In Italia la politica di Margaret Thatcher ha sempre avuto una connotazione fortemente negativa. Identificata fin da subito con il materialismo sfrenato e con l’assenza di valori socialiSi pensava inoltre che Il thatcherismo fosse stato un fenomeno legato esclusivamente alla realta’ britannica degli anni settanta, quando l’isola era il “malato d’ Europa” con una pesante crisi economica, una forte recessione, un debito sempre piu’ alto, con un invadente stato assistenziale, (nanny state), e con opulenti sindacati che rendevano immobile e non produttivo il mercato del lavoro. (Continui scioperi e obbligo di iscrizione al sindacato per tutti, senza possibilita’ di scelta).
Nel 1959 usci’ in Inghilterra un popolare film “I’m all right Jack “ che, attraverso la satira sociale descriveva il pensiero comune sul proprio paese e in cui si raccontava la vita spensierata e ironica di un operaio inglese che lavorava in un’azienda pubblica che lo impegnava molto poco.
Margaret Thatcher ha governato la Gran Bretagna dal 1979 al 1990 con un piglio deciso e senza compomessi. Le politiche economiche adottate sono state solo il riflesso della filosofia che ne governava l’azione.
Quali i parallelismi con l’Italia attuale e soprattutto quali gli impensabili spunti e possibili soluzioni?
Secondo Margaret Thatcher le politiche di ispirazione socialista avevano prodotto un paese moralmente inadeguato al progresso e alla crescita. Le persone vivevano grazie allo stato assistenziale, sul quale si appoggiavano totalmente. Era stata spezzata ogni volonta’ di crescita e di responsabilita’ individuale.
Un articolo scritto probabilmente da Keith Joseph, membro del partito conservatore particolarmente influente nell’evoluzione del pensiero di Thatcher e cofondatore del Center for Policy Studies, era esemplificativamente intitolato “Moral Betrayal, Not Economic Failure”. L’autore identificava nella classe dirigente inglese, sia laburisti che conservatori, il declino della Gran Bretagna. Una responsabilita’ morale, un tradimento di cui non aveva colpa la popolazione, ma solo la classe politica.
Una responsabilita’ morale che la nostra classe politica attuale ha egualmente disatteso, un tradimento agito in funzione di privilegi di posizione che pur di non abbandonare continua a perpetuarsi, al quale ormai siamo stancamente abituati.
Uno stato sempre piu’ assistenziale, in modo indiscriminato, come sta diventando il nostro, uccide la tensione alla crescita e alla realizzazione individuale.
Thatcher era convinta, anche criticando il proprio partito, che prioritariamente occorresse cambiare l’anima del paese e che conseguentemente ne sarebbe cambiata l’economia.
Per produrre il grande cambiamento, una delle principali leve era il ripristino di una vera economia di mercato, che avrebbe promosso non solo lo spirito di impresa ma anche l’assunzione individuale di responsabilita’ negli individui.
Centrale nel suo pensiero era l’importanza della proprieta’ che doveva essere il piu’ diffusa possibile: con il rafforzamento della proprieta’ e dell’iniziativa economica individuale, aumenta il senso di responsabilita’ dei cittadini, perche’ se si possiede qualcosa, si tendera’ a prendersene cura e a occuparsi anche di tutto cio’ che la circonda, si sviluppera’ il senso del risparmio e il senso della remunerazione del rischio. Con la proprieta’ si fa crescere l’indipendenza e il potere degli individui sulla loro vita, il potere di autodeterminarsi.
Per Thatcher, dalla proprietà discende la liberta’ degli individui, valore, insieme alla responsabilita’ individuale, fortemente compromesso dalla mentalita’ collettivista.
L’obiettivo politico era dunque quello di creare una “nazione di proprietari”.
Il progetto di cambiamento della societa’ fu apertamente enunciato il 3 maggio del 1981 quando, con una delle sue frasi più celebri, dichiarò: “Economics are the method; the object is to change the heart and soul [of the Nation]”.
Un grande progetto di cambiamento della societa’ che andasse a toccare il cuore e l’anima della nazione.
