Chi sono il protagonista o i protagonisti di questo decennio, gli anni ’60, di avvio del percorso di unificazione?
Non si può non partire dal Trattato di Roma, se si vuol comprendere il decennio successivo, così carico di eventi decisivi per capire il ruolo cruciale dell’Europa nel mondo sospeso tra tensione e distensione tra Est ed Ovest.
Il trattato di Roma, anzi i trattati, furono stilati dallo statista belga Paul Henri Spaak.
Le due comunità che si formarono, la CEE e l’Euratom, furono ratificate dai sei paesi fondatori. L’Assemblea parlamentare fu allargata da 78 a 142 membri. A governare le due Comunità erano i ministri dei singoli stati aderenti. Una commissione di nove membri per la CEE e di cinque per l’Euratom, assicurava il delicato sistema di concertazione.
Bruxelles fu scelta come sede provvisoria per la CEE e l’Euratom mentre la Ceca e la Corte di Giustizia rimasero a Lussemburgo
L’apertura del mercato comune avvenne il prima gennaio 1959: appena nove mesi prima (13 maggio 1958) era tornato al potere in Francia il generale De Gaulle.
De Gaulle si opponeva con forza alla sovranazionalità, aveva contribuito al fallimento della CED, ma sull’Europa aveva un suo disegno coerente, che non può essere banalizzato. Nel 1958 si schierò con Adenauer in difesa del mercato comune che l’Inghilterra voleva inglobare nel European Free Trade Association (EFTA), allargata a Regno Unito, Svizzera, Austria, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Svezia e Irlanda. Si trattava di un disegno egemonico che alla fine gli americani mollarono a favore del MEC.
De Gaulle, al contrario di Monnet, non credeva che il solo mercato comune potesse favorire l’unione politica. La sua idea d’Europa era quella confederale, quella dell’Europa degli Stati: Non a caso il gaullista Christian Fouchet presntò un piano che proponeva la semplice “Unione degli Stati”.
Ed in materia di politica di difesa?
La stessa politica di difesa di De Gaulle, che aveva portato la Francia ad uscire dal “governo dei partiti” e della instabilità permanente con la V repubblica (adottata con il voto di circa l’80% dei francesi) mirava ad una autonomia dalla NATO. La crisi di Berlino nel 1961, acutizzando lo scontro Est-Ovest, non poteva favorire una soluzione del genere. I sovietici alzarono il “muro” che trasformò la Germania comunista in una prigione, rendendo sempre più difficili le fughe di migliaia e migliaia di tedeschi verso l’Occidente.
Purtroppo in quello stesso anno morì Luigi Einaudi, uno dei padri dell’idea federalista dell’Europa. Era il 30 ottobre 1961: una certa idea di Europa come civiltà di valori se ne stava andando, aveva scritto che la necessità di unificare l’Europa “era evidente” “gli stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopporta il costo di una difesa autonoma. Solo l’Unione può farli durare”. La difesa autonoma come base di una Europa federale era però un’illusione specialmente negli anni più duri della guerra fredda. Non a caso Jean Monnet si fece promotore di un piano di difesa integrato e sostenuto dall’ombrello atomico americano. Piano sostenuto da Kennedy che il 5 luglio del 1962, nella ricorrenza dell’Independence Day, propose che gli Stati Uniti d’America e i futuri Stati uniti d’Europa si unissero per costruire una partnership atlantica politica sociale ed economica, con il supporto dell’arsenale atomico americano.
Proprio ciò che De Gaulle non poteva sopportare e voleva una “Europa europea”. Il clima era tale da rendere tutto molto difficile. Nell’ottobre del 1962 si andò vicino ad uno scontro nucleare per la questione dei missili sovietici a Cuba. Nel dicembre dello stesso anno De Gaulle ricevette il premier inglese Mac Millan a Rambouillet per cercare un accordo sui grandi temi della difesa nello ”equilibrio del terrore” . Ma il premier inglese pochi giorni dopo si incontrò con Kennedy per la creazione di una “forza multinazionale” in grado di integrare sotto la leadership americana il piccolo arsenale atomico inglese. Il che esasperò i rapporti fra Inghilterra e Francia anche sull’ingresso di questa nel mercato comune.. Invano il comitato di Jean Monnet criticò l’atteggiamento di De Gaulle. La realtà era che l’ombrello americano permetteva a i paesi del MEC di crescere economicamente senza investire troppo nella difesa. De Gaulle non riuscì a portare avanti il suo disegno ma frenò di sicuro la spinta all’integrazione politica.
