Con i suoi improbabili favoriti da soldato della Confederazione sudista, Isaac Asimov sembra uscire direttamente dalla sanguinosa battaglia di Gettysburg, attorno alla quale ruotano le vicende del pluripremiato filmone “Via col vento”. Niente di più lontano dalla realtà: questo curioso personaggio era nato nel 1920 in una famiglia ebraica dall’altra parte del mondo, nei pressi di Smolensk, in Unione Sovietica.
Gli Asimov si traferirono a New York quando il piccolo Isaac aveva solo tre anni e qui divennero piccoli commercianti di generi alimentari, dolciumi e giornali.
Di salute cagionevole e appassionato di materie scientifiche Isaac, già da bambino, cominciò a scrivere per hobby progettando lunghi romanzi ambientati in terre immaginarie.
Nel 1937, mentre frequentava ancora il liceo, tentò invano la vendita del suo racconto Cosmic Corkscrew ma, poiché il settore fantascientifico era ancora acerbo e considerato poco pregevole dal punto di vista letterario, venne snobbato da tutti gli editori. Contemporaneamente o quasi, grazie all’incoraggiamento di John W. Campbell, direttore di «Astounding Stories» che si era immediatamente reso conto di trovarsi davanti uno scrittore prodigio, Asimov riuscì nell’intento di farsi pubblicare Marooned off Vesta. Nel 1941, mentre era matricola del corso di chimica alla Columbia University, pubblicò il suo primo autentico capolavoro, Nightfall. Nel 1948, ottenuta la laurea in biochimica, si trovò davanti a un bivio: seguire la carriera accademica o dedicarsi alla carriera di romanziere puro?
Mentre tentava di sciogliere questo dubbio, o più che altro, non volendo scegliere cosa “fare da grande”, proseguì febbrilmente nella sua attività letteraria e a raffica videro la luce Pebble in the Sky, Robot, The Stars Like Dust, The Currents of Space, The Caves of Steel, The End of Eternity, The Naked Sun.
Il successo planetario arrivò tra il 1951 e il 1953 con il primo dei suoi cicli dei racconti delle Fondazioni: Foundation, Foundation and Empire e Second Foundation.
Il tema trattato riprende i modelli della fantascienza avventurosa, a cominciare dal grandioso concetto di impero interstellare la cui struttura ricalca quella dell’impero romano.
Non dimentichiamo infatti che Isaac Asimov era un grande cultore di storia europea e non mancano affatto i riferimenti più o meno espliciti, a eventi realmente accaduti in modo da fornire spunti di riflessione più generali.
Come è avvenuto nell’antica Roma, crollata sotto le spallate barbariche, anche l’impero galattico nell’anno 12.020 dell’Era galattica, si trova a un passo dall’implosione non riuscendo più a reggere la pressione delle ribellioni portate avanti dai popoli sottomessi. Il più famoso personaggio di Asimov, Hari Seldon, oscuro ma geniale scienziato dell’Impero Galattico, utilizzando complesse funzioni matematiche da lui inventate e raccolte in una scienza, la psicostoria, comprende che in soli cinquecento anni l’Impero Galattico sarebbe crollato causando almeno 30.000 anni di caos cosmico.
Una comunità di scienziati, allarmata dalla terribile prospettiva, si incarica di creare un’enciclopedia galattica che dovrà mantenere intatto il sapere tecnologico e scientifico per le generazioni a venire.
Non dimentichiamo, a tal proposito, che Asimov era vissuto a cavallo fra le due guerre mondiali, eventi che avevano – come direbbe Thomas Mann – “frastagliato” le società occidentali. A seguito di tali eventi si stava affermando, sulla spinta degli studi dello storico alsaziano Marc Bloch, una nuova forma di indagine storiografica in cui si spostava il punto di vista: non più limitarsi a considerare le azioni di re e ministri, ma partire dalla comprensione profonda della psicologia delle masse. Certo, Bloch la chiamava psicologia sociale, non psicostoria ma il parallelismo non è affatto peregrino.
