“Forse per qualche nostro nonno non è così, ma noi vogliamo decidere da soli del nostro futuro”. Dichiarazione di uno studente di giurisprudenza kazako
Nel volumetto Oltre la Crimea. Russia contro Europa?, pubblicato dall’Ispi nel 2014, il saggio conclusivo, Dopo la Crimea il Kazakistan? di Fabrissi Vielmini, è dedicato alla delicata situazione geopolitica dell’estesa repubblica post sovietica che condivide con la Russia un confine di quasi settemila chilometri.
L’autore analizza i tentativi di Nazarbaev, ultimo presidente sovietico rimasto padre padrone del paese dopo il crollo dell’Urss, di preservare un minimo di autonomia in politica estera e i conseguenti equilibrismi di chi, senza irritare troppo l’ingombrante vicino e indispensabile protettore, cerca di porsi, mediante un’azione multivettoriale e pragmatica, come ponte tra Oriente e Occidente, senza trascurare le opposte istanze nazionalistiche o filorusse presenti nella popolazione. Da qui una serie di atteggiamenti ambigui e inspiegabili se non contestualizzati in tale ambizioso disegno.
Già nei giorni successivi all’occupazione della Crimea e il presidente kazako si era dichiarato solidale con Mosca aggiungendo però che questo non poteva essere interpretato come un riconoscimento ufficiale del referendum e infine concludeva questo “slalom” con l’astensione sulla risoluzione dell’assemblea generale dell’Onu che chiedeva di non riconoscere il cambiamento di status della Crimea.
Da tener presente che pochi giorni prima, all’Assemblea Federale russa, Putin aveva dichiarato di essere pronto a proteggere, anche usando la forza, le comunità russofone al di fuori dei confini nazionali, e un mese dopo ha reso molto più facile l’ottenimento della cittadinanza per il membri di tali comunità e per chiunque possa dimostrare di discendere da famiglie già residenti in Unione Sovietica o nell’Impero russo. Tutto ciò non poteva non destare preoccupazione per la situazione nella parte settentrionale del paese dove vivono oltre tre milioni di russi.
Nel frattempo l’Euromaidan aveva suscitato nuove speranze e galvanizzato le opposizioni in Kazakistan come nelle altre repubbliche post sovietiche e favorito l’avvicinamento tra le tendenze nazionaliste e quelle liberali. La risposta del cremlino si manifestò sui media russi, maggioritari e principale strumento di informazione non solo nel nord del paese, con il rafforzamento della propaganda basata sul Russkij Mir, con provocazioni sui social network e la distribuzione di passaporti.
Vielmini concludeva la sua analisi sostenendo che, malgrado alcuni problemi non risolti, in primis le questioni legate al transito dell’energia e la gestione del cosmodromo di Baikonur, che riveste un enorme valore simbolico nella costruzione mitologica putiniana, l’unico orizzonte possibile era una sempre maggiore integrazione nell’Unione Economica Euroasiatica (Ueea) che in quell’anno aveva sostituito la Comunità economica eurasiatica
Inoltre è da tener presente che Nazarbaev, pur essendo stato nel 1994, in coerenza con le sue aspirazioni geopolitiche, l’autore della prima proposta ufficiale di unione euroasiatica e il suo paese compaia quale stato fondatore, insieme a Russia e Bielorussia, dell’Unione doganale eurasiatica, embrione dell’attuale (Ueea), si è sempre opposto alle proposte russe di dotare l’organizzazione di organismi politici sovranazionali.
Il dittatore kazako cercò sempre di navigare in queste tempeste politiche curando di non avvicinarsi troppo, ma senza neppure troppo allontanarsene, alle aspettative di Putin, insomma dimostrarsi fedele alleato, magari anche un po’ servile ma non proprio un Lukašėnka.
In questa maniera riuscì ad arrivare indenne al 2019, anno delle sue dimissioni. Il nuovo presidente, Toqaev, si pose in continuità con la politica del predecessore a cui aggiunse solo qualche tentativo di modernizzazione senza però intaccare la struttura dittatoriale e repressiva dello stato.
Il tutto in condizioni ben più difficili, diventate addirittura impossibili nei primi mesi del 2022, quando il Gennaio di sangue e l’aggressione russa all’Ucraina hanno complicato ulteriormente una situazione già di per sé molto instabile.
In pochi giorni le manifestazioni contro il rincaro del gas e dei generi alimentari iniziate a Jañaözen erano dilagate nel resto del paese e accanto alle proteste contro il caro vita iniziavano a comparire richieste di riforme e aperture politiche. Toqaev reagì dichiarando lo stato di emergenza e richiedendo l’intervento armato degli altri membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Russia, Bielorussia, Armenia, Kyrgyzistan e Tajikistan) per sventare quello che secondo lui era un tentativo di colpo di stato messo in atto da “forze straniere”.
La sedicente “operazione antiterrorismo” orchestrata da Putin sembrava aver riaffermato l’influenza russa e di conseguenza stabilizzato il potere di Toqaev e così molto probabilmente, sarebbe stato se non fosse intervenuta la guerra in Ucraina a riaprire i giochi sia nell’ambito geopolitico e dei rapporti internazionali sia per quanto riguarda la situazione interna del paese.
