In questi anni abbiamo assistito alle diverse forme che ha preso il populismo, e davvero possiamo dire che ne abbiamo viste di tutti i colori: da quello securitario e antimmigrazionista della Lega salviniana a quello egualitarista e pauperista di Beppe Grillo, dal sovranismo contrario all’euro e alla UE di Fratelli d’Italia prima della svolta meloniana al movimento contro i vaccini e la medicina in generale. In questo calderone, dove si confondono destra e sinistra, sono nate amicizie e alleanze politiche sulla base di posizioni genericamente antisistema e senza nessuna realistica progettualità, per questo durate solo una stagione: basti pensare al governo giallo-verde di Conte che attirò le simpatie dei massimi esponenti mondiali del populismo: Putin e Trump.
Ebbene, durante il Concertone del primo maggio, abbiamo assistito a un’altra manifestazione del populismo che, grazie al discorso del noto fisico Carlo Rovelli, ha preso la forma, apparentemente innocua, del pacifismo. Ma sia chiaro, qui non intendo dire che il pacifismo è necessariamente populista, perché esistono pacifisti, come Piero Sansonetti del Riformista giusto per fare un esempio, che si limitano a testimoniare la loro avversità alla guerra e all’invio di armi in Ucraina in modo razionale e, soprattutto, lo fanno senza indicare presunti colpevoli in Italia quando – lo sappiamo bene – i responsabili del conflitto abitano tutti a Mosca.
Il modo e i contenuti del discorso di Rovelli sono stati, invece, essenzialmente populisti e, come spesso accade in questi casi, finanche aggressivi nonostante lo sbandieramento delle idee pacifiste.
In primo luogo perché il fisico se l’è presa con l’attuale ministro della Difesa Guido Crosetto (anche senza nominarlo direttamente), definendolo “piazzista di strumenti di morte” perché in passato è stato presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza: una terminologia così offensiva che ha costretto Ambra Angiolini, presentatrice del Concertone anche quest’anno, a scusarsi immediatamente dopo la fine del discorso. E noi ricordiamo che questo modo di fare comunicazione politica, cioè scendendo sul piano delle accuse ad personam spesso infamanti, è tipico di quella ideologia e quella retorica di cui Beppe Grillo e discepoli vari sono stati i massimi esponenti.
C’è poi un’altra questione che ci rivela la natura profondamente populista del monologo (eh sì, monologo perché, purtroppo, sul palco romano non era stato invitato nessuno ad esporre una tesi contraria) di Carlo Rovelli: il suo riferirsi direttamente ai giovani spettatori, o meglio, alla pancia dei giovani spettatori, sollecitandoli emotivamente e trasmettendo loro il sentimento della paura, come fanno quei politici che usano termini come “invasione” o “sostituzione etnica” per spaventare e attrarre potenziali elettori. È evidente che la guerra in Ucraina è una tragedia e un pericolo per l’umanità, ma mettere tutti i Paesi coinvolti sullo stesso piano (“Stiamo andando verso una guerra che cresce e, invece di cercare soluzioni, i Paesi si sfidano, invadono, soffiano sul fuoco della guerra…”) senza specificare chi invade e chi viene invaso è un ragionamento non solo sbagliato, ma persino dannoso quando viene rivolto ai giovani.
Sempre ai giovani Rovelli ha dedicato la chiusura del suo discorso, alzando il tono e facendone un vero e proprio sermone giovanilistico. Infatti gli ha spiegato che il mondo è di loro e non dei signori della guerra (se permette, caro Rovelli, direi che il mondo è anche un po’ mio e dei miei coetanei non più giovani), e poi li ha invitati praticamente a nozze dicendo: “Non abbiate paura di imbrattare i muri, cambiate questo mondo”.
E adesso aspettiamoci una colata di vernice sui muri dei palazzi e magari anche sui quadri dei musei e sulle statue nelle piazze perché – come sostiene il cattivo maestro Carlo Rovelli – è così che si lotta per la pace.
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