Non stanno così le cose: la Nato e l’Unione Europea non hanno mai invaso un paese straniero e neppure lo hanno mai ipotizzato. Perché, se anche è vero che la Nato nasce alla fine della Seconda guerra mondiale in funzione militare, la Ue ha nella visione degli Stati fondatori solamente i princìpi della pace, della libertà e della democrazia. Ed è per questo che nei Paesi della parte più orientale dell’Europa, quelli che sono stati da sempre esposti alla dominazione dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica, è stata vista la possibilità di entrare a far parte dell’Unione Europea come sola garanzia per la propria libertà e autodeterminazione.
Così si comprende il gesto della donna georgiana che sventola la bandiera azzurra mentre il governo di Tiblisi sta varando una legge che l’avvicina ancora di più al regime della Russia putiniana. È lo spirito indomito di chi lotta per la libertà che ha spinto quella donna e l’ha inchiodata al terreno sotto il getto violento gli idranti; è lo stesso spirito che tenne fermo Zelensky sulla sua poltrona di capo del governo nonostante i bombardamenti e le minacce di morte, e che oggi sostiene i combattenti ucraini nel Donbass.
Il problema che si interpone al ripristino della pace non è, dunque, la caparbietà di Zelensky e degli ucraini. E non è soltanto l’imperialismo della Russia e del suo leader. Il problema è anche qui da noi, che nel corso degli anni non abbiamo capito, o meglio, non abbiamo voluto capire quello che stava succedendo in Georgia e in Crimea; e adesso che la guerra lambisce i confini dell’Europa, oggi in Ucraina e domani forse in Moldavia, ancora si spendono parole comprensive nei confronti di Putin da parte di alcuni (Berlusconi ma non solo lui) e di forze politiche (la Lega, il M5S ma non solo quelle) che continuano a sostenere la testi dell’aggressività della Nato, degli americani e persino dei vertici dell’Unione Europea.
Ma poi è arrivata una donna sconosciuta, in una terribile notte di marzo, a sventolare la bandiera azzurra in nome della libertà del suo popolo e a spiegarci il significato e la missione della Ue; e a indicarci da che parte stare.
Lascia un commento