Il conflitto che, mentre scrivo, oppone le piazze al governo Netanyahu in Israele non riguarda solo Israele. Questo evento rimanda a questioni cruciali per la democrazia, anzi, riguarda ciò che intendiamo per democrazia e liberalismo (da non confondere con il liberismo, con il laisse-faire economico) nel mondo più modernizzato. Uso il termine liberalismo in senso essenzialmente gobettiano.
L’Alta Corte di Giustizia israeliana, Bagatz, ha vasti poteri, in particolare può bloccare decisioni prese dalla Knesset, il parlamento, se le considera in contraddizione con “le tredici leggi di base” che costituiscono la Dichiarazione di Indipendenza di Israele, che risale al maggio 1948[1]. O bloccarle anche semplicemente sulla base della “clausola di ragionevolezza”. Il governo di estrema destra di Netanyahu pensa che l’Alta Corte, non eletta dal popolo[2], abusi dei propri poteri intervenendo troppo spesso per bloccare le decisioni votate dalla Knesset – vuole introdurre una riforma secondo la quale se una legge bloccata dalla Bagatz è ri-votata dalla Knesset a maggioranza assoluta, essa comunque viene promulgata. Le vaste proteste che ne sono seguite nascono dalla paura che l’esecutivo avrà così molti più poteri, dato che l’Alta Corte non fa più da contrappeso. Ma in una democrazia come quella israeliana, l’esecutivo esprime comunque una maggioranza parlamentare: di fatto, impedire che un esecutivo sia troppo forte equivale a impedire che la maggioranza parlamentare sia troppo forte.
In Italia non abbiamo nulla di paragonabile all’Alta Corte israeliana, che abbia cioè i poteri di bloccare leggi votate dal parlamento. La Corte di Cassazione italiana non ha certo i poteri della Bagatz. Ovvero, il sistema italiano è più democratico di quello israeliano. Ma allora, la conclusione è inevitabile: la riforma Netanyahu, rafforzando la volontà del parlamento, rafforza le istituzioni elette democraticamente.
Perché allora molte delle proteste contro la riforma fanno appello alla democrazia?
Conta certo il fatto che l’attuale governo Netanyahu sia formato da partiti dell’estrema destra nazionalista e religiosa. Se la stessa riforma fosse stata promossa da un governo di sinistra, probabilmente non avrebbe incontrato l’ostilità che essa ha incontrato ora. Questo è il punto: anche se la destra vince democraticamente, molti la considerano anti-democratica. È effetto di un pregiudizio? Questo nasce dalla confusione che spesso si fa – e non a caso – tra ‘democrazia’ e ‘liberalismo’. La destra israeliana, come del resto quella italiana, oggi è democratica ma non è liberale.
Si suol dire che “la democrazia non è solo libere elezioni, occorre che un popolo abbia anche spirito democratico”. Ma quel che si chiama “spirito democratico” di fatto è liberalismo. Senza liberalismo, la democrazia rischia di essere una competizione tra ‘partiti fascisti’.
Per ‘liberale’ intendo non il liberismo, ma una visione che mette in primo piano i diritti dei cittadini e in particolare delle minoranze. Per democrazia intendiamo il fatto che tutti i cittadini maggiorenni votino, e che ogni voto di ogni cittadino valga uno; e che tutti i partiti, anche quelli che si dicono anti-democratici, possano partecipare liberamente alle elezioni. Il principio democratico non va oltre. Ora, il pericolo della democrazia è che essa sancisca una dittatura della maggioranza. Per esempio, una maggioranza degli italiani potrebbe eleggere un governo che ha come programma la persecuzione degli ebrei, come nel 1938: questa persecuzione sarebbe del tutto democratica. Ma non sarebbe liberale, perché i diritti liberali escludono le discriminazioni contro le minoranze di qualsiasi tipo. Il correttivo liberale è essenziale, e non a caso Putin e i suoi teorici parlano di “democrazia illiberale”, dove è la maggioranza plebiscitaria del paese a decidere, anche quando decide di perseguitare fette della popolazione.
Insomma, le proteste degli israeliani contro la riforma fanno appello a principi squisitamente liberali, non democratici: occorrono istituzioni sovra-democratiche – come la Bagatz – che correggano le iniziative illiberali dell’esecutivo, ergo del legislativo eletto. Il vero problema di oggi è frenare le libertà democratiche, non in nome del dispotismo o dell’autarchia, ma in nome del liberalismo. Per esempio, non discriminare gli omosessuali è un principio liberale, anche se democraticamente un paese può votare per la loro discriminazione.