Torniamo però ai propositi di Seldon e al suo ambizioso progetto di salvare la civiltà attraverso una Fondazione; soltanto un’ipotesi teorica, un tentativo difficilmente realizzabile condotto tra lusinghe, raggiri e intrighi di palazzo, una lunga e avventurosa ricerca di quella misteriosa chiave che consentirà al protagonista di capire l’intero passato del genere umano e di aprire le porte al suo futuro. Nell’universo di Asimov non ci sono omini verdi con le antenne, ma si affrontano in prospettiva umana problematiche che riguardano il corso dell’esistenza quotidiana: nonostante lo straordinario sviluppo tecnologico i grandi interrogativi, i drammi, il senso di inadeguatezza restano una presenza nella vita di ognuno.
L’universo della Fondazione ha affascinato talmente tanto il pubblico da essere stato oggetto di storie scritte successivamente da Gregory Benford, Greg Bear e David Brin.
Asimov è a buon diritto considerato il padre della fantascienza moderna e comunque uno dei maggiori romanzieri della seconda metà del Novecento, sebbene il genere fantascientifico abbia sempre fatto storcere il naso ai critici puristi che non lo consideravano all’altezza di altri generi letterari.
Non a caso è molto difficile trovare i vincitori di premi Nobel per la letteratura fra i romanzieri fantasy. Con Asimov si inaugura l’Età d’oro della fantascienza moderna, filosofica, realista, progressista e volta alla riflessione sui limiti della scienza e, per così dire, sul destino comune dell’umanità.
Riflessione che Asimov conduce con una straordinaria maestria narrativa e in uno stile asciutto, incisivo, lineare e spesso piacevolmente ironico.
Il ciclo delle Fondazioni, composto originariamente da una serie di racconti brevi, fu ristampato negli anni Cinquanta con l’aggiunta di materiale “connettivo” e da allora è stato costantemente riproposto in tre volumi, a cui più tardi si aggiunsero altri romanzi, ambientati nello stesso quadro “storico”: Paria dei cieli, Il tiranno dei mondi e Le correnti dello spazio. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, l’attività fantascientifica di Asimov inizia a lasciare il posto a quella di divulgatore, per seguire la quale rinunciò all’insegnamento e alla ricerca presso la Scuola di Medicina dell’Università di Boston. Un altro tratto caratteristico di Asimov, tanto nei romanzi che nei racconti, è porsi in modo convincente ma non univoco di fronte ai problemi che l’evoluzione tecnologica offre all’immaginazione. Questa attenta sensibilità è evidente nei Cicli dei robot. Anche qui vale la pena di riflettere sul periodo storico in cui si trovava il mondo: erano gli anni della guerra fredda, del confronto/scontro fra USA e URSS anche sul piano tecnologico, in un feroce testa a testa nella costruzione dei primi automi capaci di svolgere azioni puramente umane. A questo proposito basta rileggere il nostro articolo riguardante la storia degli scacchi e i dilemmi che ci si ponevano allora per quanto concerneva i rapporti fra uomo e macchina. In un breve ma interessante saggio del 1964 Asimov, al culmine della sua carriera da divulgatore, descriveva una sua immaginaria visita alla fiera mondiale del 2014, dove aveva occasione di guardare per la prima volta in faccia il futuro. Ovviamente sorprende il fatto che molte delle sue previsioni si siano avverate; questo in virtù non di misteriose capacità divinatorie, ma grazie a una fervida immaginazione sostenuta da una più che solida preparazione scientifica. Proprio ad Asimov si deve anche la nascita, nel romanzo “Liar”, del termine robotica per designare la nuova scienza che ruotava attorno all’utilizzo di automi.
Nei racconti sui robot questa attitudine è esemplificata al meglio, perché il robot è sia la macchina perfetta che il simulacro dell’uomo. Da tale somiglianza nascono conflitti: il robot è visto con sospetto dall’uomo comune, non tanto per il timore che, come un Golem freddo e incrudelito, gli si possa ribellare, quanto per il fatto che possa costituire un efficientissimo, instancabile e diretto concorrente, che inizialmente aiuta nei lavori pesanti ma poi, pian piano, comincia a mettere in crisi la società degli uomini. Anche qui il parallelismo storico non può non portarci agli episodi avvenuti quando, a fine 700 in Gran Bretagna, l’operaio Ned Ludd, che si era ribellato all’introduzione nell’industria di macchine – non si trattava ovviamente ancora di robot – capaci di svolgere funzioni prima esclusivo appannaggio di operai in carne ed ossa, e che avevano provocato massiccia disoccupazione. È comunque significativo il fatto che gli operai temessero la meccanicizzazione dell’industria manifatturiera e avversassero ideologicamente il progresso tecnologico cui imputavano la propria miseria. La repressione nei confronti dei gruppi organizzati di luddisti che si ribellavano era durata decenni, dilagando in varie zone della penisola britannica, con picchi di tensione altissimi soprattutto nello Yorkshire, nel Lancashire, nel Derbyshire e infine nel Leicestershire. Per la prima volta si impone drammaticamente il dilemma: uomini e macchine possono convivere pacificamente? O le macchine invadono il territorio di noi umani? Se nelle fabbriche un macchinario prende il posto di tre operai, come faranno questi ultimi a provvedere al proprio sostentamento? Quanto potranno diventare “brave” le macchine rispetto a noi? Potranno forse sostituirsi a noi fino a rimpiazzarci o addirittura fino a conquistarci e dominarci?
