L’Uomo Vitruviano, il celeberrimo disegno di Leonardo raffigurante un uomo con quattro braccia e quattro gambe collocato dentro un cerchio e un quadrato, era già pronto per essere prestato e spedito con tutte le accortezze a Parigi, dove a fine ottobre si inaugura una grande mostra al Louvre dedicata al genio del Rinascimento. Poi un’associazione che si occupa di tutela del nostro patrimonio culturale e ambientale ha presentato una denuncia e, di conseguenza, è intervenuto il Tar del Veneto (l’opera è infatti conservata all’Accademia di Venezia) a bloccare il trasferimento dell’ Uomo Vitruviano, in attesa della sentenza definitiva.
Perché mai un giudice amministrativo debba decidere su una materia che non appare di sua stretta competenza, non è per niente chiaro. Ma è così che vanno le cose in questo nostro Paese, soffocato ormai dai lacci della burocrazia e incatenato allo strapotere della magistratura. Per cui, quello che è stato deciso dal Ministro dei beni culturali e dal Soprintendente regionale, cioè mandare al Louvre di Parigi e non al museo comunale di Vattelapesca un’opera fondamentale per ricostruire il percorso artistico e culturale dell’artista – per altro in cambio del prestito di due preziosissimi quadri di Raffaello che arriverebbero a Roma nel 2020 – può essere tranquillamente smontato da qualcuno che ha studiato giurisprudenza e che magari di storia dell’arte non capisce un fico secco.
Si potrebbe obiettare che il disegno di Leonardo, essendo su carta, è fragile e non adatto a un viaggio in Francia. Ma il punto è: chi deve decidere, assumendosi le dovute responsabilità, sull’opportunità o meno di spostarlo? chi è più competente a farlo: un magistrato o un esperto del MiBac?
I tribunali amministrativi regionali arrivano a sentenziare sulle questioni più disparate, come se quei giudici fossero degli enciclopedisti e conoscessero a fondo ogni materia e ogni settore della nostra società.
Faccio un altro esempio, di ben minore importanza rispetto alla vicenda dell’Uomo Vitruviano ma altrettanto significativo nell’illustrare l’assurdità del fenomeno: il mondo della scuola. Se un genitore non è soddisfatto del giudizio che gli insegnanti di suo figlio hanno espresso, magari con una bocciatura, oggi non si limita ad andare a parlare col preside o con qualche prof per chiedere spiegazioni; perché può andare da un avvocato e fare ricorso al Tar, dove trova certamente un giudice disposto ad aprire un procedimento sulla vicenda. Ovviamente non è assicurato che il genitore in questione vinca la causa e quindi la scuola sia obbligata a promuovere lo studente che aveva precedentemente fermato; ma in ogni caso si avvia un procedimento legale che ha dei costi per lo Stato (cioè per tutti noi) e che, soprattutto, contribuisce a delegittimare ulteriormente il ruolo degli insegnanti.
La questione è sempre la stessa: sarà più competente a decidere sulla promozione/bocciatura di uno studente un magistrato del Tar o un consiglio di classe composto da una decina di insegnanti e dal loro dirigente scolastico?
In Italia, ahinoi, pare che sia più competente il giudice: sia che si tratti di prendere una decisione in merito ad opere d’arte; sia che si parli di istruzione, scuola, sanità, ambiente eccetera. Ma che assurdità!
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