Questo perché fu pronta e imprevista la mobilitazione della società civile kazaka. Neppure due settimane dopo quel 24 febbraio ad Almaty si svolse la più grande manifestazione contro l’aggressione Russa di tutta l’area post sovietica. E sempre ad Almaty, significativamente la stessa città in cui il Gennaio di sangue aveva manifestato il volto più violento, sono nate le prime iniziative civiche di solidarietà con l’invio di aiuti umanitari tra cui le yurte, aspetto che assume anche una rilevante connotazione simbolica, tenendo conto che la prima è comparsa a Bucha e subito battezzata “yurta dell’invincibilità”.
Toqaev tenta di continuare nella sua politica ambigua, sottolinea che i gesti di solidarietà verso l’Ucraina sono dovuti esclusivamente a iniziative private però non riconosce le repubbliche di Luhans’k e Donec’k; stringe con la Russia nuovi accordi economici e militari ma cerca una nuova via a sud del Caucaso per l’energia; nel giugno del 2022 al Forum dell’economia a San Pietroburgo prende le distanza da Putin ma il 9 maggio di quest’anno, solo due mesi dopo aver posto sotto sequestro il cosmodromo di Baikonur, è presente sulla Piazza Rossa alla parata della vittoria sul nazismo … “un colpo al cerchio e uno alla botte”… Un occhio al vicino settentrionale e uno alla situazione interna… senza trascurare gli eredi dell’Impero Celeste né quelli dell’Impero Ottomano ma neppure l’Europa, perché è soprattutto in questa direzione che sono rivolte aspirazioni e speranze della parte più giovane e istruita della popolazione.
Probabilmente questo barcamenarsi è l’unico modo per cercare di rafforzare, o almeno di non indebolire, il proprio potere di fronte ad una società che dopo l’inizio della guerra si è ulteriormente polarizzata tra una maggioranza neutrale, la parte filoucraina e quella filorussa, in leggera minoranza Quest’ultimo dato è desunto un articolo dell’analista politico kazako Dimash Alzhanov, scritto per Memorial Italia (Il Kazakistan all’ombra della guerra: come Toqaev è uscito dal gennaio di sangue, www.huffingtonpost.it – 7 marzo 2023) che dopo aver sottolineato il vuoto di informazioni attendibili sulla guerra, la mancanza di libertà di parola e la pervasività della propaganda russa, chiude in questo modo:
nonostante tutte le difficoltà e le tensioni in cui ci troviamo, in molti cittadini del Kazakistan c’è tuttavia la speranza che quest’anno una vittoria ucraina nella guerra contro l’aggressore metta in moto una nuova catena di eventi e porti ad una trasformazione dei regimi autoritari nello spazio post-sovietico.
La differenza tra le conclusioni dei due articoli citati è la fotografia di come e di quanto sia mutata la realtà della società kazaka negli ultimi anni. Trasformazione evidente se consideriamo che nel 2011, sempre a Jañaözen, la cittadina da cui partì la scintilla delle contestazioni del 2022, dopo mesi di scioperi durante una manifestazione degli operai del settore petrolifero che chiedevano aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro, l’intervento repressivo delle forze speciali provocò sedici vittime ma in allora non ci fu nessuna iniziativa di solidarietà nel resto del paese.
Marco Imarisio, nel bel reportage Kazakistan “Noi la prossima Ucraina”, (“7”, inserto del “Corriere della Sera”, 07/04/24) ritiene che, malgrado siano evidenti la dipendenza economica, la sudditanza politica e il debito contratto con Putin nel gennaio del 2022, Toqaev non possa più ignorare le memorie famigliari in cui sono ben presenti il milione e mezzo di morti negli anni Trenta per la collettivizzazione forzata dell’agricoltura, l’Asharshylyk, il loro Holodomor, i due milioni di ammalati perché vivevano nelle vicinanze del poligono nucleare che vide quattrocentocinquanta test atomici; gli ottocentomila prigionieri politici del gulag della regione di Karaganda, il secondo di tutta l’Urss; la repressione, nel dicembre del 1986, delle proteste contro la nomina da parte di Gorbačëv di un presidente russo e infine il Gennaio di sangue. Oggi tutto ciò si combina con un dato demografico secondo cui l’età media della popolazione dei russi che vivono in Kazakistan è di cinquanta anni, quella dei kazaki, due terzi dell’intera popolazione è di venticinque.
Indubbiamente il vento sta cambiando. Continuando a leggere viene da pensare che lo avesse già capito il vecchio Nazarbaev quando, poco prima di lasciare la presidenza, aveva abolito l’obbligo di insegnamento del russo nelle scuole. Certo lo ha capito Solov’ëv, il giornalista megafono di Putin, che di recente ha definito il Kazakistan “il prossimo nemico da sistemare”, come se volesse giustificare in anticipo le future mosse del suo padrone, o, se vogliamo dirlo all’italiana, del suo editore di riferimento.
Il giornalista allineato non si è ancora reso conto che neppure questa volta sarà una passeggiata. Imarisio, da cui è desunta la citazione in esergo di questo articolo, racconta di una ragazza che ad Astana, al piano più alto della torre di Baiterek, indicandogli la spianata del boulevrd Nourzhol gli diceva: “Ci potrebbero stare milioni di persone, molte più che a piazza Maidan”.
Avvertimento esplicito. Anche doppio, perché la prospettiva di quel boulevard stracolmo di giovani potrebbe turbare i sogni di Putin e anche quelli di Toqaev.
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