Il progetto era, per Thatcher , fondato sui valori di responsabilita’ individuale e sulla famiglia, rendendo i cittadini indipendenti dallo stato e rivitalizzando lo spirito imprenditoriale.
Anche per il nostro paese potrebbe essere auspicabile modificare il cuore e l’anima. Le persone di “buona volonta’ aspettano da sempre questo cambiamento. (Nessuna frase e’ piu’ qualunquista, frenante, demotivante di quella che afferma che la nostra classe politica sia lo specchio della nostra societa’.)
Non si tratta di redistribuire, come ci viene costantemente detto. Non si tratta di tenere i cittadini fuori dal sistema, i cittadini che in questo caso ricoprirebbero, con la redistribuzione della ricchezza, solo un ruolo passivo, comparse in qualita’ di consumatori di basso profilo e di povero consumo.
Con il mito del collettivismo i cittadini sarebbero totalmente dipendenti dallo Stato, incapaci di provvedere a se stessi.
Si tratta invece di richiamare il capitalismo imprenditoriale di Margaret Thatcher per creare quel cambiamento di cuore e anima.
Con la vendita delle case popolari, Thatcher trasformo’ gli inquilini in proprietari. Le case popolari furono vendute a un prezzo spesso molto più basso del reale valore di mercato. E come sempre l’obiettivo non era solo economico, ma si fondava sui valori che orientavano le politiche economiche di Thatcher. Il tema centrale dello sviluppo della proprieta’ avrebbe fatto da propulsore verso un maggiore senso di responsabilita’ del cittadino, che poteva lasciare la casa in eredita’ ai figli rafforzando il valore della famiglia.
Nello stesso modo il cittadino deve essere impegnato nel sistema, attore e non comparsa, proprietario e non solo consumatore, decisore e non ignavo e apatico con reddito di cittadinanza perpetuo.
Thatcher si occupava della classe media. La borghesia operosa e la famiglia erano al centro della sua azione politica. Era figlia di un droghiere ed era diventata la prima donna Primo Ministro in Europa. Il suo background era il suo principale biglietto da visita.
I suoi successori prima hanno perso le classi medie e poi hanno finito per essere scioccati da eventi come Brexit. Ogni sistema, ogni partito, ogni governo, ogni leader che lascia indietro il 60 per cento delle famiglie e’ inevitabilmente destinato a fallire.
Il nostro paese ha dimenticato sia le famiglie che la borghesia operosa.
In politica industriale Thatcher applico’ una politica deflazionistica, aumentando il costo del credito, che costrinse le imprese a riorganizzarsi per essere sempre piu’ competitive.
Inoltre il Governo smise di aiutare le aziende in crisi. Questa politica inizialmente molto criticata anche dal suo stesso partito ebbe in effetti un costo elevato: espulsione dal mercato delle aziende gia’ deboli e aumento della disoccupazione.
L’aumento della disoccupazione rese sempre piu’ deboli pero’ i sindacati e il loro potere. Diminuirono le giornate lavorative perse per scioperi con conseguente aumento della produttivita’ e della redditivita’ delle imprese.
Furono sburocratizzati gli adempimenti relativi alla gestione delle attivita’ economiche per aumentarne la crescita.
In Italia abbiamo aziende che foraggiamo con soldi pubblici da decenni e che sappiamo non essere competitive sul mercato, ma che continuiamo a tenere in piedi. Per smettere di aiutare le grandi aziende in crisi non e’ neanche necessario ricordare la teoria di Shumpeter sulla distruzione creativa. Sarebbe importante solo sapere se esiste una politica industriale.
Thatcher diminui’ notevolmente la spesa pubblica oltre che ponendo fine agli aiuti alle imprese in difficolta’ anche riducendo i sussidi di cui beneficiavano gli apparati statali.
