È uscito (2019) nella collana Piccola biblioteca del Riformismo socialista, pubblicata dalla Fondazione Filippo Turati in collaborazione con Lucia Pugliese Editore – Il Pozzo di Micene e curata da Zeffiro Ciuffoletti, il secondo volume, dedicato al rapporto tra Riformismo socialista e Grande Guerra.
Il saggio – antologia è curato da Andrea de Giorgio e si avvale di una rilevante introduzione di Zeffiro Ciuffoletti che inquadra il rapporto non sempre facile tra socialismo e guerra.
Già la definizione non solo storiografica, ma anche politica e sociale di guerra, sottolinea Ciuffoletti, è densa di significati e l’area socialista sin dagli anni Ottanta dell’Ottocento si interroga non solo sulla guerra, ma anche sul militarismo, intesi come momenti del capitalismo superati con il trionfo del socialismo e di un più generale pacifismo.
In quest’ultimo senso va sottolineato il valido richiamo di Ciuffoletti a Ernesto Teodoro Moneta (1833-1918), patriota risorgimentale, garibaldino, pensatore stimato da Vilfredo Pareto, premio Nobel per la Pace nel 1907 ma fautore della guerra di Libia e interventista nel 1915.
Nella variegata galassia socialista europea in realtà c’erano posizioni più analitiche di un istintivo pacifismo, che ad esempio emergono in Italia con la richiamata guerra di Libia (la guerra italo-turca, non marginalmente prodromo alla Grande Guerra), dove già lo scontro tra “riformisti” e “rivoluzionari” si fa forte e drammatico: l’espulsione dal Partito Socialista di figure di rilievo (Bonomi, Bissolati, Cabrini. Podrecca) apre la strada a Mussolini, con spinte molto più rivoluzionarie e meno organizzate nell’ottica di un “partito” moderno.
Questo non toglie che il socialismo europeo fosse (pur non in maniera compatta) contrario alla “guerra”, con prese di posizioni precise e ben motivate:
Nel luglio del 1914 il leader socialista francese Jean Jaurès, poco prima di essere assassinato per la sua tenace opposizione alla guerra, espresse bene il clima di quei giorni: “Il pericolo maggiore dell’attuale momento non risiede nella reale volontà dei popoli, ma nel nervosismo che dilaga, nell’inquietudine che si diffonde, negli improvvisi impeti che nascono dalla paura, dall’incertezza acuta, dall’ansia prolungata. A queste folli paure le masse possono cedere, e non è detto che i governi non vi cedano” (3 luglio 1914).
In qualche modo, in una compagine europea non più compatta, il patriottismo, anzi si potrebbe parlare di nazionalismo – pur se nel 1912 a Bologna la Federazione giovanile socialista criticava l’idea (borghese) di Patriaconsiderandola superata – prende il sopravvento e dal 1914, pur con distinguo, le posizioni, anzi i legami, di antimilitarismo e pacifismo, che avevano fatto da collante nell’internazionale socialista si dissolvono.
In Italia dall’estate del 1914 emergono molteplici posizioni, con una sostanziale rottura del fronte riformista e uno slittamento sempre più marcato verso l’intervento, in uno scontro tra Partito, “Avanti” con Mussolini e gruppi dirigenti tra Parlamento e territorio.
In questo senso l’espulsione di Mussolini, ovvero dell’ala più intransigente del partito, non riannoda i legami pacifisti, in un paese che mette all’angolo le posizioni meno intransigenti, che nel lungo e imprevisto corso della guerra sono sempre più forti e evidenti, anche in uno scontro ideologico sulle posizioni ad esempio proprio di Filippo Turati in merito alla difesa nazionale, che si fa radicale dopo Caporetto e gli eventi in Russia.
La parte antologica del volume, curata da Andrea De Giorgio per la scelta dei testi e l’introduzione ai singoli brani riportati, mette in luce tutte queste anime del socialismo europeo, dal Congresso di Stoccarda del 1907 in poi.
