Affronteremo questa volta un famosa questione matematica che ha numerosi risvolti anche nella vita quotidiana, sebbene di primo acchito possa sembrare un po’ astratta. Le origini del problema con cui ci misureremo, e che va sotto il nome di “problema isoperimetrico”, si collocano attorno al IX secolo a.C. e trovano spazio nella mitologia, prima di divenire appannaggio dai matematici greci. Anche la terminologia adottata viene dalgreco antico: isos=uguale, e consiste nella determinazione di quale, tra diverse figure aventi stesso perimetro, racchiuda l’area massima. La questione può naturalmente venire estesa anche allo spazio tridimensionale, attraverso generalizzazioni che hanno grande rilevanza applicativa. I Greci stessi scoprirono per primi che le soluzioni di questo problema erano dei cerchi; furono i primi, come in molte altre cose, ma non gli unici, perché formulazioni e soluzioni equivalenti del problema vennero trovate da vari popoli dell’antichità, dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, da Scilla al Tanai. Per questo faremo un excursus storico-mitologico che partendo dalla Grecia arriverà, passando per Roma, fino al nord Europa. In realtà, pur essendo un problema intuitivamente di facile soluzione, ha stuzzicato la mente di molti illustri matematici che si sono arrovellati per secoli al fine di fornirne una dimostrazione completa e rigorosa, riuscendovi solo a partire dalla fine del 1800. Come sempre accade in matematica, e in particolare in geometria, il problema ha avuto origine da bisogni estremamente concreti del popolo come ad esempio, dividere in modo equo i terreni fra i proprietari o stimare la grandezza di territori prima sconosciuti. In genere nell’antichità, per valutare le dimensioni di un’isola appena scoperta, si operavano deduzioni sulla base del tempo impiegato per circumnavigarla, oppure si era soliti assumere come estensione di una città il perimetro della cinta di mura che la circondava. Probabilmente fu proprio durante queste operazioni che i matematici si accorsero del fatto che misurare il perimetro non è un criterio efficiente per stabilire univocamente l’estensione di una superficie perché, nella realtà, figure di uguale area possono avere perimetro differente, così come figure con uguale perimetro possono differire in area. Questa formulazione sembra quasi uno scioglilingua, o un classico, astruso, problema matematico, ma potremmo riproporlo in maniera meno rigorosa come di seguito: “Data una staccionata, come disporla per recintare l’appezzamento di terreno che sia il più grande possibile?”. E allora quello che sembra un complicato rompicapo matematico, diviene una domanda aperta ad ognuno di voi. Come abbiamo già accennato, per capire bene la radice di questa classe di problemi, dobbiamo fare qualche riferimento alla mitologia dove il problema isoperimetrico prende il nome di “Problema di Didone”. Costei, come tutti abbiamo imparato sui libri di scuola, fu la mitica fondatrice della città di Cartagine, e di lei si hanno notizie anche da alcuni storici romani, primo fra tutti Tito Livio, ma il resoconto più famoso delle vicende che la vedono protagonista è quello messo in poesia da Virgilio: “Giunsero in questi luoghi, ov’or vedrai/ sorger la gran cittade e l’alta rocca/ della nuova Carthago, che dal fatto/ Birsa* nomassi, per l’astuta merce/ che, per fondarla, fèr di tanto sito/ quanto cerchiar di bue potesse un tergo” (Eneide). L’intraprendente principessa fenicia fuggì dalla città di Tiro in cui era nata, quando suo fratello, il re Pigmalione, la rese vedova trucidandole il marito Sicheo; dopo un lungo viaggio approdò sulle coste dell’attuale Tunisia dove si presentò al re africano Iarba per ottenere un appezzamento di terra su cui costruire una nuova città. Il re, invaghito della bella regina, le consentì di stabilirvisi, prendendo possesso di tanto terreno quanto ne poteva contenere una pelle di bue. La domanda è: Iarba seppe fare i suoi conti? In realtà come accade spesso, l’amore non fu un buon consigliere e lo sprovveduto sovrano dovette accorgersene presto. Virgilio non descrive i dettagli del geniale stratagemma di cui si servì la principessa per risolvere il problema, ma