Crisi: improvvisa modificazione nella vita di un individuo o di una collettività, con effetti più o meno gravi e duraturi. (Devoto-Oli). Ma il significato di questo termine l’abbiamo imparato bene nell’ultimo anno, pur senza dizionario. Pochi però sanno che “crisi” deriva dal greco, (κρίσις) e veniva usato per indicare un solco agricolo (tecnicamente era il solco agricolo che si crea nella trebbiatura del grano). Chi, come me, viene dalla bassa padana, impara a riconoscerlo fin da bambino. Col tempo c’è stato un cambiamento semantico del termine verso una sua accezione specifica: quella medica o sociale.
E in effetti il Covid ha creato un bel solco, con conseguenze del tutto imprevedibili nel mondo del lavoro che sarà. Siamo nel bel mezzo di questo limbo, con un blocco dei licenziamenti e una continua estensione della cassa integrazione che ci tengono nella condizione di “tra color che son sospesi”.
Ma cosa attenderci allora al di là del solco? Partiamo dalla fotografia attuale. Il Covid ha distinto due mondi economici: quello essenziale e quello complementare, con livelli di protezione ben diversi per chi ci lavora.
Il mondo essenziale è rappresentato ad esempio dall’alimentare, la salute, i servizi pubblici. Ovvero quei settori imprescindibili per sopravvivere e di cui non possono esistere surrogati digitali.
Il mondo “complementare” è invece (oggi) rappresentato dal mondo del leisure&entertainment (turismo, ristorazione, palestre) dell’abbigliamento, dei servizi per la persona e di tutte le altre catene che producono o forniscono beni o servizi ad alto valore aggiunto. Il Covid ha distrutto il mondo complementare, impedendone l’offerta.
Tuttavia, lo shock dell’offerta di questo mondo si è tramutata per molti in un aumento del risparmio, (non vado più al ristorante, non spendo, ma non muoio di fame perché mangio a casa), tanto più per quei percettori di reddito del settore pubblico o di grandi aziende che hanno resistito meglio allo shock. C’è stato quindi una classe protetta di lavoratori che ha acquisito potere d’acquisto, e una, non-protetta che l’ha perso, che ha anzi visto il proprio reddito scendere a zero e ha anche una capacità di resistenza minore (non recupererà mai il fatturato perso). Per farla più semplice, c’è una quota significativa della forza lavoro del settore complementare che rimarrà inattiva o perderà il lavoro.
Come se ne esce allora?
Le politiche attuali di welfare (sussidi, ristori, redditi di cittadinanza, etc…) tamponano la ferita, non la curano. Inoltre anche durante la futura ripresa economica, la domanda potrebbe rimanere bassa nel mondo complementare per 2 fattori: 1) psicosi (preferisco evitare luoghi affollati come centri commerciali, teatri o cinema), 2) digitalizzazione dell’offerta (non compro più nel negozietto sotto casa perché mi sono abituato all’e-commerce).
Quindi se ne esce se e solo se capiremo per tempo che il Covid ha già generato una nuova tipologia di mansioni, che per abitudine, per prestigio sociale, o peggio per rigidità dell’attuale assetto del mercato del lavoro non vogliamo o possiamo prendere in considerazione. Mi riferisco ad esempio a mansioni che prevedono l’assistenza agli anziani (consegna cibo o aiuto in altri servizi di base) o i “vigili sanitari” che opererebbero già nelle zone pubbliche (parchi pubblici ad esempio), garantendo il mantenimento del distanziamento sociale.
In Svezia il settore pubblico ha favorito prontamente la riqualificazione del personale aereo verso il settore sanitario. In Italia siamo ancora fermi al dibattito su come riformare gli uffici di collocamento. Da circa 35 anni. Siamo talmente concentrati a difendere mansioni che non serviranno più tra poco in un mondo digitalizzato, da dimenticarci di formare e riallocare personale verso i settori essenziali e in espansione.
Peccato. È un po’ come in agricoltura chi spera di avere copiose messi nei solchi già sfruttati. Senza accorgersi che la nuova semina andrebbe fatta proprio appena dopo il solco…
Per tutti gli altri contenuti: www.nuvolemercati.it
Lascia un commento