Un mostro tutto italiano, ci divora, ci lascia soli e circondati da un perenne nulla, come nel romanzo di Michael Ender, “La storia infinita”, in cui il nulla si espande e inghiottisce ogni libertà, ogni ingegno e talento umano.
Questo mostro si chiama burocrazia. Presente da sempre nel nostro paese, si dimostra più aggressivo e affamato a partire dalla crisi che ha interessato il mondo economico occidentale dal 2008, crisi che ha coinvolto in maniera preponderante esclusivamente il settore privato. Un mostro ancor più famelico ed egoista adesso, con la crisi epocale del 2020.
Spesso mi sono chiesta perché la PA sia stata oggetto di azioni apparentemente riformatrici da parte della politica che non ne hanno però cambiato e neanche scalfito il sistema valoriale di massima, e soprattutto non hanno cambiato la gestione, “sciatta” delle persone.
Da addetta ai lavori mi chiedo perché’ il merito e il talento non possono essere i motori di un reale cambiamento della PA e conseguentemente del paese.
La burocrazia italiana non è certo snella, non ha posizioni e organigrammi che facilitano l’erogazione del servizio verso il cliente/utente, è senz’altro composta da personale poco formato soprattutto dal punto di vista digitale, è diventata sempre di più un reddito di cittadinanza metaforico, con incarichi e caselle da riempire per soddisfare voti elettorali raggiunti. Con enormi e insopportabili conseguenze su tutti noi.
Osserviamo ad esempio come avvengono le progressioni di carriera all’ interno della PA. Quei pochi, che certo ci sono, che crescono con merito e non con tessera politica o fiducia del singolo politico, non devono avere una vita facile.
Il nodo cruciale è il legame patologico tra politica e amministrazione. Tra vertice politico e dirigenti amministrativi, ancor di più se sono a chiamata.
Ci sono settori in cui il circolo vizioso è ancora più pesante, come nella sanità, per la rilevanza che questo settore ha nella nostra vita e si manifesta con incarichi apicali basati sul rapporto di fiduciarieta’.
È la parola “fiduciario”, che nutre il mostro. Ormai sdoganata da tutti i nostri politici, come se godendo della loro fiducia personale, i burocrati o aspiranti tali per compenso e status, fossero esenti da ogni altra valutazione.
Nel divertente manuale: “Le leggi fondamentali della stupidità umana” l’arguto economista M. Cipolla, ci mette in guardia sul fatto che gli stupidi possano essere decisivi nel determinare i vincitori nelle competizioni elettorali e nel mandare al potere altri membri della categoria.
La domanda che spesso si pongono le persone ragionevoli è in che modo e come mai persone stupide riescono a raggiungere posizioni di potere e di autorità. “Tra burocrati, generali, politici e capi di stato, si ritrova l’ aurea percentuale di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo è pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occupano”.
Riusciremo a uccidere il mostro? Possiamo far rinascere quel Servitore Civile di cui necessita il nostro paese, mai come adesso?
Un Civil Servant che non serva il politicante di turno ma metta le sue capacità al servizio della collettività?
Oppure come ironizza il prof. Cipolla, saremo sommersi dagli stupidi al potere?
Diamo un po’ di numeri…
I pubblici dipendenti non sono né tanti né pochi. Non è questo il punto.
Il punto è cosa fanno, come lo fanno, con che retribuzione, come sono valutati e da chi, come e se accrescono le proprie competenze, quali sono e come sono definiti i piani di carriera, i premi e da chi, che valore hanno sul mercato, quali risultati raggiungono, come questi risultati sono comunicati alla popolazione e cosi via.
A fine 2017 il numero di dipendenti a tempo indeterminato risultava pari a 3,24 milioni, più circa 124.000 con contratti flessibili.
Non tutti costoro svolgono il lavoro burocratico. Nel computo sono inclusi militari, forze di polizia, vigili del fuoco, magistrati, personale sanitario, docenti scolastici/universitari e altri dipendenti di scuole e atenei. Possiamo dire che, a grandi linee, tra tutti i dipendenti statali, svolge lavoro burocratico poco meno della metà.
Dal 2008 il blocco del turnover ha molto invecchiato i pubblici dipendenti, l’Italia ha la più alta quota di dipendenti over 55 e la più bassa degli under 35 in Europa.
Il costo delle retribuzioni: nel 2018 è arrivato a 165,9 miliardi all’anno, ma i soldi non sono equamente distribuiti, o meglio non sono distribuiti in base al merito.
