È abitudine che la politica tenda ad esaltare tutti i suoi provvedimenti. Enfasi speciale viene data se il provvedimento riguarda argomenti particolari: riforme costituzionali, diritti del cittadino, organizzazione dello Stato, e simili. In questi casi la politica, oltre ad esprimersi in proprio in forma ampollosa (spesso grossolana), assolda schiere di illuminati (docenti universitari, opinionisti, signori della carta stampata) che, con argomentazioni all’apparenza ineccepibili, sostengono le posizioni della politica quasi fossero dogmi. Così è avvenuto per la legge 56 del 2014: “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, nota come “legge Delrio”, dal nome del Ministro per gli Affari regionali che l’ha promossa.
Avviata dal Governo Letta, la legge Delrio è stata approvata dal Governo Renzi. Principalmente, intende disciplinare la nuova organizzazione dello Stato delineata dalla riforma del Titolo V (parte seconda) della Costituzione (L cost. 3/2001) secondo la quale: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. L’affermarsi del principio di sussidiarietà verticale ― per cui le funzioni pubbliche sono svolte a partire dall’ente locale più prossimo ai cittadini ― prevede un’architettura dello Stato che, per rispondere a questa esigenza e tenendo conto dell’adeguatezza del soggetto, parte dal Comune, per poi salire ― via via che la funzione diventa più ampia e complessa ― alla Provincia, alla Città metropolitana, alla Regione e, come soggetto finale, allo Stato.
La legge Delrio stabilisce, in primo luogo, le regole per il funzionamento delle Città metropolitane. Il nuovo ente territoriale aveva fatto la prima comparsa nel 1990 (L. 142 – Ordinamento delle autonomie locali) ed era riapparso, più volte, negli anni successivi. Era però sempre restato, sostanzialmente, un organismo privo di corpo. La legge Delrio individua le Città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, e Reggio Calabria. Prevede che il loro territorio coincida con quello delle Province omonime, che vengono soppresse. Ne determina finalità e funzioni. Ma, soprattutto, si occupa della costituzione dei loro Organi di governo. In questo quadro, una norma “secca” stabilisce che il Sindaco metropolitano è, di diritto, il Sindaco del Comune capoluogo. Lo statuto della Città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del Sindaco metropolitano (e del consiglio metropolitano) con il sistema elettorale che sarà però determinato con legge statale.
Volontà impetuose di riduzione della spesa pubblica ma, soprattutto, crescenti ostilità nei confronti della ”casta” ― individuata nella classe politica sempre più numerosa e piena di privilegi ―, inducono poi a usare la legge Delrio quale sede per depotenziare le Province. Se non assorbita dalla Città metropolitana, la Provincia resta. Provvedimenti successivi ne individueranno beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative. Le Province diventano, comunque, enti di serie B. Tutto l’impianto sulle Province si fonda però sul presupposto che l’approvazione della Riforma costituzionale promossa sempre dal Governo Renzi cancelli, definitivamente, la Provincia dall’organizzazione dello Stato. La bocciatura di questa riforma ― avvenuta con il referendum costituzionale del dicembre 2016 ― lascia, tuttavia, in vita le Province, che esistono tuttora.
Le scienze aziendali insegnano che la gestione del cambiamento organizzativo implica una pluralità di interventi preparatori. Occorre agire sulle persone, sulle strutture e infrastrutture definendo, puntualmente, responsabilità, spazi, attrezzature e financo la logistica. Bisogna modificare i processi operativi e da ultimo, con valore assorbente, creare la cultura del cambiamento.
La legge Delrio ― come, in generale, tutte le riforme che riguardano la Pubblica Amministrazione ― ignora, totalmente, queste esigenze. Non meraviglia quindi che, fin dalla sua entrata in vigore, si sia creata un’elevata confusione istituzionale. Incertezze sulle destinazioni del personale delle Province soppresse e di quelle riformate. Dubbi sull’esercizio di molte funzioni, non risultando, con chiarezza, cosa restava alla Provincia e cosa passava alla Città metropolitana. E tutto è avvenuto sotto un cappello di assoluta indeterminatezza delle risorse finanziarie che avrebbero dovuto accompagnare l’applicazione della legge.
Un accentuato punto di denuncia sulle incongruenze della legge Delrio ha riguardato il principio dellacoincidenza del Sindaco del Comune capoluogo della Città metropolitana con quello della stessa Città. Si palesava una grave violazione del diritto di voto presente negli Stati democratici. Qui gli organi rappresentativi delle istituzioni territoriali non possono essere nominati senza passare per il voto popolare. In poche parole, i cittadini dei Comuni che costituiscono la Città metropolitana devono poter partecipare all’elezione del Sindaco metropolitano.
Dopo una pronuncia più possibilista su questo argomento (sent. 50/2015), la Corte Costituzionale è ritornata ad esaminare la questione nella sentenza n. 240 dell’11 novembre 2021 (sentenza 240/2021). Con varie motivazioni ― non ultima che non sia intervenuta la prevista legge statale sul sistema elettorale del Sindaco metropolitano ― ha concluso evidenziando il contrasto con la Costituzione della legge Delrio a questo proposito.
Alcuni mezzi d’informazione hanno dato notizia di questa pronuncia, non escludendo addirittura ricorsi per illegittimità degli atti del Sindaco metropolitano (BONECCHI D., Per la Consulta il sindaco metropolitano è illegittimo. Ma si fa finta di niente, Il Foglio, 15.01.2022). Su tutti questi fatti, la politica tace. Continua ad applicare la legge Delrio, come se nulla fosse avvenuto. Agendo in questa maniera, prosegue il cattivo uso del denaro pubblico che poteva essere evitato fin dal 2014 se la politica avesse letto il disegno di legge Delrio senza supponenza e protervia.
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