Bassa tecnologia. Fucili col tappo a confronto dei panzer Merkava e dei cacciabombardieri dell’armata israeliana. La vasta aggressione di Hamas che ha sorpreso Israele e il mondo ha riproposto con diabolica efficacia i metodi usati dai terroristi di al-Qaeda quando l’11 settembre 2001 dirottarono quattro arei mandandoli a sfracellarsi contro le Twin Towers di New York e contro il Pentagono.
Allora furono coltelli, taglierini e flaconi di spray urticante passati inosservati dai metal detector. Stavolta sono entrate in azione quinte colonne infiltrate per tempo, motociclisti, perfino deltaplani, oltre a normali buldozer che hanno divelto le recinsioni di confine con Gaza, aprendo ai terroristi la strada dell’invasione. Hamas sarà sconfitta, ma intanto sta facendo carneficine: oltre 600 morti per lo più civil e in più 200 ostaggi trascinati via in catene.
Mentre in Israele e a Gaza si continua a combattere con centinaia di ulteriori vittime, quattro essenzialmente sono le domande che assillano le cancellerie mondiali e la pubblica opinione:
1) Come davvero è stato possibile che la formidabile intelligence di Tel Aviv abbia ceduto tanto facilmente a un’operazione militare articolata costata mesi di organizzazione;
2) Quanto durerà questa nuova guerra anche se non dovesse coinvolgere l’Iran;
3) A chi giova;
4) Quali conseguenze avrà per le relazioni diplomatiche tra Israele e stati arabi, già ottime con l’Egitto e in corso di perfezionamento con Arabia ed Emirati.
Le risposte possono iniziare dal fondo.
4) È probabile che in Arabia la durissima risposta di Tel Aviv ad Hamas crei imbarazzo. Riyad è avviata a riconoscere Israele, ma i negoziati in corso da mesi subiranno probabilmente uno stallo. Il modello dei recenti accordi di Abramo ha però una sua solidità e il processo di avvicinamento tra i due paesi riprenderà prima o poi con la benedizione degli Stati Uniti. Quanto agli Emirati non danno alcun segno di simpatia per un’aggressione che rischia di destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente. Per Hamas potrebbe perciò rivelarsi un pessimo bumerang.
3) Chi trae vantaggio dal riaccendersi degli scontri in Palestina è sicuramente la Russia. I riflettori si allontanano infatti dal conflitto in Ucraina e la nuova emergenza potrebbe anche portare a riflessioni circa la convenienza di un armistizio quanto meno, considerate anche le difficoltá dell’Occidente nel continuare a rifornire gli arsenali di Kiev. Sul Medio Oriente il ministro della difesa Lavrov ha rilasciato dichiarazioni concilianti. Si dice in contatto con Teheran e Tel Aviv, Riyad e Gaza, Damasco e Beirut, ed è disponibile a lavorare per porre fine alla caneficina nell’interesse generale. Si vedrà. Ma già così l’isolamento di Mosca si riduce.
2) Sotto il profilo militare la guerra non durerà molto. Le forze israeliane sono infinitamente più potenti. Una volta rastrellati i terroristi infiltrati, aviazione e panzer finiranno di ridurre in macerie i nascondigli di Hamas a Gaza. Così ha garantito Netanyahu. Con varie incognite, tra cui il destino dei 200 ostaggi. Hamas sembrava avere in mente di scambiarli con i miliziani nelle prigioni di Israele. Ma al momento è impossibile fare previsioni. Tra l’altro l’Iran potrebbe scatenare l’esercito Hezbollah schierato in Libano, che si è fatto sentire a colpi di mortaio. Così Tel Aviv ha subito rinforzato il confine con reparti corazzati. In Libano, va ricordato, sono schierati anche i 1200 militari italiani della missione Leonte, parte del contingente internazione Unifil con compito di peacekeeping.
1) La débacle dell’intelligence israeliana è fin troppo evidente. Nell’anniversario della guerra dello Yom Kippur il paese è stato di nuovo colto completamente di sorpresa. A fine delle ostilità si cercherà di capire bene perché. Ma intanto le voci corrono tra le barbe finte occidentali. C’è chi parla di rivalità accese tra i tre servizi di sicurezza, Shin Bet, Aman e Mossad. Forse è anche così. Di sicuro i sofisticati strumenti elettronici e satellitari, fino a ieri garanti di una relativa tranquillità, stavolta hanno fatto fiasco, bypassati dalla totale segretezza con cui Hamas, con l’aiuto dell’Iran, ha organizzato un’incursione assai complessa che ha avuto successo grazie alla semplicità dei mezzi: miliziani che hanno attraversato disarmati i posti di blocco per poi trovare i kalashnikov in Israele, comunissime moto, qualche innocuo deltaplano e banali trattori agricoli per spalancare varchi nei confini e da qui lanciare gli attaccanti.
Com’è che gli occhiuti israeliani non se ne sono accorti che a cose fatte? Le ipotesi che circolano sono due: da un lato, l’aver affidato anche a privati i servizi di vigilanza ha indebolito il sistema. Dall’altro, l’eccessiva fiducia nella tecnologia ha indotto a ridurre l’impiego delle squadre antiterrorismo Mista’arvim ben note a chi su Netflix ha visto la serie Fauda. Ebrei nati e vissuti tra gli arabi, perfettamente bilingui, con un vasto carnet di informatori, perciò in grado di sapere molto. Però così a rischio che non pochi sono stati trucidati da Hamas. Per ridurre queste perdite ci si ê dunque affidati maggiormente all’elettronica, come nel 2001 ai metal detector. Ecco, probabilmente, qual è stato il guaio. Un giorno si saprà com’è andata.
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