La Francia frenò la richiesta britannica d’ingresso nel MEC
Tuttavia proprio i risultati economici del Mercato comune furono strabilianti. Tra il 1958 ed il 1970 il commercio intercomunitario crebbe di sei volte. Fu allora che tra l?europa occidentale sotto l’ombrello americano e quella orientale sotto il tallone russo si aprì un divario economico e sociale insuperabile.
In questo decennio cosa rappresentano la politica della sedia vuota ed il compromesso di Lussemburgo nella strada della costruzione europea?
Per tutti gli anni Sessanta lo scontro fra il disegno di De Gaulle e quello degli inglesi e del Presidente Kennedy non bloccò il procedere della Comunità europea ma certo ebbe conseguenze non indifferenti. Sfumò l’ipotesi di De Gaulle di un’Europa “terza forza” fra i due blocchi contrapposti della guerra fredda, nello stesso tempo l’idea di Kennedy era quello di consolidare l’egemonia americana sull’Occidente. Forse per superare la logica di Yalta, come pensava De Gaulle, sarebbe stato il caso di perseguire la via di una comunità di Stati sovrani uniti da precisi interessi politico-economici, ma anche di difesa. Su questo punto, però, i francesi, come si è visto, non avevano tutte le carte in regola.
Per quanto le risposte di De Gaulle fossero egoistiche – scrive un grande realista come Henry Kissinger – i suoi interrogativi miravano al cuore del ruolo internazionale degli Stati Uniti, divenendo attuali particolarmente nell’epoca successiva alla guerra fredda ( cfr. H. Kissinger “L’arte della diplomazia”, Milano 1996, p. 478), tanto è vero che l’Europa, o meglio la maggioranza degli Stati aderenti alla Comunità, con in prima linea l’Italia con Fanfani, si adattò alla copertura dell’ombrello americano. Gli europei spesero poco per la difesa, molto per il welfare, ma rinunciarono a qualsiasi rilevanza strategica.
In un mondo in conflitto, dominato dalla guerra fredda e dalla fine del dominio coloniale
L’Europa occidentale fu, come si può capire, il maggior beneficiario della guerra fredda che aveva il suo baricentro nel Vecchio Continente, nella Germania divisa, a Berlino, ma che si combatté nelle periferie del mondo. Nelle ex colonie delle due potenze coloniali europee, la Gran Bretagna e la Francia, dal Medio Oriente all’Indocina e poi in Africa. Il simbolo di questo scontro fu il Vietnam, una lunga guerra che non fece che alimentare le ideologie antimperialiste ed esporre gli stati Uniti alla crisi del “fronte interno”, ennesima prova che le democrazie non possono affrontare le guerre senza tener conto . della loro opinione pubblica.
Nello stesso tempo la “guerra dei sei giorni” (1967) va inquadrata nella crisi finale delle ex potenze coloniali, dopo il blocco del Canale di Suez. Nasser, spalleggiato dai paesi arabi e dall’URSS, pensava di punire Israele che era stato il protagonista dello sblocco del Canale. L’esercito israeliano, l’aviazione riuscì a rompere l’accerchiamento e a sconfiggere, ancora una volta, gli eserciti nemici, con l’appoggio americano
Riprendiamo il filo: cosa succedeva nella Comunità europea
Le crisi nella vita di una comunità, invece di produrre la paralisi, con un paradosso che si può facilmente capire, agevolarono lo sviluppo dell’integrazione economica.
I francesi, come gli italiani avevano interesse agli aiuti agricoli per mantenere il loro vasto settore agricoli, mentre la Germania ovest aveva bisogno di una “copertura” sulle tariffe dei prodotti industriali.
