Che dire di Renzi da Vespa. È inutile dire dell’uomo. Ne abbiamo già viste e dette tante. Non è politically correct, e ci tiene a farlo vedere, e non è neppure uno che cerca di piacere agli ordinary people. Va a sciare in Pakistan, con l’elicottero e amici ultravip, nel mentre lancia strali contro il Governo e lancia una battaglia durissima, tutta di principio, contro la eliminazione della prescrizione che trova tanti cittadini che se ne intendono in una posizione non così assolutamente contraria e tanti altri che non ne capiscono granché emotivamente d’accordo.
Insomma, gioca a fare l’antipatico e, con pochi sforzi, ci riesce. Quindi nulla di nuovo sotto il sole. Passano gli anni, cambiano le situazioni ma Matteo Renzi non può fare a meno di fare e rifare fino all’infinito quegli errori che gli sono costati la caduta di uno dei migliori Governi della repubblica, come impostazione di guida ovvio non certo per la compagine che aveva messo su, e la caduta secca di popolarità fra gli italiani. Ma di questo è inutile continuare a discettare. Evidentemente l’uomo non riesce a fare di più. E di diverso. Oppure gli piace così. Peccato.
Veniamo invece al Matteo Renzi politico. La sua spregiudicatezza gli consente di fare e di trovare strade che per altri sono impervie o impossibili. E di cambiare continuamente lo scenario di riferimento. E allora vediamo cosa viene fuori da questa intervista. Intervista che, a mio avviso, va letta assieme all’intervista di Bersani dalla Gruber a 8 e mezzo nella stessa serata.
Cosa ha detto Bersani, impersonificando in maniera unitaria, con le parole, la postura, l’atteggiamento, i sorrisi e le interruzioni, il tipico dirigente del PD, ex pci, insofferente di Renzi e di tutto il suo apparato concettuale e valoriale. Bene: ora che Renzi non c’è più, ed è ridotto ai minimi termini, andiamo avanti con la nostra politica di sinistra, solida, un po’ cattolica e un po’ comunista che apre ai liberali purché non rompano le scatole con le loro strane idee sul mercato, la libertà e l’individuo, e consideriamo chiusa per sempre la sua storia politica. Non siamo più la “Ditta“ di un tempo ma fra grillini oramai allo sbando, sardine in libertà e qualche buon amministratore “vecchio stile” riusciremo a tenere la “barra dritta”. Ovviamente non si sa dove deve andare questa barra, a “dritto dove”, ma l’importante è che sia salda e dritta. Un ritrovato orgoglio di una sinistra che non dà alcuna prospettiva al paese ma che si riconosce in una “rassegna mai rinnovata” di vecchi valori, come l’antifascismo e l’antirazzismo, di vecchi posizionamenti, come dalla parte di chi ha bisogno e dalla parte degli ultimi, e di vecchi simboli come il buon governo locale e la superiorità culturale.
Intendiamoci, tutte cose che prese una ad una possono e debbono essere nello strumentario della sinistra, ma che usate come “stampelle” di un pensiero strategico che non c’è lasciano il tempo che trovano.
Renzi entra in campo, e in maniera dura, respirando questa “vecchia aria, fritta e rifritta”. Sente che da parte del Pd c’è aria di restaurazione. Ma non da parte di un “nuovo potere forte” ma piuttosto di un “vecchio potere ammaccato”. E quindi laddove non può il dominio, laddove l’egemonia non ce la fa emerge, come è sempre successo nella storia della sinistra, la “burocratia”. Burocrazia, vecchie politiche, mancanza di una strategia attiva per il paese mescolate ad un populismo d’accatto oramai attento e mobilitato sulle minuzie tanto care al popolino, come i vitalizi, il numero dei parlamentari e altre irrilevanti facezie, rischia di far arretrare il paese in maniera definitiva. Ed è lì che Renzi sente di dover attaccare. Si vede chiaramente che la lotta sulla prescrizione è esagerata. Si vede chiaramente che delle dimissioni di Bonafede e dell’indebolimento di Conte non gli interessa più di tanto. Ma ha capito che bisogna combattere contro questa “restaurazione burocratica”. Regressiva e avvilente per la parte più dinamica del paese.