E un aspetto rilevante proprio della parte antologica è l’ampio arco cronologico in cui sono distribuiti i testi scelti, con la corretta considerazione che la Grande Guerra non è un fatto episodico che si sviluppa solo con Sarajevo.
La storiografia più accorta e recente ha chiaro questo scenario, tuttavia, dato anche il valore formativo della collana – i volumi, agili, ben curati da un punto di vista tecnico, chiari nell’impostazione, possono anche essere proposti come strumenti didattici nelle scuole superiori e nell’università, nel 2018 era uscito Alle origini della sanità pubblica. I Riformisti e la medicina sociale, a cura di Gian Luca Corradi – è utile evidenziare il lungo respiro degli avvenimenti del 1914 (e l’antologia arriva poi sino al 1920), aspetto per il grande pubblico sempre salutare.
Se correttamente viene dato spazio a Filippo Turati, con testi sia del periodo bellico sia del dopoguerra, non manca un inquadramento nazionale e internazionale più ampio, anche con voci “scomode” che è corretto far parlare per una concreta comprensione degli eventi, come Benito Mussolini e Antonio Gramsci, che nell’ottobre del 1914 “dialogano” e si scontrano su un tema essenziale dell’area socialista: la neutralità dell’Italia, aspetto mai sopito nel dibattito anche dopo il 24 maggio 1915.
Scomodo anche l’intervento di Camillo Prampolini che nel 1917 alla Camera pone l’accento sul valore della difesa nazionale, in una visione generale certo contraria alla guerra, ma che può essere letta tra le righe come una più ampia autodeterminazione dei popoli, tema non certo lontano dalle idee del socialismo riformista.
Scomodi ancora ma di grande rilievo appaiono i brani di Friedrich Adler, che nel 1916 uccide il presidente del consiglio austriaco Karl von Sturgkh e che in tribunale, in un’autodifesa (sarà condannato a morte, pena poi commutata in 18 anni di carcere e infine amnistiato), che sintetizzano la complessità del pensiero socialista in merito non solo a quella guerra ma anche a una più generale visione del ruolo del socialismo nella società oltre la gravità della situazione che si andava mostrando o che già si era espressa:
Quello che io volevo non era impedire la guerra, ma conservare l’Internazionale, affinché essa potesse al momento opportuno adempiere alla sua funzione. Io dissi a me stesso: se la guerra sarà decisa dalla forza delle armi, la socialdemocrazia non potrà interporsi; se a parlare saranno i cannoni, a nulla servirà ad addolcirli la voce del papa e neppure la nostra. Per questo, per prima cosa, non abbiamo altro compito che quello di tenere fede ai nostri principi (Friedrich Adler, p. 79).
In questo senso il richiamo che Antonio Gramsci fa nell’ottobre del 1914 alla “funzione” del Partito Socialista nella società italiana – e l’autore evidenzia bene “si badi, e non del proletariato o del socialismo in genere” (p. 105) – è ancor più rilevante, in una lettura complessiva del riformismo socialista di fronte non solo alla guerra.
In tutti i casi la comoda posizione della neutralità assoluta non ci faccia dimenticare la gravità del momento, e non faccia che noi ci abbandoniamo neppure per un istante ad una troppo ingenua contemplazione e rinunzia buddistica dei nostri diritti (Gramsci, p. 110).
Il socialismo riformista e la Grande Guerra, a cura di Andrea De Giorgio. Introduzione di Zeffiro Ciuffoletti, Firenze, Fondazione F. Turati – Lucia Pugliese Editore – Il Pozzo di Micene, 2019. Collana Piccola biblioteca del Riformismo socialista – Temi. Pp. 215, 15 euro. Chi è interessato al volume può farne richiesta all’ufficio stampa della Fondazione Turati: g.gonfiantini@fondazioneturati.it
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