Troverà spazio in queste righe – sia consentito almeno per una volta – un’opera che non è troppo lontana da “La condizione umana” e che servirà da faro e guida: “L’Arcangelico” , una raccolta di poesie scritta nel 1944 da Georges Bataille.
Va fatta subito una premessa: se la tua anima è turbata in questi giorni, evitale entrambe. Consiglio amichevole! Né Bataille né Malraux ti saranno di alcuna utilità se stai lottando con l’oscurità e l’isolamento – confinamento o qualcosa del genere.
Entrambi sono ossessionati dal solipsismo, dall’idea cioè che il soggetto pensante sia necessariamente imprigionato nell’unica realtà della sua coscienza, il mondo esterno e la coscienza degli altri non essendo altro che rappresentazioni. Pertanto, l’unica certezza che l’uomo può avere non è quella del mondo, ma la certezza di se stesso. Nulla esiste se non sono io che penso e che cerco di dare forma alla mia coscienza con le mie azioni: «Le cose, gli atti non esistevano; erano tutti sogni che ci abbracciano perché diamo loro la forza di farlo, ma che possiamo benissimo negare…”. Qui sta la relatività intrinseca nel solipsismo che mette in evidenza Malraux.
Se ci fermassimo lì, potremmo cadere in un relativismo che, pur privando il mondo di un valore di verità, di qualsiasi sostanza e magari di una certa profondità, conserverebbe tuttavia una possibile leggerezza. Ma certo, Malraux non si ferma qui e spinge il solipsismo fino alla supplica di Bataille : l’unica certezza dell’uomo non è tanto la consapevolezza di sé, ma piuttosto la consapevolezza della propria sofferenza.
Gisors, su cui ritorneremo, ci dice ne La condizione umana: “a parte la sofferenza fisica, non esiste realtà”, per poi ritornare a tale affermazione unendo definitivamente coscienza e sofferenza: “Tutti soffrono, pensò, e ognuno soffre perché pensa. In fondo, lo spirito pensa solo all’uomo nell’Eterno, e la coscienza della vita non può che essere angoscia.”
Così, questo solipsismo portato al parossismo diventa per loro l’essenza di un uomo necessariamente sofferente, necessariamente preda dell’incomunicabilità dei suoi stati e dei suoi affetti, dell’impossibilità di uscire dal buio in cui si muove. Bataille ci dirà: ” sono io il nulla/ l’universo è la mia tomba/ il sole non è che la morte”, idea già incarnata in La condizione umana dall’immagine di un uomo – farfalla attratto dalla luce di un sole morto: “Forse Tchen è una effimera che secerne la propria luce, quella sulla quale si distruggerà…”.
Distruzione, morte e nulla: eravate stati avvisati – scherziamo- questo trovate tra le loro pagine. Tuttavia, nonostante l’onnipresenza di un’angoscia in cui muoiono il senso e la certezza – tranne quello della sofferenza, come ora abbiamo capito – i due autori dispiegano una dialettica di combattimento e lotta che appare come l’unico tentativo – il tentativo nel quale , sebbene vano , merita di immergersi a capofitto – per uscire dagli stati acquosi dell’angoscia. .
I parallelismi tra loro sono evidenti nelle seguenti frasi al punto che si potrebbero quasi scambiare i loro nomi: “Chi non muore dell’ essere solo un uomo, sarà solo un uomo” (Bataille); “E morire per morire, purché sia per diventare uomini“(Malraux): ricerca di un superuomo nietzschiano che lotta nell’abisso per superare la sua condizione umana e diventare così l’uomo a venire, l’uomo-dio, questo è il significato della condizione umana in questi due autori.
Ma, se entrambi sono vicini per la visione comune di un’umanità sofferente, tuffiamoci un po’ più a fondo nelle pagine di Malraux per svelare la poetica della sofferenza che gli è propria.La Condizione Umana dà vita a una decina di personaggi, tutti tormentati , è nel titolo, dalla loro condizione, dall’orrore che ispira loro e dal desiderio disperato di superarla, questa condizione.Romanzo sulla sofferenza e sulla dignità ad essa collegata, La Condizione Umana presenta diverse forme che assume questa lotta per la dignità: la lotta ideologica con Kyo, Katow, May, Souen; violenza con Hemmelrich; terrorismo con Tchen; erotismo con Ferral e Valérie.Altri cercano di fuggire sia dalla lotta che dalla loro condizione: è il caso di Clappique nel gioco e nella menzogna e di Gisors nell’oppio. Ma fuggiamo più nell’oppio che nell’erotismo? Più nel gioco che nella lotta ideologica?La scrittura è introspettiva: Malraux ci immerge nelle menti di personaggi che lottano con se stessi e con il mondo. Ogni personaggio rappresentato è sempre colto in un’ambientazione tanto oscura quanto sontuosa, che fa eco a questa oscurità.L’apertura del romanzo, degna di un film noir degli anni ’70, dà il tono a una narrazione che non smetterà mai di dipingere la sofferenza, collocandola ogni volta in una scena particolare: il primo omicidio di Tchen, il vecchio che piange la morte dei cavalli dopo un massacro tra comunisti ed esercito, il primo tentativo di assassinare Chang-Kai Check e l’incredibile scena nel negozio di antiquariato, Ferral