Abbiamo una “massa” di dirigenti che percepiscono cifre fuori da ogni logica di mercato.
Chiunque voglia davvero intervenire sulla PA deve intervenire prioritariamente sulle figure apicali, come avviene in ogni Organizzazione, quando si vuole puntare a un reale e sostanziale miglioramento. (se nel settore privato si chiama Change Management un motivo ci sarà).
La Dirigenza Pubblica
Dal 2007 al 2017 la retribuzione media di un dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri è aumentata di 59.285 euro l’anno (+68%)
Dirigenti apicali italiani guadagnano 12,6 volte il reddito medio pro capite, mentre in Francia il rapporto è 6,44; in UK 8,48; in Germania 4,97.
Ma non si tratta solo di retribuzioni motivate o meno, occorre correlare queste retribuzioni, alla spendibilità del soggetto sul mercato, alle sue reali competenze, e ai risultati realmente raggiunti.
In sintesi il quadro dell’attuale dirigenza pubblica italiana si caratterizza per:
– numero elevato di dirigenti
- età media avanzata;
- scarsa competenza internazionale;
- bassissima varietà delle esperienze professionali maturate, sia in altri settori sia in contesti privati. Questo e’ l’elemento che ci fa più comprendere quanto poco interscambio ci sia tra pubblico e privato e come le competenze, le capacità e la motivazione del dirigente pubblico siano poco spendibili nel privato;
- competenze di natura prevalentemente giuridica o specialistica;
Ma il vero nodo da superare, esclusivamente per la Dirigenza, è la durata dell’ incarico dirigenziale a tempo indeterminato che contribuisce fortemente all’assenza di proattività, alla poca motivazione nel raggiungimento di risultati, alla scarsità delle competenze necessarie a motivare i propri collaboratori e al raggiungimento della reale soddisfazione dell’utente/cliente.
Proprio coloro che ricoprono ruoli apicali nella PA devono possedere forti capacità di leadership, non essere autoritari, ma condividere la visione, infondere fiducia, essere credibili per i propri collaboratori e diffondere valori fortemente positivi, orientati al raggiungimento di risultati sfidanti per tutta la squadra. Devono essere un modello, un esempio da seguire, i primi ad agire comportamenti professionali e rigorosi.
Anche il concetto di Responsabilità di ruolo va rivisto, non è nel non agire che il dirigente non corre pericoli. Nelle scelte e decisioni deve essere tutelato e poter ricoprire il ruolo appieno e con serenità.
Per arrivare a questo occorre un rinnovamento profondo della classe dirigente e dei meccanismi della sua selezione e della sua valutazione.
Abbiamo sempre più bisogno di una dirigenza, ridotta nei numeri, fortemente meritocratica, a tempo, aperta al fine di favorire l’osmosi della dirigenza pubblica con quella privata, non perché una sia meglio dell’altra , ma perché possano contaminarsi le culture diverse e le diverse strategie di management. Deve essere possibile passare dal privato al pubblico, ma anche dal pubblico al privato con facilità, seppure con le dovute attenzioni a possibili conflitti di interessi.
Il dirigente pubblico non deve percepire l’incarico dirigenziale come il punto di arrivo della propria carriera, ma, come avviene nel privato, un percorso personale e professionale, un progetto flessibile che prevede esperienze diverse in continua crescita dove le competenze acquisite sono l’unica garanzia per il miglioramento di carriera, non certo la staticità e stanzialità della posizione raggiunta con la conclusione del proprio apprendimento e crescita.
Tutto questo ha l’ovvia conseguenza di migliorare il servizio al cliente, di migliorare il clima all’interno della PA, di poter attrare i talenti, di poter lavorare con merito e soddisfazione su tutta la struttura.
Un’ultima considerazione riguarda l’importanza della formazione per tutte le posizioni della PA con particolare attenzione alla valorizzazione della Scuola Nazionale di Amministrazione, al fine di contribuire a migliorare il prestigio, le competenze e la consapevolezza di tutti coloro che si affacciano a questa professione, che deve evolvere verso un modello di efficienza e capacità, a qualunque livello nella scala gerarchica, risultando attrattiva per i migliori talenti nazionali e esteri.
Ilaria
Bravissima
Sandra
Ti ringrazio
mauro grassi
sono d’accordo al 95%
non è poco