La mano visibile e la mano invisibile
La mano visibile degli aiuti pubblici, stanziati (tanti) o erogati (pochi), europei e nazionali, a titolo di prestito o a fondo perduto, sta diventando sempre più grande, ma stenta a stringere la mano invisibile del mercato bancario, per quanto rassicurato da una serie di garanzie statali di dimensione sistemica (200 miliardi per crediti diretti e 200 miliardi come garanzie Sace per crediti all’export, senza parlare degli aiuti europei).
Infatti incertezze interpretative, procedure complesse, dinieghi già numerosi di istanze, farraginosità di varia natura, ritardi incomprensibili si frappongono in misura tale che, stando a certe prese di posizione, non sembrerebbero facili da superare, almeno a breve.
Invece di vedere impegnate le migliori menti a dare soluzione ai problemi, si assiste ad uno sfoggio professorale di distinguo, di caveat, di rischi per il banchiere che impediscono il dispiegarsi degli effetti desiderati. Ne è un esempio la dotta discussione tra esperti giuridici di prim’ordine e rappresentanti del massimo livello della professione bancaria che abbiamo commentato nell’articolo di ieri I Topi e il decreto liquidità.
Ora non c’è nulla di peggio che il cerchio, sul quale si affaccia chi mette a disposizione le risorse (la UE, la Bei, la Bce e lo Stato italiano e i suoi bracci operativi), chi è incaricato di trasferirle (il sistema bancario nella sua interezza) e chi ne è il destinatario finale (le imprese e le famiglie produttive), non si chiuda. La burocrazia, intesa come costruzione di norme complicate, poco chiare, difficili da applicare è il punto che attira le maggiori critiche. Noi riteniamo che ogni grave rottura/interruzione/ritardo del processo di trasferimento della liquidità aggiuntiva nella ricerca della copertura di ogni possibile rischio debba essere criticamente osservata e contrastata con mezzi altrettanto straordinari delle risorse mobilitate.
Le banche
Al di là delle preoccupazioni delle banche di essere l’anello debole sul quale si scaricano le questioni non risolte a monte, non va mai perso di vista il fatto che l’economia del Paese ha, lo ripetiamo, bisogno di rapidità di attuazione dei provvedimenti di sostegno della liquidità. I rischi di pandemia tra le imprese appare sempre più probabile, come ci fa capire oggi anche l’Agenzia Fitch che ha portato il rating del debito sovrano italiano in prossimità dei titoli spazzatura, causa le previsioni negative dell’economia.
Chiudere la filiera della distribuzione delle risorse finanziarie significa quindi che anche l’ultimo miglio costituito dalle banche funzioni alla perfezione. Non si tratta soltanto di condividere l’obiettivo dell’interesse generale di rivitalizzare le attività produttive. Il refrain del sistema bancario riguarda le difficoltà di rendere compatibile questa azione con la struttura dei rischi da governare e con gli obblighi della regulation da rispettare.
Noi vogliamo credere che queste tematiche possano un po’ alla volta essere messe a punto, ma siamo altrettanto convinti che il sistema bancario privato potrebbe non rispondere alle aspettative con l’efficacia richiesta. A scompenso si aggiungerebbe scompenso, rendendo la situazione complessiva sempre meno governabile.
Una soluzione fuori binario, ma non troppo
Il processo di erogazione di queste ingenti risorse sarebbe sotto controllo se fosse in qualche misura pubblico dall’inizio alla fine.
Cioè se potesse contare anche su qualche banca nazionalizzata che non rispondesse a logiche d’ordine privatistico quanto all’obiettivo della massima distribuzione possibile dei benefici stanziati.
Oggi abbiamo una banca, il Monte dei Paschi di Siena, che per una crisi durata anni, ha richiesto l’intervento dello stato, che ora detiene il 70% del capitale.
Essa, proprio in funzione della proprietà pubblica, potrebbe ricoprire questo ruolo, secondo apposite direttive del socio di maggioranza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, volte ad assolvere il compito di cui trattasi.
D’altro canto, pensare che la quota azionaria di possesso del MEF nel Monte possa essere reimmessa a breve sul mercato appare condizione difficile ad immaginare nel doppio contesto delle criticità non ancora superate e della crisi economica in atto.
Fare di essa lo strumento di intervento diretto dello Stato nell’economia non dovrebbe viceversa incontrare né l’opposizione europea, che ha allentato i vincoli degli aiuti di stato, né quella dell’Antitrust nazionale in materia di concorrenza.
Anzi un’azione decisa d’ordine pubblico che vedesse una Banca dello Stato erogare senza remore crediti garantiti dalla Stato darebbe coerenza all’intera azione di intervento pubblico, fornendo uno stimolo concorrenziale alle altre banche per superare le remore che sembrano irretirne il ruolo.
D’altro canto tra Poste, Monte dei Paschi e altre forme di intermediazione facenti capo a Cassa Depositi e Prestiti il sistema pubblico intermedia quasi un quarto del risparmio nazionale.
Non siamo alla ridda delle proposte, ma a trarre conclusioni partendo dal contesto del mercato bancario italiano, dalle azioni di politica economica in atto e dalla ricerca di vie d’uscita dalla situazione.
Anzi forse proprio il contrario sembrerebbe difficile da spiegare. Cioè che una Banca che ha richiesto denaro pubblico in dosi tanto massicce per essere salvata, contraddicesse nei fatti la sua azione, trovando obiezioni al farsi partecipe dell’enorme sforzo che lo Stato Italiano sta compiendo per erogare provvidenze pubbliche. La contraddizione non lo consentirebbe e anche il Monte potrebbe riacquistare definitivamente la reputazione che le sue sciagurate vicende gli hanno sottratto.
Se la montagna (il sistema bancario) non va a Maometto (l’impresa singola e minuta), sia Maometto a poter attingere alla erogazione diretta degli aiuti dalle strutture pubbliche.
Divo Gronchi
Per esperienza nel passato, nella interpretazione ed applicazione delle norme, le banche pubbliche (per ovvi riflessi giuridici riguardanti l’interesse pubblico della loro attività) sono sempre state più rigide delle banche private. Se non cambia il quadro giuridico di riferimento, non si modifica l’operatività degli istituti di credito, o si vuole ritornare alla distinzione tra pubblico e privato?
Non mi sembra un passo avanti.
Caso mai è lo Stato, con appropriata modifica legislativa, che deve evitare l’intermediazione delle banche. Poi però non lamentiamoci e non biasimiamo “in denaro distribuito con gli elicotteri” senza i necessari controlli preventivi.