E allora quando nacque la crisi della sedia vuota?
Quando il presidente della Commissione, il tedesco Walter Hallstein, tentò di ampliare i poteri del Parlamento europeo, nel 1964, e di dotare la Commissione di “risorse proprie”, il governo francese (1965) bloccò i lavori e dichiarò che avrebbe sospeso la propria partecipazione alle attività di tutti gli organi della CEE. Sembrava una crisi insuperabile, anche perché De Gaulle apriva all’Unione Sovietica e persino alla Cina, ma cercava anche di opporsi con tutte le sue forze alal supremazia del dollaro per tornare all’oro come mezzo di regolazione delle transazioni internazionali. Non solo: ritirò la Francia dalla organizzazione militare dell’Alleanza atlantica.
Tuttavia anche questa crisi, gravissima, grazie ad un compromesso proposto dal ministro degli esteri olandese, Joseph Luns, che propose di superare le divergenze ricercando sulle materie importanti un accordo unanime in seno al Consiglio. A questa mediazione diede un grande contributo anche il ministro Colombo, dal momento che proprio all’Italia toccava il semestre di presidenza della CEE
Insomma, la celta dell’unanimità nelle decisioni fondamentali è dato fondante nella costruzione europea. Teniamolo a mente per quando affronteremo vicende recentissime…………………..
Nel 1967, nel decimo anniversario dei Trattati di Roma, Amintore Fanfani, ministro degli esteri del III governo Moro, riunì in Campidoglio i Capi di stato e di governo della Comunità nella speranza di sbloccare il veto francese all’ingresso dell’Inghilterra. De Gaulle si oppose ancora, ma nel summit romano si arrivò all’importante risultato di fondere i tre istituti comunitari, la CEE, l’Euratom e l’Alta Autorità della CECA (1 luglio 1967).
Ma quali i risultati della Comunità negli swinging sixties ed in mezzo alle tensioni di quegli anni?
I successi della Comunità economica erano evidenti, dal 1958 al 1965 il commercio intercomunitario era cresciuto del 166 per cento e le esportazioni verso i paesi terzi del 51 per cento. L’Inghilterra bussava alla porta ma De Gaulle resisteva. Anzi la Francia faceva fallire anche l’Euratom, cui attribuiva una funzione prevalentemente militare pensando alla sua “force de frappe”
De Gaulle la spuntò anche sul Sessantotto francese diventato il teatro del “sessantottismo” in tutta Europa. Con il consenso della maggioranza dei francesi dichiarò che la “ricreazione” era finita: la Francia, lo Stato francese non si poteva più permettere lo “spettacolo” della rivoluzione nelle piazze e nelle università. Tutto mentre a Praga i carri armati russi schiacciavano ogni anelito di libertà e di autonomia.
I contrasti per l’ingresso dell’Inghilterra non si risolsero nemmeno in sede UEO, l’Unione dell’Europa Occidentale che dal 1954 si occupava della difesa e della sicurezza europea.
De Gaulle disertò anche la riunione che il Ministro degli Esteri italiano, il socialista Pietro Nenni, aveva convocato per risolvere in senso positivo l’ingresso dell’Inghilterra nella Comunità.
Gli anni Sessanta della Comunità si chiudevano fra luci ed ombre, mentre il mondo stava cambiando con scossoni profondi ad Est e ad Ovest.
Un dato, però, va rilevato: che mentre nel 1968 scomparivano tutti i dazi doganali all’interno del MEC e si sviluppava l’economia e la società nei paesi dell’Europa Occidentale, nei paesi dell’Est si poteva percepire un divario di benessere e di libertà sempre più insopportabile. Per i forti partiti comunisti in paesi come la Francia e l’Italia si poneva il problema di una maggiore autonomia da Mosca e contemporaneamente a ciò che accadeva nella Comunità europea e ai partiti socialisti e socialdemocratici che stavano crescendo come forze di governo in molti paesi dell’Occidente.
