La vittoria del centrodestra in Abruzzo è stata netta. Nonostante una candidatura di prestigio alla presidenza della Regione, il campo largo del centrosinistra non ha funzionato. L’effetto Sardegna, se c’è stato, è stato minimale. Ma è presto, per entrambi gli schieramenti, per trarre dal voto delle indicazioni conclusive. Per ora centrodestra e centrosinistra sono obbligati ad andare avanti così. Il centrosinistra non può abbandonare la politica del “campo largo” se vuole almeno giocare la partita e il centrodestra non può modificare gli equilibri interni alla coalizione, se non vuole avere dei contraccolpi che, vedasi il caso Sardegna, corrono il rischio di fargli perdere le elezioni.
Tutti insomma sono obbligati a stare in “surplace” almeno fino a giugno quando si terranno, in contemporanee, le elezioni europee e un’importante tornata amministrativa. Sarà quella la cartina di tornasole, sempre che il risultato del voto sia abbastanza chiaro, per decidere le future linee politiche.
Scaturirà infatti da quel voto, per il centrosinistra, una parola si spera definitiva sulla politica del “campo largo”. Ad oggi questa è l’unica possibile. PD e Cinquestelle divisi, contro un centrodestra unito, non entrano nemmeno in partita. Se però dal voto di giugno scaturisse, per questa linea, una bocciatura chiara allora si porrebbe al PD un dilemma esiziale: continuare ad insistere sull’unità a tutti i costi, condannandosi così a stare all’opposizione oppure cambiare linea, abbandonare i cinquestelle al loro destino e riallacciare i rapporti con l’area di centro. Una strada certo lunga e non facile ma l’unica che potrebbe assicurare al centrosinistra una stabile prospettiva di governo.
Voto importante quello di giugno anche per gli equilibri interni al centrodestra. La perdita di consensi della Lega, con l’eventuale siluramento di Salvini, e il contemporaneo aumento di voti per Forza Italia potrebbe innescare per la coalizione una svolta moderata con il rafforzamento dei legami a livello europeo con il PPE e il contemporaneo svilupparsi in Italia di un moderno partito conservatore.
La cosa davvero interessante di questi possibili sviluppi è che non dipendono solo dal voto del corpo elettorale. Dipendono anche dalle scelte che verranno da quel variegato mondo di centro, liberaldemocratico e riformista, che attualmente è diviso in mille piccoli rivoli. Se tutti questi piccoli partiti, IV, Azione +Europa riuscissero a fare fronte comune e presentarsi alle Europee in modo unitario potrebbero creare un polo, anche solo dell’8/10 per centro, che potrebbe attrarre elettori che oggi stanno a casa per mancanza di offerta politica ed esercitare un’azione di traino per staccare il PD dai cinquestelle ed offrirgli una sponda per il cambio di linea politica.
Ad oggi però, su questa strada, non si vendono segnali incoraggianti, anzi tutto il contrario. Prevalgono, come sempre, i piccoli interessi di bottega. Piccoli leader e piccoli uomini e donne che si guardano allo specchio e pensano di essere il centro del mondo. Ognuno vorrebbe che gli altri si accodassero a lui o lei e visto che questo non avviene, sono pronti a sacrificarsi, con l’unica eccezione almeno per ora di Renzi, ed accettare un posto nelle liste di questo PD che ha tutto l’interesse a non far nascere una possibile, anche se potenziale, polo di aggregazione al centro.
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