Colao, ma chi te l’ha fatto fare? Quale molla ti ha spinto a sobbarcarti l’onere di fare proposte per un paese che non cerca il rilancio ma solo l’assicurazione di poter continuare nelle vecchie pratiche assistenzialiste, diffuse come una infezione ormai in tutto il corpo sociale?
Manager di grande prestigio per gli importanti traguardi conquistati, Colao ha accettato – meglio, subito – la richiesta del Premier Conte di guidare una task force cui era affidato il compito di elaborare un programma di azione per rilanciare il paese.
I PREGIUDIZI
Ma come è stato subito chiaro, al Premier non interessavano i programmi che sarebbero usciti dal comitato di esperti, la task force era soltanto uno dei tanti espedienti di questo governo per guadagnare tempo e tirare a campare per superare l’emergenza sanitaria – malamente gestita all’insegna dell’approssimazione – e manifestare un qualche attivismo di fronte al tracollo dell’economia italiana.
Che questa fosse la reale motivazione – prender tempo – alla base dell’incarico e non l’interesse per le soluzioni proposte lo dimostra la reazione quasi infastidita del premier” E’ un contributo utile” come si usa dire delle idee e proposte delle quali non si ha alcuna intenzione di tener conto. Di fatto, come è stato scritto “Sul piano Colao va subito in scena il teatro dell’assurdo: chi lo ha voluto lo rinnega, chi non lo voleva lo loda. È tutto, meravigliosamente italiano, questo viaggio che riporta sempre al punto di partenza” (De Angelis, Huffington Post)
Aria fritta, ha scritto un eminente studioso che da tempo ha scalato le vette del Bartali-pensiero, proposte vecchie, tuona un piacione politico di sinistra di cui non si conosce, ormai cinquantino, altro lavoro che non sia la dirigenza di partito: manca – ma siamo sicuri arriverà- l’ormai celebre CI VUOL BENALTRO per avere il circo Barnum della politica italiana al completo.
I CONTENUTI
Di fronte ad un fronte così variegato di giudizi a prescindere, vale la pena di soffermarsi sui contenuti.
Intanto l’orizzonte temporale indicato è il triennio2020-22, ottimistico per la portata delle proposte contenute e per la tradizionale confermata lentezza del governo.
Il Piano – per costruire un’Italia più forte, resiliente ed equa- è il frutto di una commissione (task force) composita nella quale erano presenti sensibilità e concretezze differenziate ed alla quale era stata affidata una missione generica: questi limiti ovviamente hanno inciso sulla qualità del risultato.
Il piano si articola in sei macro-settori (imprese e lavoro, infrastrutture e ambiente, turismo, arte e cultura, pubblica amministrazione, istruzione, ricerca e competenze, individui e famiglie) e tre paradigmi (rivoluzione verde, parità di genere, digitalizzazione e innovazione), per un totale di 113 schede per le 102 azioni previste.
Ovviamente non competeva al Comitato indicare le coperture finanziarie delle diverse azioni ma per ciascuna di esse è indicato se il finanziamento è a) principalmente pubblico; b) principalmente privato; c) no funding.
L’eterogeneità delle azioni previste – dalla misura puntuale di riforma di un procedimento al progetto di rilancio di un settore – è stata ben presente alla commissione che analogamente ha distinto le azioni sulla base della tempistica di realizzabilità: a) attuare subito, b) finalizzare e c) strutturare.
Su 113 schede totali 45 possono essere lanciati subito, 46 richiedono la finalizzazione, 22 hanno bisogno di essere strutturate.
La maggioranza delle schede (80) richiede un finanziamento principalmente pubblico, 10 un finanziamento prevalentemente privato, 3 un finanziamento misto pubblico/privato mentre 20 non hanno necessità di alcun finanziamento
Il primo macro- settore spazia dall’ allungare ulteriormente le scadenze fiscali, al pagamento rapido dei fornitori della pubblica amministrazione fino al rinnovo dei contratti a termine per tutto il 2020. Comprende anche la proposta di regolarizzazione del contante non dichiarato con pagamento di un’imposta sostitutiva per l’emerso e l’obbligo di reinvestire una parte della cifra (circa la metà) in Italia.
Nel secondo capitolo si va dalle semplificazioni dei procedimenti amministrativi allo sviluppo della fibra ottica e del 5G fino agli investimenti contro il dissesto idrogeologico. Un rilievo particolare assume la revisione del codice degli appalti tramite la «complessiva riscrittura» del testo, per la quale si richiederanno tempi non brevi.
E così per tutti gli altri macro-settori per i quali vengono avanzate specifiche. proposte.
Ovviamente sull’impianto generale, sulle diverse proposte è legittimo il consenso e ogni critica può contribuire al suo miglioramento: se questo interessa a qualcuno.
Ovviamente passare dall’utopia, il rilancio invocato che prefiguri un nuovo modello di sviluppo, una nuova frontiera, il New Deal italiano ovviamente Green, alla prosaica elencazione delle misure da adottare produce delusioni.
Ma questo è successo all’esperimento che sta alla base di questo mito del rinnovamento economico: il New Deal di Roosevelt, che ha avuto la sorte di rappresentare il laboratorio di formulazione e sperimentazione delle nuove teorie keynesiane che propugnavano l’intervento diretto dello stato per contrastare le ricorrenti crisi economiche.
SOSTIENE KEYNES….
L’economista inglese esprime pubblicamente il suo sostegno alle politiche del New deal con una lettera pubblica cui segue qualche anno dopo (1937) una lettera privata al Presidente americano in un momento in cui il sogno di una nuova frontiera si stava arenando.
Keynes non è economista accademico, è stato alto funzionario statale, investitore in borsa e quindi sa bene come va il mondo, quali sono gli ostacoli che si frappongono fra teoria e pratica, tra scelta e sua concretizzazione.
C’è la burocrazia che frena e rallenta è fa sì che le opere pubbliche progettate avanzino lentamente fin quasi a vanificare la creazione di lavoro e di reddito: bisogna rimuovere questi ostacoli perché solo le costruzioni sono in grado di dare un potente impulso all’economia.
La progettata riorganizzazione del sistema produttivo e dei servizi incontra resistenze e crea un clima di incertezza nel quale gli investimenti privati non si fanno: bisogna rinunciare, dice Keynes, a questi progetti, avanzare con pazienza, dare fiducia al sistema delle imprese avverte che mescolare riforme e rilancio dell’economia non aiuta la ripresa.
Resta il taglio delle tasse che è una potente opzione di intervento nell’economia che entra in conflitto con il crescente fabbisogno di risorse richieste da un sistema di welfare sempre più diffuso.
RITORNO A COLAO
Fatte le debite proporzioni, il progetto della task force cerca soluzioni per rimuovere quegli stessi ostacoli ad una politica di superamento dell’emergenza attuale: la politica dovrebbe forse cogliere dal tavolo imbandito da Colao – che ha messo insieme gli ambiti decisivi per il futuro – le azioni prioritarie da attivare caso mai aggiungendo sulla tavola quelle che possono essere sfuggite ma ricordando sempre che le parole debbono trasformarsi in azioni.
Roberto Catanzano
Condivido quanto scritto e sono convinto che Colao avrebbe potuto fare anche dipiù se i componenti del gruppo fossero stati di sua scelta e non messigli intorno per gli scopi più diversi.
Comunque nel documento vi sono molti spunti interessanti per intervenire con efficacia.
Purtroppo la confusione regna sovrana nel governo e nella maggioranza.
Non c’è daa spettarsi di trovare un Keiynes, però mi piacerebbe che ascoltassero di più un Fassina ma anche lo stesso Tria.