E su questo versante Renzi incontra una parte del paese. Appunto la parte più dinamica che non ne può più di questa sinistra e populismo del Governo Giallorosso come ne poteva abbastanza poco anche dell’altro Governo di destra e populismo guidato dal duo Salvini e Di Maio e dall’immancabile Conte. E la sua proposta di revisione istituzionale, con tanto di riproposizione del modello “Sindaco d’Italia”, sta in questo contesto. Ridare al paese una dinamica nuova, ridare la scelta del Governo in mano ai cittadini ed evitare le “pastoie” del modello proporzionale.
Insomma Renzi cerca di mettersi di nuovo dalla parte di chi “si vuole muovere”. Di chi non accetta questa aria di sonnolenza che oramai pervade la Roma Politica e ministeriale a tutti i livelli e in tutti i settori. Non a caso il corollario del suo atteggiamento politico è il “programma shock” che prevede il rilancio degli investimenti attraverso il Commissariamento delle opere bloccate. Ma, come in un gioco dell’oca, dopo averlo ascoltato e dopo aver condiviso lo strappo da dare alla politica, e quindi all’economia, oramai arenata in una “morta gora”, si ritorna alle caselle iniziali: all’uomo.
Quanto è credibile Matteo Renzi in questa nuova battaglia? Quanto lui personalmente e quanto il suo partito sempre più modellato e guidato all’unisono dal capo indiscusso?
Purtroppo poco. E allora tutte le accuse, a prescindere dalla maggiore o minore serietà e onestà con cui vengono fatte poi solo a lui o principalmente a lui, appaiono verosimili e creano un distacco fra molti elettori che pur potrebbero essere vicini alle sue idee ma che non si fidano più di lui.
E allora l’accusa che tutto ciò dipenda dal tentativo di rafforzarsi nel tavolo delle nomine appare plausibile. E allora l’accusa che questa battaglia miri alla visibilità di un partito, il suo, che altrimenti langue fermo intorno al 4% appare credibile. E così via.
E allora? Cosa dobbiamo sperare fra una destra sempre più forcaiola e populista, fra una sinistra oramai burocratico assistenzialista ed un Renzi sempre più in una battaglia dove, parafrasando il famoso principio, “il movimento è tutto e il fine è nulla”?.
Dobbiamo sperare che Renzi cambi. Lo so che è un “wishful thinking” ma ogni tanto conviene sperare. Per fare cosa? Per mettere da parte la sua persona come “bene assoluto” e vedere se gli è possibile spendersi per la costruzione di un fronte ampio in cui far circolare le sue idee per farle diventare una posizione politica e non più esclusivamente personale. Cioè passare, come ha detto peraltro più volte senza mai realizzarlo, passare dall’Io al Noi. E contribuire a costruire una forza liberaldemocratica e socialista che sia in grado di mitigare lo scontro distruttivo, à la meno, fra i populismi di destra e di sinistra. Cioè a creare una forza politica per portare avanti le sue idee ma all’interno di un sistema in cui le sue idee, i suoi capricci, le sue giravolte, le sue simpatie e antipatie si trovano a doversi mediare con le idee e il resto di altri leader politici. E magari all’interno di statuti e norme che soli possono organizzare il dibattito politico e garantire la democrazia come metodo e come strumento di superamento delle controversie.
Ecco all’intervista di Renzi, per alcuni versi accettabile nei contenuti, manca questo pezzo. Manca il suo impegno per andare oltre se stesso e il suo strumento diretto per fare politica, cioè Italia viva. Riuscirà a Renzi andare oltre sé stesso? Se si, la sua intervista sarà un punto di partenza. Se no, la sua intervista resterà, come tante si sono susseguite nel tempo, l’ennesima “boutade”, pressoché inutile, di un politico in cerca di visibilità.
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