Sempre più la sinistra liberale – ovvero la sinistra moderata e non radicale – teme il voto democratico. Prima la vittoria della Brexit, poi l’elezione di Trump, la vittoria prima di Berlusconi e poi di Fratelli d’Italia, per non parlare delle vittorie elettorali di Modi in India, di Bolsonaro in Brasile o di Daniel Ortega in Nicaragua… hanno messo in questione l’assioma secondo cui il voto popolare è per lo più moderato, centrista, “saggio” insomma. Oggi le masse popolari, soprattutto dei ceti meno colti e left behind, si orientano a votare sempre più per le estreme, di sinistra o di destra. Queste ali estreme tendono non a eliminare la democrazia, quanto ciò che la rende sopportabile ed equa, il liberalismo che la completa.
Rispetto allo slittamento illiberale dei left behind, i ceti più colti ricchi e prestigiosi – che chiamerei dei running ahead – si pongono a difesa del liberalismo. In pratica, a difesa dei LGBTQ+, delle minoranze (etniche, etiche, religiose, sessuali), degli immigrati, del ‘diritto alla morte’, delle donne ad abortire, ecc.
Queste classi dei running ahead dei nostri paesi “occidentali” – anche se vi includiamo paesi orientali, da Israele al Giappone all’Australia… – da tempo si rendono conto del pericolo. Costoro sanno bene che Hitler andò al potere democraticamente nel 1933… Quanto a Putin, egli è diventato un despota proprio grazie al voto popolare – questo la propaganda anti-putiniana dimentica di dirlo. Le masse fluide e imprevedibili degli elettori fanno sempre più paura… Da qui il ricorso a istituzioni sovra-democratiche che assicurino le libertà anche delle minoranze.
Assistiamo perciò da tempo a una lenta secessione lednta dei “poteri forti” dal controllo democratico, tra cui appunto la Bagatz israeliana. In Italia oggi si ha molta più fiducia nel presidente Mattarella (eletto dai rappresentanti non dal popolo) che nel parlamento uscito dalle elezioni del 2022. Non a caso il politologo Yascha Mounk parla oggi di “liberalismo anti-democratico”. Questo processo è uno dei più importanti nel mondo più modernizzato (ovvero più ricco e liberale) e segna un chiaro declino della democrazia.
L’evoluzione nel tempo delle Banche centrali evidenzia questa secessione dei poteri running ahead. Le Banche Centrali sono ormai sempre più svincolate dagli esecutivi eletti, scelgono politiche monetarie che possono anche contraddire pienamente le linee politiche dei governi. Anzi, in Italia nel 2011 e nel 2021 è accaduto di fatto che la Banca Centrale Europea abbia governato per un certo tempo l’Italia, anche se indirettamente, prima con Monti e poi con Draghi. Il governo italiano è stato commissariato dalla BCE e dall’FMI non tanto – come suol dirsi – per l’incapacità della nostra classe politica di amministrare il paese, quanto per l’incapacità degli italiani di eleggere una classe politica capace di amministrare il paese…
Le grandi istituzioni “tecniche” internazionali – il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale, ecc. – fanno oggi la loro politica, che i singoli stati non riescono a controllare e contrastare. Esse esprimono non la volontà popolare delle nazioni ma i principi di una élite liberale che non esita a correggere e a combattere le scelte democratiche, se illiberali.
Le istituzioni dell’Unione Europea sfuggono ormai in gran parte al controllo politico degli eletti, benché in ultima istanza esse esprimano i governi eletti. Ma,
Between the conception
And the creation
Between the emotion
And the response
Falls the Shadow[3]
L’ombra che cade tra il voto popolare e i poteri istituzionali (dell’Europa e del mondo) è quella chiamata spregiativamente dei “tecnocrati”, che però tenderei a rivalutare. Mi chiedo cioè se il fatto che certe tecnocrazie si emancipino completamente dalle volontà dei popoli non sia per noi una garanzia che eviti il peggio. Fin quando questi tecnocrati esprimono una classe dirigente che crede nel liberalismo, insomma nelle libertà. Anche il grande capitalismo dei paesi modernizzati è ormai “di sinistra”, il GAFAM è ‘liberale’. Sempre più oggi il voto di sinistra esprime il potere dei running ahead, sempre più il voto di destra esprime la rivolta dei left behind. Il conflitto israeliano tra una sinistra più liberale e una destra più democratica è in questo senso esemplare.
Fino a quando durerà questa convivenza sempre più difficile tra liberalismo e democrazia?
(articolo ripreso con il consenso dell’autore dal sito https://www.sergiobenvenuto.it/capricci/articolo.php?ID=207)
[1] Israele non ha una Costituzione, ha solo “leggi costitutive”.
[2] I giudici dell’Alta Corte israeliana sono nominati dal presidente della Repubblica, di fatto scelti da un Comitato di Selezione Giudiziaria. Questo Comitato è costituito da nove membri: tre membri della Corte Suprema, due parlamentari, due ministri di cui uno della Giustizia, e due rappresentanti dell’Associazione degli avvocati.
[3] T.S. Eliot, The Hollow Men.
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