Mentre la dimensione politico-istituzionale dell’Europa è frenata, si può affermare che comincia la costruzione di un diritto europeo sovranazionale che punta verso un federalismo de facto? E che ruolo svolge la Corte di Giustizia europea in questo cammino?
La struttura istituzionale della Comunità era già complessa. I trattati prevedevano il Consiglio dei ministri, di cui abbiamo parlato, la Commissione esecutiva come autorità sovranazionale con sede a Bruxelles, l’ Assemblea parlamentare con limitate funzioni di controllo e che si riuniva a Strasburgo. Infine la Corte di Giustizia con il compito di verificare il rispetto dei trattati e amministrare il diritto comunitario. Il compito fondamentale della Corte è quello di decidere su istanza dei governi, di altre istituzioni europee o di privati, se un provvedimento legislativo o di governo dell’Unione sia o meno conforma alle norme dei Trattati.
La corte, inoltre, accerta le violazioni dei trattati degli stati membri e le può condannare al pagamento di sanzioni. Inoltre ha il potere di esercitare il controllo sugli atti degli stati che si ritiene violino il diritto dell’Unione.
Composta di giudici e avvocati dei diversi stati membri, la Corte con le sue decisioni ha notevolmente allargato il campo di intervento. Dal 1988 esiste, ad essa subordinata, anche una corte di primo grado.
La Corte, pure in un quadro istituzionale non compiuto in senso federale, ha spinto per gettare le premesse di una sempre maggiore unione tra i popoli e l’Europa. Oggi, però, si avvertono tensioni sulla precedenza o meno delle Corti nazionale ed anche una tendenza pericolosa a scendere sul terreno pericoloso dei valori. Paesi che hanno conosciuto il peso di stati totalitari non sopportano nessun sintomo di “democrazia etica” che sembra prendere campo nelle istituzioni europee.
Gli anni Sessanta chiudevano tra profonde tensioni, al Parlamento europeo entravano le opposizioni dei diversi paesi. L’uomo sbarcava sulla Luna a sigillo della supremazia Usa. E le sinistre che musica intonano?
I “trent’anni gloriosi” dello sviluppo economico e civile del dopoguerra volgevano al termine. Il benessere nei paesi occidentali in Europa produssero una scolarizzazione di massa e insieme una liberalizzazione dei costumi. Movimenti di vasta portata agitarno le università. In molti paesi come in Francia e in Italia oltre l’università i movimenti investirono la società e le fabbriche con grandi scioperi di massa. Proprio nell’aprile del 1969 queste proteste sociali portarono alla caduta del presidente De Gaulle.
Le vaste correnti intellettuali che esaltarono le lotte politiche nei paesi occidentali nel nome del marxismo e del leninismo, ma anche di Mao e del terzomondismo, per un momento credettero nella superiorità del modello sovietico sulle società capitaliste.
Inseguirono i miti di Mao, del Vietnam, di Cuba. Sottovalutarono per cecità ideologica che l’assenza di libertà produceva anche la miseria della società. Il tentativo dell’Ungheria di riformare il comunismo fallì, come nel 1968 fallì la “primavera di Praga”.
Il comunismo era irriformabile e i regimi comunisti saliti al potere nei paesi liberati dal colonialismo non fecero che “miracoli” ideologici per coloro che non riuscivano a guardare la realtà.
Poi persino le “scimmie con le mani sugli occhi” dovettero prendere atto dell’esistenza del dissenso nei paesi dell’Est e insieme i campi di concentramento, i “gulag”, nell’URSS. Con le critiche al capitalismo gli intellettuali occidentali fecero carriera nelle università e nei media mentre nei regimi comunisti i dissidenti finivano nei gulag.
In mezzo ad un mondo così conflittuale e polarizzato, l’Europa occidentale cresceva e tutto sommato, superata la stagione del ’68, si dimostrava in grado di creare una democrazia più inclusiva, si pensi alle donne, ed una società più ricca e civile.
Così ai partiti comunisti europei, con l’Italia in testa, non restava che inventarsi l’Eurocomunismo.
Gino Di Ciocco
Grazie Professore!