Grazie a questi tagli fu realizzato un programma di forte riduzione delle imposte sul reddito e per le imprese. Inutile ribadire quanto una riforma della Pubblica Amministrazione sia necessaria nel nostro paese, considerando che gli sprechi dello Stato, le inefficienze della Pubblica amministrazione ci costano 200 miliardi l’anno, il doppio dell’evasione fiscale. Una vera emergenza che qualunque governo dovrebbe affrontare.
Fu messo in atto durante il governo Thatcher un cospicuo programma di privatizzazioni e liberalizzazioni,
Le privatizzazioni furono il grande valore che la politica Thatcheriana realizzo’ fin dai primi anni del suo mandato: La privatizzazione delle molte e importanti imprese di proprietà dello stato avvenne, con un successo crescente, privilegiando la vendita delle azioni ai piccoli risparmiatori e soprattutto ai dipendenti delle stesse aziende, a condizioni agevolate, che da impiegati statali diventarono operatori economici, non piu’ dipendenti passivi e non controllati ma sostenitori della propria impresa.
La rinascita economica era prioritaria per Margaret Thatcher perche’ come affermava spesso non c’e’ liberta’ senza liberta’ economica.
Si ispirava a valori liberali che lei chiamava Vittoriani come il duro lavoro, l’assunzione di rischi e responsabilità e la capacita’di risparmio.
I valori di riferimento, motore della societa’ , sono quelli relativi alle virtu’ borghesi, l’uomo artefice del proprio destino e lo Stato che garantisce ordine e sicurezza ma non interferisce con le attivita’ e con le credenze dell’individuo.
Il successo della Thatcher fu proprio la delegittimazione del socialismo come posizione morale e forse per questo in Italia dal mainstream e’ stata raccontata solo con connotazioni negative.
La scuola, la sanita’ e le pensioni, i pilastri del welfare, non furono coinvolti da Thatcher nelle privatizzazioni. Si introdussero dei meccanismi che rendevano migliore il servizio rendendo piu’ efficiente la gestione e soprattutto lasciando liberi i cittadini di scegliere se rivolgersi al settore pubblico o privato. Le liberalizzazioni furono l’altro pilastro, che si affianca a quello delle privatizzazioni, del grande disegno Thatcheriano.
E lo Stato? L’obiettivo era ridurre i compiti dello Stato, rafforzandone l’autorita’. Facendogli assolvere solo quelli che sono i compiti propri di uno stato liberale, con la convinzione che solo uno stato limitato può essere autorevole. Uno Stato che non decide al posto del cittadino, il quale e’ responsabile del proprio destino e del proprio eventuale successo.
La crisi economica che il nostro paese sta attraversando potrebbe essere superata anche attraverso l’utilizzo di metodi e strumenti già collaudati che hanno portato a eccellenti risultati in alcuni ambiti.
Ma il tatcherismo e ‘sempre stato avversato ïn blocco”. E cosi’ anche questa volta si e’ persa un’altra occasione per riflettere.
I motivi di questa avversione sono da ricercare sia nell’assenza di riformismo nel nostro paese, sia nella presenza di un’ ideologia sempre piu’ pervasiva che vede nell’analisi approfondita di altre dottrine politiche, (l’ideologia collettivista tanto avversata da Thatcher) imminenti pericoli per la propria sopravvivenza, sia per la tendenza al trasformismo, che ha caratterizzato da sempre la nostra storia politica, che ha contribuito a escludere la politica thatcheriana fino ad oggi anche solo come ipotesi di studio.
Quello che emerge dalle politiche thatcheriane e dalla filosofia politica che le sostiene ( come anche in tanti altri casi di dottrine politiche che hanno trasformato la societa’ ) e’ quanto sia determinante per un politico al governo avere una chiara visione di come si vuole incidere, di quale societa’ si vuole costruire o contribuire a migliorare.
Nel caso italiano quindi: Quali sono i valori che la classe politica al governo sta portando avanti, quale visione e quale azione d’insieme sta realizzando? Chi sono i beneficiari privilegiati di questa azione ? Soprattutto quali benefici e risultati concreti per i cittadini e per le Organizzazioni si vuole apportare? Quale forma di Stato si vuole tendere a costruire?
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