Dopo la mia presa di posizione sulla necessità vitale di evitare il collasso totale del sistema economico, alcuni amici che molto stimo mi hanno manifestato il loro dissenso: “la salute viene prima dell’economia”. Ho detto loro che su questo punto concordo pienamente, ma temo che essi sottovalutino i rischi, proprio per la salute di tutti e in particolare dei più cagionevoli o più poveri, di un collasso del sistema economico. A fermare le aziende si fa in fretta, ma per farle ripartire ci vuole tanto più tempo quanto più sono state ferme ed è stato fermo l’intero sistema. Non ce n’è una sola che possa ripartire senza che si metta in moto tutta la rete di aziende che le forniscono materie prime, semilavorati e servizi di ogni genere, soprattutto di manutenzione. Noi oggi non percepiamo ancora i morsi della penuria, perché energia elettrica, gas e acqua arrivano regolarmente, l’industria alimentare e farmaceutica lavorano ancora a pieno ritmo, i trasporti funzionano; ma queste attività produttive necessitano di materie prime, funzionano per mezzo di macchine, che possono guastarsi e richiedere pezzi di ricambio o sostituzioni. Anche i nostri elettrodomestici si guastano. Pensiamo ai rischi che possono derivare per la vita o la sicurezza di una persona malata, o di una famiglia povera, dal non poter disporre più della caldaia, del frigorifero o della lavatrice. Oppure dall’impossibilità di approvvigionarsi di un farmaco indispensabile. Questo rischio non è lontano: bastano un mese o due di paralisi perché esso diventi attuale. Proviamo a metterlo sul piatto della bilancia, e ci renderemo conto che, quando i dati sulla diffusione del contagio saranno tornati bassi, proprio per la protezione della nostra salute può essere più prudente e lungimirante correre ragionevolmente qualche rischio immediato di più per ridurre la portata della paralisi, o almeno ridurne la durata.
L’idea, proposta da un gruppo di economisti e fatta propria dal sindaco di Milano Beppe Sala, è quella di incominciare col consentire la ripresa del lavoro dei più giovani, per i quali il Covid-19 è molto meno pericoloso, mantenendo l’isolamento degli anziani. Già si sono levate le prime proteste: “Si sacrifica la salute dei giovani sull’altare dell’economia!”. No: si chiede loro di correre un rischio modesto, per evitare una catastrofe per tutti. Lo Stato ha titolo per chiederlo? Sì. Alla generazione precedente alla mia è stato chiesto di esporre la vita a rischi molto più gravi di questo, in guerre che lo meritavano molto meno di quanto lo meriti la guerra contro il coronavirus. Se l’articolo 52 della Costituzione – che impone a ogni italiano il “dovere sacro” di difendere la Patria anche mettendo a rischio la vita – ha ancora un significato, esso legittima lo Stato a chiedere alle classi di età che un tempo venivano mandate al fronte di esporsi a un rischio temporaneo per la salute maggiore rispetto alle altre, per evitare un rischio mortale per il Paese. Non si tratta certo di istituire una forma di reclutamento coatto, bensì soltanto di sancire che le imprese via via più necessarie – rispettate determinate misure di sicurezza inderogabili – sono legittimate a riavviare la produzione con personale di età non superiore a un certo limite, nonostante che il rischio di contagio non sia stato ancora del tutto azzerato.
(questo articolo con il consenso dell’autore è stato ripreso dal sito http://www.pietroichino.it)
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