“Su ciò, di cui non si può parlare, è meglio tacere”
Nel secolo scorso, quando un politico voleva fare la figura di uno specialmente colto, prendeva a prestito da Wittgenstein l’ultima proposizione del Tractatus: normalmente non lo aveva mai letto e, casomai avesse provato a farlo, sarebbe stato uguale, tanto non ne avrebbe capito una sola frase.
Per la gran parte degli intellettuali era più o meno la stessa cosa, ma faceva fino inserire la citazione in un qualsiasi discorso pubblico, ovviamente con la dovuta attenzione a che non fosse presente un competente di logica, di filosofia della scienza o di qualcosa di simile.
Se pensiamo a quello che sta succedendo con il virus venuto dall’Oriente, si potrebbe dire che il governo attuale ha dimostrato di avere appreso la lezione del Tractatus (nel significato improprio che se ne fa abitualmente), circondandosi (come ha fatto) di consulenti, esperti, supercommissioni, sottocommissioni e chi più ne ha più ne metta.
Meglio lasciare il passo a chi delle cose può parlare, mentre per chi non ne può parlare con competenza è meglio tacere.
Elementare…e grazie dell’aiuto retorico, caro Ludwig.
Ma non è così semplice, né dalla parte dei politici, né da quella degli scienziati o altrimenti competenti.
Riguardo a questi ultimi, è vero che non c’è alcuna risposta definitiva della scienza (Popper docet), ma non era mai successo, nei tempi recenti, di trovare improvvisamente l’intero mondo della medicina così disarmato.
Di sicuro saranno presto fatti passi avanti decisivi per la cura e la prevenzione del coronavirus, ma allo stato dell’arte risuona qualcosa dei tempi antichi: l’isolamento è ancora la soluzione possibile, seppure non decisiva!
Ma lasciamo stare i santi (tanto più che non è proprio affar nostro) e occupiamoci dei fanti, cioè dei politici, o meglio della politica.
Meglio della politica, perché questa non viene mai meno nelle relazioni sociali, qualunque sia il merito o il demerito di chi la rappresenta più o meno provvisoriamente.
La politica del governo Conte in questo periodo, iniziato verso la fine di gennaio, ha avuto le caratteristiche di un’iniziale incertezza e di una conseguente sottovalutazione, poi di decisionismo di fronte alla tragedia che si andava manifestando nelle nostre regioni più avanzate, all’insegna di un unico concetto: tutti in casa, invece che tutti a casa.
Secondo i sondaggi gli italiani hanno in maggioranza apprezzato particolarmente il presidente del governo stesso, fino a due anni fa l’ignoto numero non si sa quale di una qualsiasi scena pubblica, poi, nel breve volgere di un anno o poco più, il trasformista numero uno della politica nazionale.
Giuseppi Conte, una “paglietta” del ventunesimo secolo che sarebbe al suo posto anche nell’Italia giolittiana dell’inizio del ‘900, non si fa né in qua né in là se nel suo governo c’è Salvini o Zingaretti, Di Maio o Speranza.
Qualcuno (forse quel genio del Ministro della giustizia che era l’unico in grado di certificarne l’esistenza in quel di Novoli a Firenze e di presentarlo a quell’altro accademico del Lincei che è l’attuale ministro degli Esteri, nonché allo Zorro di Milano Marittima, altresì detto Matteo Salvini) lo deve aver convinto che lo Spirito Santo sia sceso su di lui e tanto basta
Del resto, anche la Vergine era una perfetta sconosciuta, a suo tempo… e il figlio dovette farne di strada per essere riconosciuto come il Messia e fondare la sua Chiesa eterna.
Questo deve pensare nel segreto della sua mente Giuseppi, quando timidamente tenta di paragonarsi a Churchill, di cui vorrebbe condividere la sorte nella vittoria del maggio ‘45, ma non la sconfitta elettorale di due mesi dopo.
Da mesi e mesi i più autorevoli commentatori nazionali (e non solo) si esercitano in un duro lavoro di comprensione del fenomeno di cui parliamo e cercano di fare previsioni per il futuro dello stesso.
In realtà la capacità di sopravvivenza politica di un tipo come Conte (definirlo un doroteo del terzo millennio è dargli una patente di nobiltà) è legata all’inesistenza di leadership competitive che non ci possono essere per un semplice motivo: non ci sono più partiti di cui qualcuno possa essere un leader.
È un serpente che si morde la coda, come si vede: non ci sono comandanti perché non c’è niente da comandare: tutto è personalizzato e tende verso il basso, tutto è frammentato e privo di ricerca di un’identità politica che vada oltre le supposte convenienze del momento.
Per ora è ben fermarsi un momento per non far diventare troppo lungo questo articolo un po’, anzi molto, approssimativo: se ci sarà lo spazio, potremo affrontare l’analisi di che cosa sono i partiti a cui ci siamo riferiti prima.
Un’analisi da condurre con un riferimento preciso: la politica di oggi e i partiti e i loro leader (o sedicenti tali) che la rappresentano non sono altro che l’esito dovuto di ciò che avvenne quasi trent’anni fa con Mani pulite.
Vediamo se alla fine quanto possiamo dire su tale questione, si può dire con chiarezza, tanto per seguire le indicazioni del nostro Autore, difficile da capire, ma non più della politica italiana attuale.
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