Le parole di Ignazio Visco sui rischi d’inflazione, che non sono solo al rialzo, e sulle condizioni potenzialmente favorevoli dell’economia inducono a una certa dose di ottimismo, ma come vanno interpretate, alla luce della realtà dei fatti?
Il contesto di riferimento è quello europeo, che in confronto a quello statunitense non è ancora investito da una crescita sistematica della domanda aggregata e da una riduzione significativa del tasso di disoccupazione. Per questo motivo, le politiche monetarie di Federal Reserve e Banca Centrale Europea divergono e nel nostro continente si registra una continuità degli interventi espansivi, al netto di una riduzione del ritmo di acquisto dei titoli nel 2022 e delle eventuali scelte successive di tapering più intenso o di maggiorazione dei tassi ufficiali. Già queste indicazioni introducono incognite per l’imminente avvenire, rese ancor più evidenti dalle differenze di opinione nel Consiglio direttivo della Bce sulle aspettative di inflazione.
Quali sono i principali elementi di insicurezza, secondo il governatore della Banca d’Italia?
Il principale è sicuramente costituito dall’andamento della pandemia e dagli effetti delle varianti su mobilità e attività economiche, emergono altre preoccupazioni in relazione alle strozzature dell’offerta e all’incremento dei prezzi energetici, che ha origini di carattere strutturale e geopolitico, innescate dalla transizione ambientale. Inoltre, se un risoluto aumento dei margini delle imprese e delle retribuzioni non appare un problema immediato, è chiaro che inciderà su di esso proprio l’evoluzione dell’inflazione. Le sollecitazioni di Visco per una politica di bilancio comune, ipotizzando un Ministro europeo dell’Economia, sono del tutto condivisibili. Al pari dell’invito rivolto alle amministrazioni pubbliche a utilizzare le enormi risorse dei prossimi anni in modo efficiente e rapido, attraendo consistenti investimenti privati, evitando il “debito cattivo” e tagliando la spesa dove i costi superano i benefici. Ed è eloquente il monito alle forze politiche affinché guardino oltre il brevissimo periodo, considerando la rilevanza dell’innovazione e dei possibili salti di continuità nella crescita.
Ma guardando ad un orizzonte più ampi sui pericoli che potevano sorgere da un’inflazione eccessiva, cosa si intravede?
Gli economisti intervistati in questi giorni dal Financial Times paventano che un’inflazione persistente rappresenti una minaccia per la ripresa dell’eurozona, erodendo il reddito disponibile per i consumi e costringendo la Bce a diminuire gli stimoli all’economia più celermente del previsto. Ad esempio, André Sapir afferma che la sfida più impegnativa è quella di “trovare il giusto equilibrio per una politica macro, sia fiscale che monetaria, per consentire una ripresa continua, senza disposizioni fiscali incontrollate e inflazione galoppante”. In un recente intervento, intitolato “Il fantasma dell’inflazione natalizia”, John H. Cochrane ha paragonato la pandemia a una bufera di neve, sostenendo che se le persone ricevono molti compensi quando cade la neve, alimenteranno l’inflazione una volta passata la tormenta. Se la sua analisi scaturisce da una concezione legata all’equilibrio tra domanda e offerta, o meglio, alla capacità dell’economia di produrre beni e servizi, nella parte propositiva egli afferma che la prosecuzione o meno dell’inflazione dipende dalla politica fiscale, sapendo che quella monetaria da sola non basta. Infatti, a parere di Cochrane, “se la Banca Centrale Europea alza i tassi di interesse, aumenta i costi del debito italiano, minacciando una nuova crisi e mettendo a repentaglio il vasto portafoglio di titoli di Stato della Bce”. A sua volta, Mohamed A. El-Erian ha sottolineato come il picco di inflazione di questi mesi, pur non preannunciando il ritorno ai tassi a due cifre degli anni Settanta, assecondi l’ansia di consumatori e produttori, provocando un inasprimento delle disuguaglianze e il rischio di un deragliamento del rimbalzo economico in corso.
Il fenomeno inflattivo attuale può indicare un mutamento del paradigma macroeconomico globale, nel senso di una domanda aggregata in espansione, seppure con divari notevoli di reddito e opportunità?
Il tema centrale, dunque, diviene in maniera sempre più insistente quello della crescita economica e degli investimenti produttivi. Il 2022 – avverte Nouriel Roubini, pure su Project Syndicate – porterà nuove sfide e, tra queste, l’inflazione causata dai colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento. A questo punto, allora, piuttosto che indugiare in un’astratta contesa sul prossimo futuro, sarebbe opportuno, continuando a combattere il virus e l’incertezza finanziaria, provare a realizzare davvero un nuovo modello di sviluppo.
Facile a dirsi…
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