Il 9 novembre 2022, la Commissione europea ha presentato le linee per la Riforma del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). L’accordo ― stipulato nel 1997 tra gli Stati membri dell’Unione europea (Ue) ― ha introdotto un sistema di controllo delle politiche di bilancio degli stessi Stati, cioè delle modalità con le quali ciascun Stato, manovrando entrate e spese del bilancio statale, intende perseguire i propri obiettivi politici. Per mantenere la stabilità economica e monetaria all’interno della Ue, il PSC ― richiamando i parametri del Trattato di Maastricht (1992) ― ha previsto che il deficit di bilancio (eccedenza tra uscite ed entrate) di ciascun Stato, non potesse superare il 3% del Prodotto Interno Lordo (PIL), e che il debito pubblico non potesse essere superiore al 60% del PIL.
I rilevanti fabbisogni finanziari degli Stati manifestatisi a causa della pandemia di Covid-19 hanno indotto la Commissione nel mese di marzo 2020, tenendo conto della rigidità del PSC, a sospenderne l’applicazione, sospensione prorogata fino alla fine del 2023 a causa della guerra Russia/Ucraina e della difficile situazione economica internazionale. L’insieme dei fatti che ne hanno determinato la sospensione ha però indotto la Commissione europea ad un ripensamento del PSC ravvisandone, a fronte dei mutati scenari dell’economia mondiale, l’inattualità delle linee stabilite nel 1997. Si è dunque pensato ad una riforma del PSC, da sottoporre all’approvazione degli Stati membri.
La proposta di Riforma del PSC elaborata dalla Commissione mantiene i limiti del 3% del deficit e del 60% del debito. Una loro variazione avrebbe comportato la modificazione di Trattati, procedimento troppo lungo e complicato. Il Commissario Ue per l’Economia Paolo Gentiloni, presentando le linee della riforma, ha affermato che, obiettivo primario di essa è “sostenere la crescita e migliorare la sostenibilità del debito”, cioè consentire la graduale riduzione del debito dei Paesi membri tenendo conto delle differenze esistenti tra i Paesi stessi. In secondo luogo, la riforma mira a “rafforzare la titolarità nazionale delle decisioni di politica economica”. In terzo luogo, vuole “semplificare le regole e renderle più realistiche”.
Il nuovo PSC dovrebbe stabilire un rapporto più flessibile tra Ue e Stato membro. Per grandi linee, si prevede che non siano sottoposti a verifiche i Paesi che hanno un rapporto debito/PIL inferiore al 90% (ad esempio, Germania, Svezia, Olanda). Per i Paesi che superano questo rapporto, la Commissione presenterà un piano “personalizzato” di rientro da conseguire non più in un anno ma in quattro. Il Paese, in un’apposita audizione parlamentare a livello europeo, presenterà il proprio percorso di aggiustamento del debito per dimostrarne la sostenibilità. Lo Stato potrà chiedere che il percorso avvenga con l’aggiunta di un ulteriore periodo di tre anni e, quindi, in sette anni.
La Commissione valuterà se il percorso proposto dallo Stato tende alla riduzione del debito, mantenendo però il deficit “credibilmente” al di sotto del 3% del PIL, cioè senza fare artifizi contabili tra uscite e entrate. Il piano nazionale viene quindi adottato dal Consiglio. La Commissione vigilerà, annualmente, sull’osservanza del percorso di rientro del debito. In caso di inosservanza, scatteranno le sanzioni che potranno anche riguardare i finanziamenti europei compresi quelli riguardanti i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR). La proposta di Riforma andrà presentata formalmente dalla Commissione entro il mese di marzo 2023. Si auspica che sia raggiunto un accordo tra gli Stati entro l’autunno 2023 affinché la Riforma possa entrare in vigore dal 2024.
La proposta di riforma del PSC ha pregi, ma suscita anche riserve. È un pregio il voler eliminare la rigidità di alcune regole del PSC originario la cui irrazionalità è stata la causa della loro quasi totale non applicazione negli anni. Assolutamente inapplicabile fu la regola della riduzione del debito di un ventesimo all’anno sulla parte del 60% eccedente il PIL. Va detto altrettanto del sistema sanzionatorio che poteva arrivare ad ammende pari allo 0,2% del PIL nazionale. Ora le sanzioni possono riguardare ― come detto ― la sospensione dei finanziamenti europei. Si ipotizzano anche sanzioni “reputazionali” ― peraltro ancora da definire ― per i Paesi che non osservassero il piano concordato per il rientro del debito. Un altro pregio è la flessibilità prevista per gli aggiustamenti del debito, come ricordato in precedenza.
Le riserve che si fanno sono di varia natura. Alcune ― di carattere generale ― sono avanzate dai cosiddetti “paesi frugali” che vorrebbero che anche il nuovo PSC mantenesse regole di rigore come il precedente. Altre ― specifiche ― riguardano aspetti politici e tecnici. Si teme che la Commissione, valutando la sostenibilità del debito “per la quale non esistono tecnologie affidabili nonostante gli sforzi da parte degli economisti”, eserciti un’eccessiva ingerenza nelle politiche nazionali (MICOSSI S., Nuovo patto di stabilità a rischio di ingerenze nelle politiche nazionali, Il Sole 24 Ore, 17.11.2022). La discrezionalità di fatto della Commissione nell’esame della sostenibilità del debito (verificare una “riduzione plausibile del debito”) potrebbe anche indurla a valutazioni agevolative o limitative, con conseguenze non irrilevanti sui mercati per il Paese che fosse giudicato negativamente (DE ROMANIS V., Il patto di stabilità va cambiato con giudizio, La Stampa, 22.11.2022).
Riserva diffusa tra più commentatori è che l’impianto di controllo da parte della Commissione, che dovrebbe analizzare gli aggiustamenti del debito obiettivo per obiettivo, è simile a quello previsto per le valutazioni dei PNRR. Qui però si valuta un percorso finanziato dall’Europa e al quale gli Stati si sono sottoposti volontariamente. Nel PSC si valutano le situazioni del debito sovrano di ciascun Stato e gli interventi di riduzione che lo stesso intende attuare. La Commissione avrebbe dunque poteri correttivi che non le competono.
Com’è dato di vedere, il dibattito è ancora ampio. Donde l’auspicio di un suo termine nell’autunno del 2023 per l’applicazione del nuovo PSC nel 2024. Il ritorno alle regole precedenti avrebbe conseguenze pesanti per gli Stati. E maggiormente per l’Italia con il suo debito pubblico di circa 2.800 miliardi di euro, tendenzialmente in crescita. Ma di tutti questi argomenti la politica italiana non sembra curarsi particolarmente, sebbene l’Italia potrebbe avere margini ridottissimi di manovra.
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