solo con il suo uccello, la sofferenza del bambino di Hemmelrich e il massacro della sua famiglia, la tortura del pazzo in prigione, Kyo e gli altri in attesa della tortura e della morte…Per questo, una delle caratteristiche estetiche più sorprendenti dell’opera è il sublime delle sue descrizioni. Con La Condizione Umana , Malraux è lo scenografo di una Cina urbana fatta di luci al neon, clacson, sale fumatori e bar dall’atmosfera sommessa, strade che sembrano immerse in una notte perpetua dove i taxi si riflettono nelle pozzanghere di benzina. .La scrittura di Malraux diventa un’immagine, ma sempre un’immagine in movimento. Raramente ho letto testi più “cinematografici”: di fatto, non riusciamo più a tenere aggiornato l’elenco dei registi (Eisenstein, Bertolucci, Cimino, Melville…) che hanno tentato un adattamento senza mai riuscirci. Forse questo dipende proprio dal suo potenziale cinematografico già troppo sfruttato nell’opera, che limita gli spazi di libertà necessari per qualsiasi adattamento?Nel frattempo, se fossi un regista e a mia volta volessi fallire in un tentativo di adattamento, metterei ovviamente Gisors come narratore. Quale riflesso dell’ideologia della supplica (Kyo riassume tale filosofia in questi termini: “Mio padre pensa che il nucleo dell’uomo sia l’angoscia, la consapevolezza del proprio destino”), Gisors è l’incarnazione del pensiero solipsistico infelice.Ancor di più, a livello prettamente narrativo, è ovviamente l’asse attorno a cui ruota il romanzo: ogni suo dialogo con gli altri personaggi è un’occasione per scoprire sia la propria ideologia (e quella di Malraux?) sia del personaggio che sta di fronte a lui. È a lui che Tchen ha confessato per primo l’emergere delle sue inclinazioni terroristiche, è a lui che Clappique confida la sua mitomania, è a lui che Kyo evoca la necessità di elevare la dignità umana attraverso l’ideologia, che Ferral parla delle donne , …Come se finalmente Gisors costituisse il centro dell’opera, il saggio fumatore d’oppio, che guarda la vita dietro il filtro del suo fumo ma che tuttavia rimane lucido sull’uomo e sulla sua sofferenza, quest’uomo che si sforza di sublimare la sua sofferenza ed elevarla più in alto; quest’uomo che rifiuta di ammettere “che non c’è realtà, che ci sono mondi di contemplazione dove tutto è vano”.Anche se tutto è vano, Gisors riconosce comunque la necessità di lottare con il mondo e con la vita perché cos’altro è ” un destino umano se non una vita di sforzi per unire questo pazzo e l’universo ..”?Forse è qui che finisce la vicinanza tra Bataille e La Condizione Umana: in Bataille – soprattutto ne L’Esperienza interiore – l’apertura resta possibile per l’uomo che vive nella supplica: l’uomo può aprirsi al mondo se si immerge nell’infinito del possibile – un infinito che non per questo è meno angosciante ma che ha il merito di essere possibile. Certo, l’apertura in Bataille è una ferita aperta, ma è comunque un’apertura.In Malraux, mi sembra che l’unica apertura rimasta all’uomo sia la morte: morte come riconciliazione nella quale gli uomini finalmente si parlano e si capiscono, morte che trascende la sofferenza e il solipsismo dove il soggetto stesso non è più la realtà ma semplicemente l’oggetto della morte che avanza.Questa differenza è essenziale perché ne La Condizione Umana non c’è apertura, nessuna possibilità, ma una destino ineluttabile dal quale solo con la morte arriva la liberazione; un destino che non è più, come in Bataille, la luce nella morte di un oggetto (speranza, felicità, gioia…) ma la luce nella morte del soggetto stesso.Quindi, se Bataille ci dice in una delle sue poesie “vedrai la tua felicità quando la vedrai morire”, con Malraux potremmo piuttosto dire: “vedrai la tua felicità quando ti vedrai morire”
La condizione umana (orig. La Condition humaine) è un romanzo di André Malraux pubblicato nel 1933: lo stesso anno, il libro vinse il Premio Goncourt. Il romanzo è ambientato in Cina e si svolge a seguito dell’insurrezione di Shanghai del 1927, quando gli operai in armi, guidati dai comunisti, liberarono la città prima dell’arrivo di Chiang Kai-shek alla testa delle truppe del il Kuomintang. I rivoluzionari Chen, Kyo (con suo padre Gisors) e Katov organizzano la rivolta nella città cinese di Shanghai. in ciascuno traspare una filosofia di vita, le problematiche scaturite dalle azioni commesse e la morte per qualcosa in cui si crede: una morte attiva e non un lasciarsi morire passivo.
André Malraux Scrittore e uomo politico francese Comunista, fu in Cina durante la guerra civile del 1927-28, partecipò alla guerra civile spagnola e, tardivamente alla resistenza antinazista. Abbandonato il Partito comunista, entrò in politica nel partito del generale C. de Gaulle e fu più volte ministro
http://www.nonsolobiografie.it/biografia_andre_malraux.html
(Nella foto: gruppo Parigi 1936, da sinistra Aragon, Gide, Malraux, Bloch)
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