Anche nel simpaticissimo film del più famoso attore italiano, Alberto Sordi, “Io e Caterina”, si affronta con amara ironia questa problematica. Come tutti ricorderanno, la deliziosa Caterina, premurosissima cameriera robot, finisce per divenire tirannica nei confronti del suo misogino datore di lavoro, che l’ha voluta ritenendola una compagnia femminile di facile gestione. Gli occhi sgranati dell’Albertone nazionale nella scena conclusiva del film sono la risposta più eloquente a questi interrogativi. Tornando ad Asimov, possiamo affermare che la questione dell’integrazione tra uomo e macchina è per lui cruciale, poiché comprende che con l’evoluzione tecnologica, si innescherà una vera e propria rivoluzione, un mutamento irreversibile della vita e della società. Anche in questo caso viene naturale interrogarsi sui limiti della scienza, allo stesso modo con cui Asimov si era avventurato, in svariati saggi e romanzi, a indagare i limiti del pensiero religioso portando addirittura alla sbarra degli imputati, la Genesi. La straordinaria varietà degli argomenti con cui si è confrontato lo strano personaggio coi favoriti, rendono difficile procedere a una sistemazione organica della sua opera.
Il filo rosso, il pallino, il chiodo fisso, la domanda delle domande, è sempre comunque il destino ultimo dell’umanità messo a repentaglio da ciò che l’umanità stessa ha creato nella sua avventura su questo pianeta (anzi nella galassia, perché appunto Asimov pensava in grande). Ecco il tema del golem che si ribella al suo creatore, il mostro di Frankenstein che non accetta la propria condizione di subalternità rispetto allo scienziato che l’ha assemblato, il progresso tecnologico che rischia di ingoiare chi lo ha reso tanto grande e rapido. La finezza con cui Asimov tratta situazioni tipiche e a volte un po’ cliché della fantascienza, non era mai stato raggiunto in precedenza. Solo un manipolo di autori può vantare di aver trasformato e rinnovato la fantascienza americana e mondiale che viene assimilata, nella mente dei lettori, alla più generica science fiction.
Forse solo Ray Bradbury è riuscito ad avvicinarsi a questo livello, consolidando il successo della scienze fiction e facendolo divenire genere di largo consumo negli anni Cinquanta, con l’apparire delle edizioni tascabili rivendute nelle edicole a pochi centesimi. Proprio in una edicola era partita l’avventura letteraria di Asimov, che da piccolo aveva imparato a leggere divorando riviste e quotidiani seduto di fronte a una piccola rivendita di generi alimentari e giornali di un anonimo sobborgo newyorkese. L’immagine di bambini in pantaloni corti e le ginocchia perennemente sbucciate, che vincono la noia delle vacanze estive leggendo fumetti o riviste seduti sulle scalinate di negozi e tavole calde, è un classico spesso riproposto nei film americani.
Una delle cartoline simbolo dell’America profonda, quella hopperiana, con i distributori di benzina rossi e le case in legno dipinto. Concludendo potremmo dire che fin da bambino Asimov, aveva affrontato il mondo senza dei e certezze assolute, ma armato di convinzioni profonde, e di una in particolare che al giorno d’oggi viene ripetuta quasi automaticamente in ogni trasmissione di divulgazione scientifica: è la scienza ad essere al servizio dell’uomo e non il contrario. Può sembrarci scontato, ma se ci appare tale è anche grazie alle riflessioni dello strano ometto coi favoriti da soldato della confederazione sudista.
I suoi classici sono da rileggere sotto l’ombrellone.
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