la tradizione tramanda che, dopo aver ridotto la pelle in tante striscioline sottilissime, le legò una all’altra in modo da creare una lunga corda e la fece disporre a semicerchio congiungendo le rive dei due lati opposti dell’altura, convinta che fosse il modo migliore per racchiudere la maggior area possibile al fine di costruirvi la sua città e garantirle, nello stesso tempo, un comodo sbocco sul mare. Ci troviamo di fronte a un tipico problema di “calcolo delle variazioni”. La soluzione di questi problemi dipende dalle condizioni al contorno: ad esempio, se ci si trova nell’entroterra, la forma migliore è un cerchio mentre se, come nel caso di Didone, la terra si affaccia sul mare, è molto meglio scegliere un semicerchio. Il problema di Didone può essere letto in due modi: infatti si può scegliere se fissare la lunghezza della corda e chiedersi quale sia l’area massima che si vuole racchiudere dentro la figura, oppure se fissare l’area e cercare la lunghezza minima della corda che la racchiude. In questa seconda formulazione siamo di fronte a un classico problema di minimizzazione. Questo mito, nella sua semplicità, ha messo alla prova, per secoli, la fantasia dei matematici che si sono chiesti, senza trovare una risposta plausibile: “Ma come fece la geniale Didone ad intuire che era la forma semicircolare quella ottimale per delimitare la maggiore superficie possibile?”.Altri problemi, simili a questo, si trovano narrati in diversi testi dell’Antichità e del Medioevo. Seguiamo un po’ la strada di Didone; sappiamo che Enea, fuggito da Troia, a Cartagine trovò accoglienza e da lì partì alla volta del Lazio. Proprio nella mitologia romana troviamo un episodio simile stavolta con un altro protagonista d’eccezione: Orazio Coclite, un tribuno che vantava discendenza diretta dai fratelli Orazi. Anche questo episodio ci viene tramandato da Tito Livio che lo colloca nel 508 a. C. Il prode Orazio difese eroicamente la città di Roma dagli Etruschi che, furibondi per la cacciata di Tarquinio il Superbo, sotto il comando del lucumone Porsenna, assediarono la città eterna. L’esercito etrusco avrebbe potuto facilmente entrare in città attraverso il ponte Sublicio e da lì avrebbe avuto facile accesso al Gianicolo. Coclite ordinò l’abbattimento del ponte mentre lui, con un manipolo di fedeli, rallentò l’avanzata degli avversari. Gli invasori dovettero tornare da dove erano venuti con le ossa rotte, mentre il popolo di Roma, riconoscente, volle sdebitarsi con un ricco premio per la salvezza della città. In onore dell’eroe venne eretta una statua e gli venne assegnato un appezzamento di terra di grandezza pari a quella che avrebbe potuto arare in un giorno di lavoro. Evidentemente anche questo problema era di tipo isoperimetrico: speriamo vivamente – a tal proposito però una volta tanto gli storici tacciono – che il valoroso Orazio non sia stato meno lungimirante di Didone ed abbia saputo massimizzare l’opportunità che gli veniva proposta circoscrivendo un appezzamento di terra di forma circolare. In questo caso non si poneva il problema dell’accesso al mare e quindi la forma semicircolare ricercata da Didone sarebbe stata penalizzante. Come vedete, il mito di Didone torna sempre alla ribalta e ve ne proponiamo una variante nordica. Saxo Grammaticus, letterato danese del XII secolo, narra una storia molto simile, a riprova del fatto che la matematica è una scienza universale ed ha sempre creato grattacapi universali. In proposito leggiamo le vicende di Iwar, figlio del leggendario re vichingo Ragnar Lodbrok. Si narra che Ragnar, condannato a morte dopo essere stato catturato in battaglia, venne gettato in una fossa piena di serpenti velenosi per ordine del re Ella di Northumbria. I quattro figli di Ragnar cercarono di vendicare la morte del padre invadendo il regno di Ella, però furono costretti a ritirarsi a causa della superiorità numerica dell’esercito anglo. Il giovane Iwar si recò da Ella per chiedere un guidrigildo per l’assassinio del padre; come risarcimento venne stabilito che Iwar acquisisse la proprietà di tanta terra quanta ne poteva essere racchiusa da una pelle di bue. Proprio come Didone, Iwar ricavò una lunga corda dalla pelle e la distese al suolo in forma di circonferenza, delimitando così un’area vastissima di cui acquisì la proprietà: su tale terreno fondò un nuova città, con ogni probabilità l’attuale York. Alcuni anni dopo, Iwar ed i suoi fratelli catturarono Ella e lo uccisero, vendicando il padre Ragnar. Quelle appena descritte sembrano essere le leggende più note riguardo il problema isoperimetrico. E’ notevole il fatto che alcune di esse sembrano avere un carattere marcatamente didattico: ascoltando queste storie, anche chi non conosceva la geometria, riusciva a capire che la forma circolare o semicircolare era la migliore possibile per fondare città o delimitare grandi spazi. I primi risultati nella determinazione delle soluzioni risalgono ai Greci; con precisione non conosciamo il nome di chi fu il primo ad occuparsene, in alcuni testi si risale ai Pitagorici, ma più probabilmente furono Archimede (Siracusa, 287 a.C. ca. – 212 a.C ca.), e sopratutto Zenodoro (seconda metà II sec. a.C.) il quale, con ragionamenti di tipo geometrico, riuscì a dimostrare che il cerchio ha area maggiore di ogni poligono avente lo stesso perimetro. Il problema isoperimetrico tuttavia grattacapo era e grattacapo rimase molto a lungo, tanto che a buon diritto può essere considerato uno dei problemi più longevi nell’intera storia della matematica. Una soluzione rigorosa e generale è stata infatti trovata soltanto circa 2500 anni dopo la sua formulazione e cioè, come abbiamo accennato all’inizio, a fine 1800, quando cominciarono a comparire varie dimostrazioni dell’esistenza di figure massimizzanti l’area rispetto a un perimetro assegnato. Gli apporti maggiori sono attribuibili a Steiner, un matematico svizzero, mostro sacro della Geometria Euclidea. Egli rifiutava qualsiasi ragionamento che fosse puramente analitico e diffidava dei calcoli algebrici, tutto teso nella continuazione della tradizione dei matematici greci e amante solo di argomenti geometrici sintetici. Si avvicendarono altri giganti come Weierstrass, Hurwitz e soprattutto Minkowski, padre delle concezioni geometriche che soggiacciono alla Teoria della Relatività, il quale sfruttò alcune formule di Steiner ed un’appropriata definizione di perimetro, diversa da quella classica, ma che coincideva con essa per figure convesse aventi bordo “abbastanza liscio”. Intanto era cominciato il XX secolo e le idee di Lebesgue sulla Teoria della Misura avevano cambiato non poco il modo di approcciare le questioni riguardanti le aree ed i perimetri. Il problema isoperimetrico è stato oggetto anche di studi non matematici o, per meglio dire, ha transitato attraverso vari campi del sapere scientifico. Lo hanno approfondito e applicato sia Cusano che Keplero, il quale lo utilizzò nel costruzione teorica della morfologia del sistema solare. Tali dimostrazioni vennero però contestate da molti analisti, a partire da Dirichlet (1805–1859) e successivamente da Ennio De Giorgi (1928–1996), uno dei più grandi matematici creativi del secolo, dotato di una straordinaria intuizione geometrica. Di lui Giovanni Prodi scrisse che sembrava ”bastasse segnalargli il risultato perché lo reinterpretasse nel suo quadro mentale e ne riscontrasse immediatamente la validità”.Fu con De Giorgi che il problema isoperimetrico si estese a dimensioni più alte: si dimostrò per esempio che anche nello spazio tridimensionale, fissato un volume, esistono varie forme che possono contenerlo e, in particolare, ce n’è una la cui superficie è la minima possibile: ha forma sferica. Se ci guardiamo intorno possiamo scoprire svariati esempi di oggetti che racchiudono il massimo volume possibile sfruttando la minore area possibile, basti pensare alle bollicine di anidride carbonica presenti nell’acqua minerale, o meglio ancora, alle bolle di sapone, che rimangono stabili fino a quando la loro forma resta quanto più simile alla sfera. La Natura, come sempre, è arrivata alla soluzione prima dell’Uomo. E’ lei che chiude il cerchio.
Il problema di Didone
Fra figure diverse, aventi però lo stesso perimetro, qual è quella che racchiude l’area più grande? La dimostrazione matematica del risultato trovata solo alla fine dell’800
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